Reggio Calabria, quei treni da non dimenticare
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta il Sud dell’Italia è attraversato da diversi movimenti di rivendicazione sociale. Le organizzazioni di estrema destra rispondono a questa ondata di protesta in due modi. Da un lato con una serie di attentati dinamitardi: il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fa deragliare il treno Freccia del Sud provocando 6 morti e 54 feriti e il 4 febbraio 1971 viene lanciata una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro. Dall’altro tentando di accreditarsi al grido di “Boia chi molla” come rappresentanti degli interessi della popolazione in lotta.
Dal luglio 1970 al febbraio 1971 una serie di sommosse interessano Reggio Calabria anche in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro nel quadro dell’istituzione degli enti regionali. Per mesi la città sarà barricata, a tratti paralizzata. La calma verrà ristabilita solo dopo 10 mesi di assedio con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città.
L’anno dopo, nel 1972, Ciccio Franco – uno dei leader della sommossa – sarà eletto al Senato. In ottobre i sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil (insieme ai sindacati degli edili e alla Federbraccianti Cgil) organizzano una grande manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi.
La manifestazione – indetta per il 22 ottobre 1972 e fortemente voluta da Trentin, Carniti e Benvenuto (insieme a loro sono in città Luciano Lama e Rinaldo Scheda, alla guida degli edili Cgil c’è Claudio Truffi, a capo della Federbraccianti Feliciano Rossitto) è preceduta da una Conferenza sul Mezzogiorno alla quale partecipano anche Alfredo Reichlin e Pietro Ingrao.
Sono cinquantamila i lavoratori che arrivano da ogni dove per dire che la strada della rinascita del Mezzogiorno non può e non deve essere quella tracciata dalla destra. Che la strada per la rinascita del Sud può e deve essere un’altra. E che è innanzitutto grazie alle forze del lavoro, alla loro unità, che la questione meridionale può trovare una risposta.
I neofascisti tenteranno di impedire l’arrivo dei manifestanti con una serie di attentati nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. Ma, nonostante i tentativi criminosi (già a partire dal 15 ottobre, erano avvenuti nella città una serie di attentati a danno della sede della Uil, di una sede del Pci, di una sede del Psi e di alcuni edifici pubblici), tantissimi manifestanti riusciranno a raggiungere – anche se in tempi diversi – Reggio Calabria.
I primi pullman cominciano ad arrivare al mattino presto, nella notte atterrano due aerei – uno da Trieste e l’altro dalla Sardegna –, da Genova e da Napoli approdano due navi e anche i treni in serata riescono a raggiungere la stazione.
Intorno alle 11 il corteo è pronto per partire. La notizia delle bombe lungo la ferrovia passa di bocca in bocca. Ci sono molti fascisti in giro. Braccia tese, saluti romani, dalle vie laterali piovono pietre. Tutto sembra immobile, sospeso. A rompere gli indugi sono gli operai dell’Omeca, la fabbrica di Reggio ferita nella notte da una bomba.
“Voi ve ne andate, noi restiamo qui. Se non la facciamo oggi, la manifestazione, non la facciamo più”, dice qualcuno. Così, ancora una volta con gli operai e gli ex partigiani in testa come a Genova dieci anni prima, il corteo comincia ad avanzare.
“E alla sera Reggio era trasformata – canterà Giovanna Marini –, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, il Nord è arrivato nel Meridione. E alla sera Reggio era trasformata, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, gli operai hanno dato una dimostrazione”.
Ilaria Romeo
19/10/2022 https://www.collettiva.it
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