Referendum costituzionale. Alcune domande rivolte agli indecisi

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Referendum del 4/12/2106 sulla legge di riforma della Costituzione

Partiti?
Accendo la TV e vedo solo politici in passerella a contendersi gli elettori. In tutto questo vociare la Costituzione c’entra poco, è usata come un lenzuolo da tirare da ogni angolo, finisce che si strappa.
Mi chiedo se la Costituzione sia per caso proprietà privata dei partiti e mi assale un vago senso di nausea.
Il partito che oggi vuol rendere la Costituzione più “moderna” solo pochi anni fa non voleva una riforma di analoga modernità, mentre un partito che allora voleva essere moderno oggi grida NO. Domani certamente qualche altro partito sarà più moderno ancora.
Un partito mi dice: non vorrai mica votare come quelli là? Mi volto e quelli là mi dicono la stessa cosa, e quegli altri là lo stesso.
Se guardassi ai partiti non saprei da che parte voltarmi, non cerco compagni di merenda. Mi dico che La Costituzione non è roba loro, DEVE ESSERE MIA. Mi hanno rubato quasi tutto, mi resta solo la capacità di ragionare con la mia testa.
E allora non mi curo di chi mi tira per la giacchetta e voto come mi pare.
E a chi mi dice che è meglio non votare perché il mio voto verrà strumentalizzato rispondo che sarà così comunque io voti, e sarà così anche se non voto: non mi curo delle cattive compagnie, ho fame di democrazia vera e faccio merenda da solo.
Ho deciso di votare e non mi curo di Brunetta, di Renzi, di Salvini, di Grillo, e dei tanti che mi offrono un panino.

Ubriachi?
La Costituzione è uno strumento di garanzia che un popolo si dà quando è sobrio a valere per quando sarà ubriaco“. Sono d’accordo, mi pare un’immagine molto bella.
Mi guardo intorno, gli ubriachi certo non mancano e non saprei dire quando finiranno gli effetti della sbornia.
I media mi ubriacano ogni giorno di parole vuote, le tecniche del marketing hanno sostituito il confronto sui contenuti, il format della tv mortifica la mia intelligenza, le immagini evocate per convincere e per vincere sono usate per ridicolizzare chi la pensa diversamente e terrorizzare chi è indeciso. Il clima è pesante, l’aria è irrespirabile, vorrei uscire ma non riesco. Sento crescere la nausea.
Mi chiedo se in queste condizioni sia prudente e urgente mettere mano oggi alla Costituzione.

Cambiare?
Mi dicono che occorre cambiare, che così non si può andare avanti. Rispondo che è giusto, ci sono tante cose che non vanno.
Mi dicono che chi ha paura del cambiamento è un nostalgico ancorato ad un passato ormai defunto, che cambiare è urgente, che siamo già in ritardo. Rispondo che è giusto, siamo troppo in ritardo.
Mi dicono che la Costituzione è vecchia e inadeguata.
Rispondo “dipende”, cerco di spiegarmi ma mi rovesciano addosso parole vuote. Vogliono confondermi.
Protesto, cerco di ribattere ma la mia voce è troppo debole e viene sommersa dalla demagogia e dagli insulti. Mi dico che non è giusto.

Roba vecchia?
Mi chiedo a quale età una Costituzione può essere considerata vecchia.
Mi dico che prima dovrei rispondere a un’altra domanda: quante parti della Costituzione che nessuno oggi osa (ancora) cancellare sono rimaste solo sulla carta e non attuate? Cominciamo dall’articolo 3?
Ho un’altra domanda: le modifiche lasciano intatto lo spirito della “vecchia” Costituzione oppure lo intaccano pesantemente? Certo che 47 articoli modificati su 139 non sono una bazzecola, ne modificano una buona parte e quella che rimane non sarà più la stessa.
La Costituzione del ’48 sapeva guardare lontano, l’orizzonte temporale a cui guarda chi vuole cambiarla (oggi il PD, ieri Forza Italia e Lega, domani chissà) coincide con il tempo rimanente della legislatura e il soffio di un sondaggio: l’hai appena pensata e sei già pentito.
Mi sorge il dubbio che chi dice che la Costituzione è vecchia ci ubriachi di parole fingendo lungimiranza per nascondere gli intenti.
Andrei molto cauto nel modificare uno strumento di garanzia scritto da chi era certamente lungimirante e sobrio: la Resistenza aveva appena allontanato i fumi dell’alcool e i gas tossici respirati per un ventennio.

