Qui in Molise si muore

Pietrabbondante (Isernia). Foto tratta da unsplash.com

Stanotte ho fatto un incubo: dei prigionieri venivano forzati sulla banchina di una motovedetta, in mare aperto. Violentati, torturati, uccisi da alcuni militari a bordo: i loro corpi abbandonati nell’acqua. L’ultimo ha provato a resistere, gli hanno sparato un colpo in testa e hanno buttato anche il suo corpo in mare. Un mare nero come il petrolio. Era buio, notte fonda, ricordo lo sguardo fiero e disperato della ultima giovane vittima. Poi mi sono svegliato … Ero spaventato, ho pensato anche che quella cosa, chissà dove, fosse accaduta davvero proprio durante la notte. Ho pensato ai racconti tragici di tante persone che hanno solcato il Mediterraneo, in fuga dalle violenze libiche sopra barchette arrangiate. Ho pensato a questo mare, lo stesso che bagna Termoli, la città in cui abito, diventato un cimitero: decine di migliaia i corpi dispersi negli anni. Vite, storie, uccise due, tre, cento volte: quando il cuore smette di battere e nell’indifferenza dei buonisti, nell’odio dei cattivisti e nei muri dei governanti.

A noi che siamo in occidente, protetti, civili, democratici, a noi dall’altro lato della frontiera non succederà mai nulla di simile, mi sono detto per rassicurarmi. A noi non succederà di sentirsi circondati dal vuoto, smarriti, terrorizzati, la propria vita in balia della sorte. Non succederà di sentirsi nudi, senza diritti, di non avere protezione in caso di necessità. Per noi, da questo lato della frontiera, la vita umana vale; e la nostra voce conta, siamo cittadini non schiavi. Le istituzioni, per noi qui, sono presenti, prossime. Sono espressione della società democratica. Per noi, qui, il diritto alla cura è un principio fondamentale della vita civile organizzata. Mi sono accorto, però, che pensando a queste cose stavo sognando una seconda volta …

Nella regione in cui abito, il Molise (Italia, Occidente), ad esempio, il diritto alle cure non è più garantito: il pubblico ha abdicato da tempo al suo ruolo in favore delle aziende private, la sanità è commissariata da circa un decennio, il suo debito insostenibile. Circa l’80 per cento delle spese pubbliche regionali se ne vanno infatti per ripagare questo debito. Per le altre cose, la cultura, le strade, la scuola, il sociale, il lavoro, i trasporti, non restano che le briciole. Il processo di privatizzazione è maturato negli anni.

Nella regione in cui abito, il Molise, quel Molise che in molti dicono non esista, oggi con la pandemia stiamo soffrendo molto: le persone si ammalano di Covid e non possono più essere ricoverate, gli ospedali non hanno più posti per loro e per questo vengono portate fuori regione. Si ammalano anche persone giovani e alcune di loro muoiono. Chi ha altre malattie deve aspettare, molte visite sono state sospese. Alcuni medici e infermieri stanno facendo sforzi inimmaginabili: pensate che nel Basso Molise, quella zona di terra vicino al mare, che sta soffrendo ancora di più – siamo in zona rossa, al momento – ci sono quattro operatori Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) per centomila abitanti. Impossibile, in queste condizioni, mantenere un livello dignitoso di assistenza e cure domiciliari, che sarebbero così fondamentali.

Proprio qui, nel Basso Molise da dove scrivo, in un comune che si chiama Larino, abbiamo un grande ospedale in buona parte inutilizzato: i politici, su vari livelli, litigano tra loro (hanno trovato mesi fa, in Regione, persino il tempo per fare un rimpasto di giunta) e l’ospedale non viene attrezzato e inserito in un sistema di strutture di cura regionali, il che potrebbe alleggerire quelle sotto stress. Si hanno serie difficoltà anche a trovare personale medico e sanitario, perché noi, qui, i medici li paghiamo poco e male. Nonostante la zona rossa, inoltre, aziende e fabbriche del nucleo industriale restano aperte. In questo caos disastroso ci si aggrappa di nuovo al privato sanitario come ancora di salvezza: la privatizzazione del sistema sanitario locale, che è una delle cause del collasso del sistema, diventa la soluzione auspicata e praticata. Una sorte di spirale infernale. Non andrà tutto bene, non va tutto bene. Gli intrecci tra il sistema sanitario e la politica qui sono storici, strutturali e si snodano dal livello regionale fino alle amministrazioni locali.

Anche noi, come gli altri su quelle barchette arrangiate, moriamo più di una volta: di covid, di sete di profitto, di incapacità. Moriamo privati della democrazia e moriamo di indifferenza: solo in questi giorni qualche testata giornalistica nazionale ha cominciato ad interessarsi al caos Molise, che poi è una grande questione nazionale. In un certo senso, un laboratorio politico su piccola scala: come sfruttare la straordinarietà dell’emergenza sanitaria per accelerare e rafforzare il processo già in corso di privazione di diritti e democrazia, dentro lo smarrimento e disorientamento generale.

Noi, qui, ci sentiamo smarriti, nudi, circondati dal vuoto, terrorizzati. Per noi, da questo lato della frontiera, la vita umana non vale; la nostra voce non conta. Le istituzioni, per noi qui, non sono presenti, non sono prossime. Non sono espressione della società democratica. Per noi il diritto alla cura non è più un principio fondamentale della vita civile organizzata. Qui, in Molise, si muore. Di covid. Di malapolitica. Di privatizzazioni. Di indifferenza. Qui, in Molise, dall’altro lato della frontiera, muore ancora un po’ la democrazia.

Per questo in alcuni abbiamo deciso di tentare un sussulto di dignità: abbiamo cominciato a incontrarci e a dialogare tra diversi, accomunati però dal sentire insopportabile questo stato di cose. Per ora ne sono nate un’assemblea, una pagina Facebook e una di Instagram, una petizione. Chiediamo a quanti hanno a cuore la nostra terra, ma soprattutto la democrazia, di informarsi, diffondere e sostenere in ogni modo possibile le iniziative in corso.

Roberto De Lena

20/2/2021 https://comune-info.net

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