REFERENDUM CONTRO OGNI AD

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L’autonomia differenziata è Legge, mobilitiamoci per abolirla, no alla spacca Italia

Editoriale di Loretta MussiComitato nazionale contro ogni Autonomia Differenziata Tavolo nazionale NO AD

Il 19 giugno la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” nel testo già licenziato dal Senato. Per l’approvazione vi è stata un’accelerazione fortissima, perché il patto di scambio scellerato effettuato tra lega e FDI richiedeva che ci fosse contemporaneità nell’approvazione delle due leggi, l’una alla Camera e l’altra al Senato. Su due provvedimenti che verranno a cambiare l’assetto dello Stato e della Costituzione il Parlamento, di fatto, non ha potuto esprimersi. Ora l’autonomia differenziata è legge. Essa definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per giungere ad una intesa tra lo Stato e ciascuna Regione che farà richiesta di ulteriore autonomia. Il 26 giugno, più velocemente di quanto si pensasse, il Presidente Mattarella ha firmato la promulgazione della legge: essendo il suo compito, come aveva detto in precedenza, non di vagliare il merito dei provvedimenti adottati dal parlamento bensì (…….)“di firmarne la promulgazione, (…..) atto indispensabile per la pubblicazione ed entrata in vigore delle leggi, con cui il Presidente della Repubblica attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge, nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità”. Il 28 giugno 2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, come Legge n. 86, che definisce le norme per l’implementazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta, ed entrerà in vigore il 13 luglio. I tempi brevi della promulgazione e della pubblicazione faciliteranno, se non altro, la raccolta delle firme per i quesiti referendari, che chiedono la sua abolizione che stanno per essere presentati.1Il Presidente non ha riscontrato immediati ed evidenti profili di costituzionalità, ma almeno uno evidente c’è e riguarda l’Art. 117 della Costituzione contenente l’elenco delle materie di competenza statale e concorrente. Poiché la legge approvata dice chiaramente che possono essere trasferite anche tutte le 23 materie di competenza dello stato, va ad incidere, modificandolo radicalmente, sull’articolo 117 della Costituzione. C’è poi tutta la partita dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), la cui individuazione è in ritardo di quasi 25 anni, di cui resta molto incerta la definizione e dove si prevede che vi siano funzioni non Lep che possono essere trasferite immediatamente. Ed infatti le Regioni ne stanno già approfittando. Anche qui si segnala una violazione della Costituzione che, diversamente da quanto ha deciso di fare il Governo, prevede che sia il Parlamento a definire i Lep tramite legge e che il loro integrale finanziamento s’imponga oltre le esigenze di bilancio. Attualmente abbiamo 200 funzioni statali su un totale di 500 materie anche di peso.

I Lep sono previsti dal 2001, da quando cioè è stato modificato il Titolo V: se non sono stati individuati come si pensa di poterli fare ora in breve tempo? Ed infatti dopo due anni di lavoro le Commissioni incaricate dal Governo non hanno licenziato alcun documento ufficiale, mentre importanti istituzioni come la Banca d’Italia e l’UPB (ufficio parlamentare del bilancio) criticano l’inconsistenza di quelli verificati. I Lep, sono definiti “essenziali”, perché rappresentano il livello minimo di applicazione, come i Lea nella Sanità, quindi non sono idonei per rispondere ai reali bisogni dalla società. E comunque, secondo la Legge Calderoli, le risorse necessarie alle Regioni per l’esercizio delle nuove competenze non dipenderanno dall’individuazione/finanziamento dei LEP, bensì dal gettito dei tributi raccolti sul territorio regionale. Ed infatti la Legge Calderoli si chiude con la formula: “la presente norma non presenta oneri a carico dello Stato“. Questo significa che le regioni già ora avvantaggiate perché storicamente ricevono risorse adeguate per assicurare servizi di qualità alla popolazione, si approprieranno di ulteriori risorse mediante il trattenimento sul territorio di una parte dei finanziamenti derivanti dalla tassazione. Cosa che non potranno fare le Regioni con una bassai capacità impositiva, come sono tutte quelle del Sud, che non saranno messe nelle condizioni di recuperare il gap rispetto al resto del Paese.
Non è noto a quanto potrebbe ammontare il finanziamento dei Lep; per quanto riguarda il Sud dovrebbe ammontare, secondo calcoli SVIMEZ, a circa 100 miliardi.