Vincitori e vinti?
Una Costituzione dovrebbe essere un patto che coinvolge la maggior parte possibile dei cittadini e di chi li rappresenta, un elemento di unione nazionale e non di divisione. O no?
E’ pur vero che un costituzionalista aveva affermato che “È sbagliato dire che una Costituzione deve essere voluta da tutto il popolo. Una Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Qual è il mio sogno? Lega e Forza Italia raggiungono la metà più uno. Metà degli italiani fanno la Costituzione anche per l’altra metà. Poi si tratta di mantenere l’ordine nelle piazze“. Era il ’94 e chi scriveva queste cose era Gianfranco Miglio, costituzionalista di riferimento della Lega Nord. Mi sono detto che passata la Lega e Forza Italia, sarebbe passata la paura. Sbagliavo.
Nel Manifesto dei Valori del Partito Democratico approvato il 16 febbraio 2008 e ancora oggi attuale (http://www.partitodemocratico.it/manifesto-dei-valori/) ho letto:
[…]  La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercè della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i principi e i valori della Carta del 1948 […]
Mi chiedo se sia coerente con questi valori una riforma costituzionale imposta da un governo a colpi di maggioranza e con il ricorso al voto di fiducia. Senza contare l’approvazione poi venuta da un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata anticostituzionale dalla suprema Corte.
Eh, la coerenza è cosa rara. Mi torna in mente quanto scriveva Gianfranco Miglio.

Sempre NO?
Mi dicono che dire sempre NO è indice di mancanza di coraggio. Rispondo che è giusto.
Mi dicono che dire sempre NO è un atteggiamento retrogrado e disfattista. Rispondo che è giusto.
E allora mi fanno notare che se dico NO a questa riforma che guarda al futuro e risponde a nuove esigenze non sono coerente.
Rispondo che non è vero, rivendico la mia coerenza e cerco di spiegare le ragioni del mio NO.
Anche i NO aiutano a crescere, a migliorare, a guardare al futuro mantenendo la memoria del passato. E poi dire NO è un diritto e i diritti non passano di moda. O no?
D’altra parte se mi abituassi a dire sempre SI potrei rischiare di dover poi dire sempre signor-sì. E questo non è giusto.

Spread?
Si avvicina la scadenza del voto e il rullo dei tamburi si fa ogni giorno più intenso. I mercati fingono di agitarsi, sale lo spread e c’è chi sventola lo spauracchio di una nuova Exit dall’Europa in caso di vittoria del NO. Altrimenti un futuro radioso ci vedrà governare il cambiamento alla guida di un’Europa che non potrà più permettersi di chiederci più di quanto diamo per poi restituircene la metà. Vai sereno, i lavori sono in corso, scusate il disagio, stiamo lavorando per te.
Ma sarà proprio cosi? Stanno lavorando per me?
Poco tempo fa avevo letto cosa scriveva in un suo documento una delle più importanti banche d’affari a proposito di riforma costituzionale nel nostro paese: “Le Costituzioni e i sistemi politici dei Paesi della periferia meridionale, costruiti in seguito alla caduta del fascismo, hanno caratteristiche che non appaiono funzionali a un’ulteriore integrazione della regione. […]  Queste Costituzioni tendono a mostrare una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che le sinistre conquistarono dopo la sconfitta del fascismo. Questi sistemi politici periferici mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche: governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; costruzione del consenso fondata sul clientelismo politico; e il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo. I punti deboli di questi sistemi sono stati rivelati dalla crisi. […] Ma qualcosa sta cambiando: il test chiave avverrà l’anno prossimo in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in importanti riforme politiche…
Era il 2013, si sa come vanno le cose, in Italia non rispettiamo mai le scadenze.
Salvatore Settis aveva definito il documento di J.P. Morgan “un ordine di servizio che viene da lontano“.
Come sarà che oggi Confindustria, Marchionne e poteri forti fanno il tifo senza pudore?

