Quota 100 è una vera e propria beffa che lascia intatta la Fornero
Se l’argomento previdenziale assume un ruolo dirimente nel dibattito Governativo, la causa non è certo per la esigenza del ricambio generazionale in settori pubblici e privati ma per ragioni di spesa, se qualche ritocco alla Legge Fornero risulterà compatibile, e con quali costi, con i bilanci di un paese a bassissima crescita e il Pil praticamente fermo. Dall’ultima rilevazione trimestrale Istat si evince che il Prodotto interno lordo è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente pur aumentando dello 0,7% nei confronti del terzo trimestre del 2017.
La oscillazione dei dati è spiegabile con gli andamenti del mercato del lavoro, il prezzo delle materie prime, le pressioni della Troika, l’aumento dello spread che innalza i costi dei mutui, le esportazioni in crescita rispetto alle importazioni, i consumi delle famiglie in piccolo calo. Sul fronte occupazionale la speranza del Governo era quella di favorire, con il decreto legge estivo, la ripresa dei contratti a tempo indeterminato salvo poi scoprire che la normativa puo’ essere facilmente aggirata da deroghe e accordi collettivi nazionali siglati da associazioni datoriali e sindacati complici.
Il mercato del lavoro parla, sempre in base alle ultime rilevazioni Istat, dell’ aumento dei dipendenti permanenti (+37 mila) , del calo di quelli a termine (-13 mila) e degli indipendenti (-16 mila) con la crescita degli uomini e delle donne in cerca di occupazione.
Le statistiche fotografano un paese bisognoso di investimenti e di crescita, la polemica sterile e stucchevole tra il partito dell’austerità e il cosiddetto sovranismo è fuorviante, la politica ridotta a gossip e a fatti di cronaca devia l’attenzione lontano dai problemi reali di un paese involuto, chiuso e pronto a prendersela con gli ultimi, siano essi migranti o disperati autoctoni.
Ma torniamo alle pensioni certi che la questione sarà trattata con uno specifico emendamento alla manovra e consapevoli che la materia previdenziale non si spiega solo dentro un quadro economico (rapporto tra Pil e debito pubblico) ma in un contesto ampio che prenda in esame il welfare, gli atti di indirizzo della spesa pubblica e la ridistribuzione della ricchezza.
Sul fronte del contenimento della spesa, la Riforma Dini è stata la piu’ efficace (per noi sciagurata) perchè introdusse il sistema contributivo in maniera progressiva determinando assegni previdenziali sempre piu’ leggeri (rispetto al retributivo).
La Fornero aumento’ l’età pensionabile introducendo le cosiddette speranze di vita, getto’ nel panico migliaia di esodati, espulsi dal ciclo produttivo, vecchi per lavorare nelle aziende ma ancora giovani per percepire un assegno previdenziale, un girone infernale senza stipendio, lavoro e pensione per uscire dal quale sono state necessarie ben 8 clausole di salvaguardia (circa 300 mila lavoratori\trici) per traghettare migliaia di lavoratori e lavoratrici alla pensione.
La “quota 100” arriverà allora in maniera sperimentale per poi applicare il requisito dei 41 anni di contributi per tutti\e. Stando alle ultime notizie, perchè quando si parla di pensioni regna sempre la massima incertezza, per un solo anno, rispetto ai tre promessi, sarà prorogata l’“opzione donna”, idem per l’Ape sociale.
Non si supera la Fornero, non muta il meccanismo di calcolo dell’assegno previdenziale, il solo cambiamento è il mancato adeguamento alla speranza di vita dei requisiti per l’uscita anticipata con 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. E l’aumento della speranza di vita? Dagli ultimi dati la speranza di vita è in decrescita tra contrazione della spesa sanitaria, aumento dei carichi di lavoro, malattie professionali e diffusione dei tumori, ormai in troppi vanno sottovalutando l’emergenza salute e il deterioramento della qualità della vita che poi avrà ripercussioni negative anche sulla spesa pubblica.
Allora, in attesa dell’ emendamento al disegno di legge di Bilancio, sarebbe bene porsi alcune domande. La prima riguarda il sindacato che, con il sistema delle deroghe e degli accordi collettivi nazionali, consente ai padroni, e al Governo che certe normative le ha inserite nei testi di legge, di perseverare nella precarietà contrattuale e salariale. Il sindacato in materia di lavoro e contratti cosa ha da dire e da proporre? Dagli accordi si evince che l’universo della precarietà sta bene anche ai sindacati complici, la loro opera va verso il contenimento del danno (nel migliore dei casi visto che molti accordi i danni li provocano direttamente) specie se sono chiamati a cogestire il business.
L’età pensionabile non puo’ essere stabilita in astratto o guardando al Pil e al debito pubblico, la categoria degli usuranti non basta a tutelare alcune categorie di lavoratori e lavoratrici, il logoramento psico fisico non è uguale per tutte le categorie dei lavoratori, nelle aziende private non esistono criteri di mobilità interna che consentano di spostare la forza lavoro piu’ avanti con gli anni in mansioni meno gravose, la tecnologia potrebbe essere di grande aiuto ma sul fronte investimento le carenze del privato (e anche del pubblico) sono ben note.
Quando poi si parla di welfare e di servizi pubblici dimentichiamo che da anni i sindacati hanno accettato la riduzione dei fondi per la prevenzione e la salute e, sempre in nome di quel principio (speculativo) della riduzione del danno, procedono verso lo scambio tra porzioni di salario e bonus \sanità integrativa attraverso il welfare aziendale.
Alla vigilia degli emendamenti alla manovra in materia di previdenza, manca una riflessione seria su quale welfare e sistema previdenziale vogliamo, sul sistema di calcolo dell’assegno pensionistico, su come tutelare i redditi sotto 35 mila euro e tassare i capitali, sui contenuti da inserire nelle rivendicazioni contrattuali giusto per non ritrovarsi a barattare pezzi di salario con i bonus.
Neppure di fronte al Pacchetto sicurezza si è sviluppata una opposizione degna di nota, i diritti civili e quelli sociali sono indistintamente attaccati , difficile che su temi decisamente ostici come quelli del lavoro e del welfare ci sia in tempi brevi la presa di coscienza necessaria per costruire opposizione (di certo non mancano le condizioni materiali)
In queste ore pochi comprendono che 41 anni di contributi (a precindere dall’età anagrafica e non prima del 2022) per l’uscita anticipata dal lavoro rappresentano una beffa, quanti dei 350 mila lavoratori\trici potenzialmente in quota 100 potranno optare per la pensione sapendo di subire decurtazioni ? E poi, tra 4 o 5 anni, il 70% dei nuovi pensionati avrà quasi tutti i contributi calcolati con il sistema contributivo e un anticipo dell’età pensionabile, in base a coefficienti e sistemi di calcolo poco conosciuti, sarà escluso a priori perchè determinerebbe assegni da fame. E cosi’ il Governo se la cava con poco, con la quota 100 senza rivedere la Fornero,una spesa di 1,6\7 miliardi di euro e con l’ennesimo regalo alle banche, la possibilità per i dipendenti pubblici , dal 2019 in avanti, di chiedere alla banca l’anticipo del Tfr\tfs che continuerà ad essere pagato con anni di ritardo. Un anticipo favorevole per gli istituti di credito ma con gli interessi a carico dello Stato. Nulla di nuovo allora sotto il cielo, solo la debacle del movimento operaio.
Federico Giusti
2/12/2018 www.controlacrisi.org
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