Riapre il Cpr di Torino

Torino, uno striscione appeso in corso Brunelleschi. Foto dalla pagina Facebook di No Cpr Torino

Sanitalia si aggiudica l’appalto

Dopo la chiusura di marzo 2023, riapre a Torino la struttura che era stata ritenuta disumana. Dopo alcune proteste, nelle quali i migranti ospitati avevano danneggiato i locali in cui erano reclusi, il centro non era più agibile. Il gruppo Sanitalia ha vinto l’appalto, ma a Torino associazioni e forze politiche si mobilitano

Aggiornamento: Il gruppo Sanitalia ha vinto l’appalto da 8,4 milioni di euro per la gestione del Cpr di Torino. Il centro di permanenza per il rimpatrio era stato chiuso a marzo 2023, dopo i danneggiamenti dovuti alle proteste per le condizioni di vita. 


Non esiste ancora una data ma, in attesa che la gestione venga affidata, sembra essere prossimo alla riapertura il Centro di permanenza per il rimpatrio degli immigrati con provvedimento di espulsione (Cpr) di via Santa Maria Mazzarello, a Torino, soprannominato il “Brunelleschi”, dal nome del corso su cui si affaccia. La struttura era stata chiusa a marzo 2023 perché la vita all’interno era diventata impossibile dopo le proteste di febbraio durante le quali i migranti avevano danneggiato i locali in cui erano reclusi.

Disumano, inefficace e costoso 

“Le persone che abitano nel quartiere non vogliono il Cpr e non solo per una questione di sicurezza. La gente sente il disagio: è una ferita nella quotidianità della vita urbana” racconta la presidente della circoscrizione 3

Le proteste erano solo l’epilogo del percorso che ha condotto alla chiusura. Lo stesso Comune di Torino – in un incontro promosso a Palazzo Civico dalla garante dei detenuti, Monica Gallo, e dall’assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli – lo aveva definito “disumano, inefficace e costoso”. 

I migranti rinchiusi protestavano contro le pessime condizioni di vita: perenne sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie al limite, assistenza sanitaria inadeguata, tempi di reclusione lunghissimi, mancanza di attività e assenza di contatti con l’esterno, oltre a una detenzione indifferenziata tra richiedenti asilo, migranti vulnerabili, persone con disabilità, presunti minori e persone socialmente pericolose, con precedenti penali o accuse di terrorismo. Alcuni moduli abitativi – 50 metri quadrati, bagni inclusi – in cui vivevano, mangiavano e dormivano sette persone non avevano le porte dei servizi igienici, che per giunta stavano a pochi metri dai letti più vicini. Per ragioni di sicurezza non si poteva accendere o spegnere le luci oppure mangiare seduti a un tavolo.

La struttura ha una capienza massima di 210 posti, ma gran parte dei moduli abitativi erano ormai inutilizzabili e così nel febbraio 2023 i 121 migranti rinchiesti nel Cpr abitavano in spazi che ne avrebbero accolti al massimo novanta.

In una zona separata dalle altre aree detentive si trovava l’ospedaletto, struttura che di sanitario, a parte il nome, non aveva nulla: le dodici camere doppie venivano usate per l’isolamento dei detenuti più difficili. È in una di queste che a maggio del 2021 è morto Moussa Balde, 22enne guineano, vittima di un pestaggio a Ventimiglia e suicida a Torino.

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Il governo vuole nuovi Cpr

Nella scorsa primavera il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva annunciato il rafforzamento del sistema di trattenimento dei migranti tramite l’apertura di nuovi Cpr in ogni regione italiana. Con tanto di elenco, non pubblico ovviamente, dei luoghi papabili, sui quali si stavano facendo “le ultime verifiche tecniche” con l’indicazione che fossero facilmente sorvegliabili, distanti dai centri abitati e nei pressi degli aeroporti usati per i rimpatri.

Attualmente i Cpr in Italia sono dieci. Si trovano a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Potenza, Trapani, Gradisca d’Isonzo, Macomer (Nuoro), Milano e Torino. Ma come detto, quest’ultimo è chiuso. Tuttavia, salvo l’apertura del centro in Albania, dei venti nuovi Cpr annunciati dal ministro nessuno ha aperto i battenti. Quindi sarà sembrato più semplice riaprirne uno che esiste già, quello di Torino appunto. 