Semplificazione?
Mi dicono che c’è troppa burocrazia che rallenta. Dico che è vero.
Mi dicono che occorre sveltire, accelerare, fare presto, pena la paralisi. Rispondo che è bene stare in guardia: qualche volta la fretta porta cattivi consigli.
Mi dicono che la riforma semplifica le procedure e consente un iter più rapido per l’approvazione delle leggi oggi ostacolato dalla presenza di due camere che fanno lo stesso lavoro. Faccio notare che il problema non sono i tempi di approvazione delle leggi ma il fatto che abbiamo troppe leggi spesso confuse e che si sovrappongono, che il problema non è legiferare in fretta ma legiferare bene: nella scorsa legislatura sono state approvate 391 leggi (una legge ogni 4,6 giorni), tre volte tanto rispetto Regno Unito e Spagna, il doppio che in Francia.
Dico che la riforma non velocizza perché ho letto le nuove norme: c’è sì una accelerazione ma solo laddove è prevista una corsia preferenziale per le leggi proposte dal Governo che devono essere approvate entro 70 giorni; per il resto le nuove procedure sono più farraginose e complicate prevedendo ben 10 diversi iter per l’approvazione delle leggi.
E chiedo se per caso qualcuno ha capito come verranno nominati i senatori: una delle poche cose certe è che non saranno eletti dai cittadini e l’immunità parlamentare si estenderà a un buon numero di consiglieri regionali e sindaci. Così si velocizzano soltanto gli iter giudiziari…
A chi insiste sulla semplificazione faccio poi notare sconsolato la mancanza di un sia pur minimo comune senso del pudore. Basta guardare a come è stato riscritto l’articolo 70 che nella formulazione originale recitava: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” (sono 9 parole). Vi indico un  link dove trovare la nuova formulazione (363 parole), poi decidete voi se è più semplice e chiara:
http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf

Governabilità?
Ma è proprio vero che oggi non si riesce a legiferare e si perde troppo tempo?
Ho il dubbio che la bandiera dell’efficienza venga usata come ricatto per approvare un progetto di ingegneria istituzionale a fortissima connotazione autoritaria piuttosto che affrontare i nodi politici. Chi è bene informato sui meccanismi e il funzionamento del parlamento sostiene che  basterebbe rivedere i regolamenti parlamentari per aumentarne l’efficienza.
E in ogni caso la maggiore o minore governabilità mi pare sia una questione politica e non un semplice problema tecnico: è un problema di maggiore o minore coesione delle forze politiche, di mancanza di un progetto politico lungimirante capace di aggregare un gran numero di cittadini, è un problema di compattezza o di divisioni tra maggioranze e minoranze all’interno dello stesso partito.
Nel 1970 c’erano Camera e Senato con gli stessi poteri e un sistema proporzionale puro. Era un periodo di grande fermento politico e di grandi lotte sociali. Ebbene, in soli sette mesi Camera e Senato approvarono un complesso di leggi che cambiarono letteralmente il volto del paese: tra queste il divorzio e lo Statuto dei lavoratori.

Abbattimento dei costi?
Mi dicono che la riduzione del numero di senatori comporta un notevole risparmio sui costi della politica. Chi ha fatto i conti ha calcolato che per ogni cittadino il risparmio non arriverebbe a 1 euro. Non è granché.
Senza cadere nella trappola della facile demagogia: basterebbe un’equilibrata riduzione dei compensi per tutte le cariche pubbliche elettive (realizzabile con una semplice legge ordinaria) e il risparmio sarebbe incomparabilmente maggiore. A chi mi obietta “meglio poco che niente” rispondo che quel poco mi costa troppo: ad esempio perché al Senato viene assegnato un ruolo prevalentemente solo consultivo sul piano legislativo, indefinito e confuso su molti punti. E soprattutto non più eletto dai cittadini ma nominato di fatto dai partiti. A chi accenna al superamento del bicameralismo ricordo che la legge parla d’altro, che il senato non viene abolito: semplicemente messo in condizione di non nuocere e di non disturbare un qualsiasi governo.
E nel bilancio costi/benefici il risultato non mi torna.