In base a quanto definito nell’intesa negoziata con il Governo centrale ogni regione si prenderà una quota di Irpef, di Ires, di IVA a prescindere dal buon uso che ne farà.
Le regioni potranno disporre del 70% del gettito IVA che lo Stato versa annualmente per finanziare la sanità, circa 130 miliardi, oltre a contributi minori, e potrà disporre dell’IRPEF, l’imposta più importante per gettito in Italia, 180 mld anno. Le regioni vorrebbero trattenere il 90% del gettito come le regioni a statuto speciale. Ma questo significa sottrarre soldi allo Stato centrale, alle sue politiche di spesa e anche alle altre regioni. Se si considera che Il 40% di questo gettito viene da Veneto (41,2 miliardi), Lombardia (106,3 miliardi) ed Emilia Romagna (43 miliardi), e corrisponde al 40 % del bilancio dello Stato, significa che 190,5 miliardi uscirebbero dal bilancio dello Stato nazionale ed entrerebbero in quello di queste regioni. Quindi non ci sarebbero più entrate disponibili per le spese dello Stato, per il fabbisogno delle regioni più deboli e per l’Art. 119 della Costituzione che prevede la perequazione fiscale per le regioni con minore capacità di produzione di reddito e di ricchezza. Esso recita “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. Nella legge Calderoli non c’è alcuna traccia di questo passaggio.

Un’altra grossa insidia è data dal fatto che, rispetto alle ventitré materie che possono transitare alla competenza esclusiva delle Regioni che ne faranno richiesta, nove possono essere immediatamente affidate alle Regioni dopo l’entrata in vigore della legge sull’autonomia differenziata, senza passare attraverso la determinazione dei Lep. Non si tratta affatto di materie secondarie. Si tratta di: organizzazione della giustizia di pace; rapporti internazionali e con l’Unione europea; di commercio con l’estero; disciplina delle professioni; protezione civile;  previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Ad esse corrispondono 184 funzioni statali assegnate alle Regioni attraverso le nove materie.

Questa autonomia non ha nulla a che fare con quella prevista dall’Art. 5 della Costituzione che si accompagna a principi di solidarietà ed equità (Art.2), ma è un’autonomia appropriativa per poche regioni ricche. Le regioni del Centro e soprattutto quelle del Sud non saranno assolutamente in grado di finanziare i propri servizi, di fornire cure adeguate, diventeranno clienti del Nord, più ancora di quanto non lo siano adesso. Le risorse per i servizi saranno in funzione dalla capacità fiscale di ogni territorio più che dalle esigenze di una popolazione.

Non essendovi più alcuna attività regolatoria da parte dello Stato, che peraltro non avrà neppure i mezzi per intervenire dove necessario, ogni regione risponderà in base alle proprie capacità e disponibilità finanziarie. Non avranno problemi le Regioni ricche, guarda caso le tre (Lombardia, l’Veneto ed Emilia Romagna) che in gran segreto hanno già sottoscritto le preintese, ma la maggior parte delle Regioni non riuscirà a far fronte alle nuove esigenze finanziarie, perché, come affermato anche nella legge, non sono previsti finanziamenti specifici.

Tornare indietro sarà quasi impossibile e non si potrà neppure sottoporre le intese a referendum abrogativo.

Avremo un’Italia disuguale con l’annullamentto dell’Art.3 “(…..) tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge (…… ) e sarà cancellata la solidarietà nazionale, Art.2 “La repubblica (………) richiede i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Verrà colpito il carattere pubblico e nazionale dell’istruzione, sarà ridimensionato se non annullato il welfare universalistico, il nostro servizio sanitario andrà definitivamente verso la privatizzazione, e così sarà per molti Servizi Pubblici Locali, l’ambiente rischierà di sottostare a interessi di parte e contrastanti con le finalità di tutela che sarà suddivisa tra diverse regioni, si indebolirà ulteriormente la prevenzione degli incidenti nei luoghi di lavoro e sparirà la prevenzione primaria, saranno messi in discussione i contratti collettivi nazionali di lavoro (l Veneto già con le preintese ha chiesto la contrattazione a livello regionale), con conseguenti migrazioni di lavoratori dal Sud verso il Nord. Queste sono solo alcune delle conseguenze.
Avremo un semi-federalismo competitivo, e non è escluso che si possano aprire serie conflittualità tra regioni (ad es. ulteriore migrazione di operatori sanitari dal Sud al Nord, ma anche di altri lavoratori, costo dei farmaci…), in generale i vantaggi di alcune ragioni potranno trasformarsi in svantaggi per altre.

Che fare? Non è accettabile che un provvedimento di questa portata, destinato a trasformare radicalmente il paese, passi col parere favorevole del 22% degli aventi diritto al voto, perché questa è la percentuale dei voti dei tre partiti di governo, 1/5 dell’intera popolazione.
Stanno partendo iniziative di tipo giuridico, ma è necessaria anche la partecipazione delle persone.