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Nessuna comunicazione da Roma

Da Roma, però, non ci sarebbe stata nessuna comunicazione con l’amministrazione cittadina. “Con il ministero dell’Interno non esiste nessun dialogo. Subito dopo la chiusura del 2023 abbiamo mandato a Roma la richiesta ufficiale del Comune per non riaprire mai più il centro, con tanto di proposte alternative per un’accoglienza diffusa, ma non è mai arrivata alcuna risposta”, spiega a lavialiberaFrancesca Troise, presidente della Circoscrizione 3 e competente per la zona di Torino in cui si trova il Cpr.

Alla riapertura del Brunelleschi, il centro dovrebbe avere 70 posti (pari a un terzo di quelli della precedente gestione) nelle aree rosse e blu, già ristrutturate. “Settanta persone sono un numero gestibilissimo e per questo motivo circoscrizione e Comune propongono di usare metodi diversi dalla brutale reclusione scelta dal ministero”, aggiunge ancora Troise. Le proposte per limitare la detenzione amministrativa variano dall’obbligo di firma al trattenimento per il tempo del riconoscimento nelle camere di sicurezza della città, oppure all’inserimento e presa in carico da parte di associazioni di quartiere o della città con tanto di accompagnamento ai corsi di italiano e all’assistenza sanitaria.  

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Due aziende in lizza per la gestione

La gara d’appalto, ovviamente al ribasso, ha una base di otto milioni e mezzo di euro per una gestione di 24 mesi, prorogabile per altri dodici. All’inizio di ottobre è stato pubblicato l’esito della gara europea per l’affidamento dell’appalto di gestione e sono state ammesse solo due proposte su tre, quella della cooperativa Ekene di Padova e quella della cooperativa Sanitalia Service di Torino. Cooperative in concorrenza da tempo nel settore tanto che a Milano, lo scorso agosto hanno gareggiato per il bando di gestione del Cpr di via Corelli, commissariato dal Tribunale. In quel caso ha vinto Ekene presentando un’offerta da 3,085 milioni di euro per due anni, con base d’asta a 7,7 milioni. Il nuovo contratto per il Brunelleschi doveva partire il 1° novembre. ma ad oggi non è ancora stato annunciato l’esito. 

Fuori dai centri abitati

“Paradossalmente io sostengo che sia un bene che stiano vicini ai centri abitati perché almeno si garantisce un minimo di controllo sociale” Guido Savio – Avvocato, componente Asgi

Il problema è che la decisione sulla riapertura è stata presa senza alcun confronto con gli enti cittadini o con gli abitanti della circoscrizione in cui il centro si trova. E probabilmente nemmeno con le linee guida per la costruzione dei nuovi Cpr, che indicano come idonei luoghi fuori dai centri abitati. Quando nel 2017 i centri di identificazione ed espulsione (Cie) furono convertiti in Cpr, le indicazioni del ministero (allora guidato da Marco Minniti, Pd) su apertura e costruzione dicevano che i nuovi centri sarebbero stati piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, in luoghi lontano dalle città e vicino agli aeroporti.

Il Brunelleschi si trova invece in un quartiere, Pozzo Strada, densamente abitato: “La logica è che gli serve, quindi utilizzano quello che c’è – ci dice Guido Savio, avvocato, membro di Asgi, esperto di diritto penale e dell’immigrazione -. Paradossalmente, per il punto in cui siamo, io sostengo che sia un bene che stiano vicini ai centri abitati perché se da un lato danno fastidio ai residenti per disordini e proteste, rumore e perdita di valore degli immobili da un altro almeno si garantisce un minimo di controllo sociale. Chi abita nei palazzi vicini, dall’alto, vede tutto quello che succede in quei cortili. E ripeto, vista la tragicità, è bene che qualcuno veda”.

Una rete civica contro la riapertura

Per opporsi alla riapertura la circoscrizione 3 di Torino si è mossa subito e insieme al Comune e alla garante dei detenuti ha creato una rete civica, in cui sono entrati il Gruppo Abele, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Cgil, Cisl, Uil, Anpi, Arco, Acli, Arci, Uisp la commissione solidarietà dell’Ordine dei Medici di Torino, il referente della Pastorale migranti della diocesi e altri continuano ad aggiungersi. “Le persone che abitano nel quartiere non vogliono il Cpr e non solo per una questione di sicurezza. Quel luogo rappresenta la negazione dei diritti umani. Ci sono state proteste e rivolte, tantissimi atti di autolesionismo, un suicidio. La gente sente il disagio: è una ferita nella quotidianità della vita urbana. Non si spiegano perché lo Stato abbia scelto di dedicare delle risorse per un luogo che inghiotte la gente e azzera i principi democratici del nostro paese” racconta la presidente della Circoscrizione 3. 