Renzi?
Renzi oggi c’é domani non c’è più. Meglio fare presto e costruire il futuro? Chissà.
Per ogni Renzi che passa c’è un renzismo che rimane. E’ stato così con Berlusconi, e prima era stato così con Craxi. Siamo in discesa, pedalare non serve, serve una svolta a U, meglio pedalare in salita.
A chi mi dice che con il voto del 4 dicembre devo salvare o affossare Renzi rispondo che guardo soprattutto al rischio di un parlamento ostaggio di un qualsiasi governo. La deriva autoritaria è scritta nella riforma della Costituzione e nell’Italicum. Non credo a chi mi dice “fidati di me”, lavorerò per il tuo bene.
Le corsie preferenziali vanno bene per le ambulanze e per i bus, non per un governo che non intende più essere esecutore della volontà del Parlamento ma suo organo direttivo.
E’ scritto nella riforma, basta leggerla e spegnere la TV.


Dichiarazione di voto

Il 4 dicembre andrò a votare e voterò NO.
Andrò a votare non certo per un malinteso senso del dovere: è passato il tempo dei sensi di colpa indotti da chi non ha più sani prinicipi.
Voterò NO non soltanto perché mi fido più di Rodotà che di Napolitano, né perchè dal mio voto può dipendere un rafforzamento o una caduta del governo dei vaucher.
Voterò NO perché non sopporto la dittatura di una maggioranza, figuriamoci quella di una minoranza.
Andrò a votare non per legittimare un sistema di democrazia apparente in cui la politica è sempre più ostaggio dei mercati, ma perché con il mio NO cerco di porre un freno a questa deriva.
Andrò a votare perché penso che un NO gridato possa avere più forza di un silenzio motivato.
Ma soprattutto andrò a votare perché voglio ricordare ai partiti (tutti) che la Costituzione non è una loro proprietà privata, e voterò NO infischiandomi delle cattive compagnie che voteranno come me.

Pensierino semiserio

La democrazia reale è altra cosa rispetto a quella formale e di facciata.
Nessuno può pensare che la democrazia reale dalle nostre parti goda di ottima salute. A seconda dei casi si oscilla tra chi pensa che sia gravemente malata e chi pensa sia morta del tutto. E c’è chi crede che non sia mai nata e che mai possa nascere.
Personalmente credo che la democrazia sia in coma: avrà senso  un accanimento terapeutico?

Se guardo bene mi pare però si tratti di coma farmacologico, indotto cioè da farmaci ipnotici (barbiturici) e anestetici. E i medici che somministrano questi farmaci mi pare non abbiano molto interesse a far guarire il paziente ma semplicemente a renderlo innocuo.
Il coma farmacologico consiste infatti in un rallentamento del metabolismo del cervello.
Si pone un problema: non è provato scientificamente che la demo-crazia (che letteralmente significa potere del popolo) abbia un cervello.
Le persone invece un cervello ce l’hanno e ne deduco che i farmaci che ne rallentano il metabolismo sono somministrati direttamente al popolo, e quindi anche a me.

Voglio uscire dal coma e rimettermi in piedi.
E prima di perdere del tutto la speranza in un futuro diverso da quello ipotizzato dai medici  che si affannano al mio capezzale cercherò di somministrare loro una piccola dose di farmaci ipnotici e anestetici per provocare in loro uno stato di coma farmacologico: voterò NO. E se poi il coma dovesse diventare irreversibile me ne farò una ragione.

Voterò NO anche se non sono così incosciente da illudermi che basterà questo per fare uscire la democrazia dal coma.


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