Per fortuna l’approvazione della Calderoli ha determinato il compattamento di buona parte delle opposizioni: si sono così ritrovati uniti il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, le sinistre e la variegata composizione della società civile, già da tempo mobilitata attorno ai Comitati contro ogni autonomia differenziata. Si sono schierate contro l’AD la Chiesa, il mondo industriale, e sono arrivate critiche anche da molte istituzioni del paese tra cui Banca d’Italia, Ufficio parlamentare del bilancio e dall’Europa.

Una prima strada è rappresentata dal ricorso alla Consulta: è necessario che una o più Regioni portino la legge, entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, alla Consulta, come prevede l’Art. 127 della Costituzione, per lesioni della propria sfera di competenza. La Corte potrebbe sospendere in tutto o in parte l’atto impugnato. Si sono dette disponibili Campania, Puglia, Sardegna, Toscana. ed Emilia Romagna pur, quest’ultima, con delle incertezze interpretative.

Una seconda strada consiste nell’abrogare la legge per via referendaria (ex. Art.75 della Costituzione), è una via complementare alla prima e riguarda il merito politico. Può essere attivata da 500mila elettori o da 5 Regioni: si possono fare entrambe le cose, l’una non è sostitutiva dell’altra. In base alla legge attuativa del 1975 le firme devono essere depositate in Cassazione entro il 30 settembre in modo che la consultazione popolare possa svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025. A conti fatti ci sono 60 giorni scarsi, in piena estate, per raccoglierle ed i tempi potrebbero non essere sufficienti.

Le realtà aderenti al comitato promotore del referendum hanno deciso di attivare anche una piattaforma digitale privata di raccolta firme, nel contempo si mobiliteranno anche per l’avvio della piattaforma, pubblica e gratuita, che era stata prevista in epoca Covid ma che non è mai stata attivata. Finora l’avvio della stessa è stato rinviato con motivazioni spesso pretestuose. L’impressione è che l’esecutivo Meloni stia rallentando l’attivazione della piattaforma per timore delle consultazioni referendarie che smonterebbero le due riforme madre della destra: autonomia e premierato.

La sfida è certamente complessa per vari motivi. Oltre ai tempo brevissimi, la disaffezione delle persone renderà difficile raggiungere il quorum, cioè la partecipazione di almeno la metà degli aventi diritto, per cui si richiede una enorme partecipazione popolare.
Inoltre L’ammissibilità del referendum non può essere data per scontata, alla luce di una pregressa giurisprudenza costituzionale, che i costituzionalisti ritengono debole.2

Attivare interrogazioni/interpellanze, attraverso cui i parlamentari di opposizione incalzano i negoziatori durante le intese (Governo ed esecutivi regionali) sulle materie e le funzioni oggetto del negoziato (Caderoli), sugli aspetti finanziari (Giorgetti) in rapporto ai Lep, su aspetti che ledono le politiche pubbliche, l’unità giuridica ed economica del paese (Presidente Consiglio).
Per portare a termine tutto questo nel breve termine che si richiede durante il periodo estivo che si annuncia caldissimo è necessario che si costituisca un fronte largo, trasversale e inclusivo di tutti i promotori: Comitati contro l’autonomia differenziata, partiti, organizzazioni, associazioni e altri e che si ricorra sia alla raccolta cartacea sia alle firme digitali on line (tramite spid).

La raccolta cartacea è fondamentale perché ci permette di parlare con i cittadini e le cittadine, gran parte dei quali sono all’oscuro delle complesse implicazioni contenute nell’applicazione della legge e che andranno ad incidere pesantemente nella loro vita quotidiana e sui loro diritti con effetti che si paleseranno anche dopo molto tempo.

NOTE

2- Il procedimento prevede: l’iniziativa della regione interessata. Il negoziato tra governo e regione per definire un’intesa preliminare. L’approvazione dello schema di intesa preliminare da parte del Consiglio dei Ministri, con parere della Conferenza Unificata. L’esame da parte delle Camere che si esprimono con atti di indirizzo. La predisposizione dell’intesa definitiva. L’approvazione dell’intesa definitiva dalla regione e dal Parlamento a maggioranza assoluta. Le intese hanno durata massima di 10 anni, rinnovabili.

2- L’obiezione dice che essendo collegata ala finanziaria non può essere sottoposta a referendum. Ma non dovrebbe valere in questo caso perché si dichiara che c’è invarianza finanziaria; secondo motivo la presunta vincolatività di una legge solo procedurale a fronte di una disposizione costituzionale che non obbliga ma si limita a permettere la richiesta di ulteriori forme di autonomia.

Loretta Mussi

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