“A livello legale non ci sono contromisure che possano evitare la riapertura perchè la competenza è dello Stato e non degli enti locali – aggiunge Savio –. Avendolo sistemato e speso dei soldi è chiaro che intendano aprirlo. Non si torna indietro. Si può solo aspettare la data.”

Dubbi sull’efficacia dei Cpr

Se l’apertura sembra ormai sicura rimangono invece i dubbi sull’efficacia, del Brunelleschi come dei Cpr di tutta Italia.

I numeri dei rimpatri sono minimi, a fronte di una spesa pubblica enorme. Il rapporto Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri, pubblicato a ottobre da ActionAid e dal dipartimento di scienze politiche dell’Università di Bari, fornisce i dati di ciascun Cpr della nostra penisola mettendo in evidenza il numero dei rimpatri, quindi l’efficacia, e i costi in relazione alle varianti singole e ai tempi di detenzione media.

Ebbene, il Cpr di Torino ha una percentuale di rimpatri eseguiti del 37 per cento, più bassa di dieci punti rispetto alla media nazionale del periodo 2018-2023. La percentuale di uscite per decorrenza termini raggiunge il 21 per cento degli ingressi (a Milano è il 10 per cento), molto al di sopra della media nazionale. Nella gestione 2018-2023 ha registrato una media di 88 presenze giornaliere e di 783 ingressi annuali con una permanenza media di 46 giorni (la media nazionale è di 36 giorni). Il 24 per cento degli ingressi annui proviene dal carcer, mentre a livello nazionale è più bassa di nove punti. La quota di richiedenti asilo è del 15 per cento, che nel resto del paese sale al 22 per cento.

Nel periodo 2018-2023, ogni persona nella struttura ha avuto un costo giornaliero medio di 34,30 euro, poco al di sopra del dato nazionale. Il costo complessivo della struttura è stato di oltre quindici milioni di euro, di cui il 32 per cento per la manutenzione straordinaria, segno questo delle numerose proteste sfociate in gesti vandalici. Infine, “nonostante sia stato sostanzialmente chiuso per l’intero anno, nel solo 2023 il Cpr di Torino è costato oltre tre milioni di euro. Il costo medio di un singolo posto nel 2022 è stato pari a poco più di 16mila euro”, numeri che oggi indicano il Brunelleschi come il Cpr più costoso di tutta Italia, e alla luce della bassa percentuale di rimpatri, in relazione ai costi elevati, portano a dedurre che il vero scopo non sia rimpatriare. Piuttosto rassicurare l’elettorato e, eventualmente, intimorire i migranti. 

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Uno scenario aperto

L’inchiesta sulla morte di Moussa Balde ha visto pochi giorni fa l’archiviazione di dieci persone indagate a vario titolo. Secondo il giudice per le indagini preliminari (gip), le “gravi criticità nella gestione e idoneità dei locali del Cpr da parte di tutti gli enti e responsabili preposti” non sono “perseguibili penalmente per difetto di specifica copertura sanzionatoria”. Insomma, le violazioni ci sono state, ma “l’assenza di un sistema di adeguata vigilanza del rispetto dei loro diritti” e la “farraginosità della normativa relativa ai trattenuti nei Cpr” salva gli indagati.

Tuttavia, poche settimane fa “un giudice di pace di Roma ha finalmente accolto le sollecitazioni che tutti gli esperti del settore facevano da anni sul sistema dei Cpr – ci racconta l’avvocato Savio – ponendo alla Corte costituzionale una questione di legittimità sul profilo dei modi della detenzione che non sono determinati per legge. Oggi, i privati che gestiscono i Cpr hanno la massima autonomia sulla detenzione dei migranti nelle strutture. Non esiste nessuna legge che disciplini questo settore. Mentre l’articolo 13 della nostra Costituzione prescrive sia i casi che i modi di limitazione delle libertà personali. Tutte le libertà personali, anche quelle dei migranti trattenuti in Cpr devono essere disciplinate dalla legge. Ora la Corte dovrà decidere la questione di legittimità costituzionale e, se accolta, il parlamento, come è per il carcere, dovrà disciplinare i modi della detenzione. Questo potrebbe cambiare tutto il sistema”.

Toni Castellano

5/12/2024 https://lavialibera.it

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