Richiedenti asilo, tornano i permessi umanitari

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A quasi un mese dalla sentenza della Cassazione che ha stabilito la non retroattività del «decreto sicurezza» ritorna la protezione umanitaria. Secondo i dati del Viminale, a febbraio le commissioni territoriali per l’asilo hanno riconosciuto questo tipo di permesso a 1.821 persone. Si tratta del 28% delle domande esaminate.

Dopo il 5 ottobre scorso, data di entrata in vigore del decreto poi convertito in legge, le percentuali erano diminuite progressivamente: 12% in quel mese (1.105 casi), 5% a novembre (356 casi), 3% a dicembre (236 casi), fino al 2% del gennaio di quest’anno (150 casi). Parallelamente i dinieghi complessivi delle richieste di protezione erano passati dal 72% di settembre 2018 all’88% del primo mese del 2019. A febbraio sono scesi al 62%.

INTANTO IERI è saltato un altro pezzo importante del «decreto Salvini». «Il Tar della Basilicata ha accolto i ricorsi proposti dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione della sezione Basilicata e da LasciateCIEntrare – scrivono le due associazioni in un comunicato congiunto – contro i provvedimenti di cessazione delle misure di accoglienza emessi dalla prefettura di Matera nel dicembre 2018 nei confronti di due titolari di protezione umanitaria, individuati fra i cosiddetti “vulnerabili”».

Il tribunale amministrativo regionale ha dunque sancito la non retroattività del provvedimento anche rispetto alla revoca delle misure di accoglienza per le persone in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Un principio che vale non solo in presenza di situazioni di vulnerabilità, come per i due giovani ricorrenti di Burkina Faso e Nigeria, ma a favore di tutti i titolari di protezione umanitaria.

IL MINISTRO DELL’INTERNO, comunque, ha preferito concentrarsi su un’altra questione: l’ennesima diminuzione degli sbarchi. «Dal primo giugno, giorno in cui si è insediato il nuovo governo, al 31 dicembre 2018 sono sbarcati in Italia 9.900 immigrati a fronte dei 59.141 arrivati nell’anno precedente – ha detto Salvini – la riduzione è stata dell’83%. Un trend che è ancora migliorato nel 2019, con 335 sbarchi a fronte dei 5.938. La riduzione è del 95%». Secondo il ministro a meno partenze corrisponderebbero meno morti e nel 2018 sarebbe «diminuito il numero di persone decedute e disperse» nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Questa tesi è stata più volte contestata da tutte le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo. Le Ong sostengono che le politiche italiane di chiusura dei porti e attacco alle missioni di monitoraggio e soccorso nelle acque internazionali hanno avuto l’effetto principale di far calare il silenzio su ciò che accade in mezzo al mare. Per non parlare degli effetti che gli accordi con Tripoli hanno prodotto sulle vite di migliaia di persone intrappolate nell’inferno dei lager libici.

«PROBABILMENTE sono aumentati i morti in mare, ma questo non lo sappiamo, probabilmente sono aumentati i giorni o i mesi di detenzione nei centri libici – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Marzia Sabella – fatto sta che a noi risulta ancora un mercato fiorente che si fa addirittura più palese e che conta su una certa impunità».

Sabella ha poi aggiunto che negli ultimi due anni, di pari passo con la diminuzione degli arrivi di migranti dalle coste libiche, sono aumentati gli «sbarchi fantasma» da quelle tunisine.

Giansandro Merli

14/3/2019 https://ilmanifesto.it

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Il tarlo dell’indifferenza, così ci ha contagiato. 

La diagnosi del grande scrittore Cechov: «L’indifferenza è la paralisi dell’anima, una morte prematura». Forse diventando tanto grandi, tanto globali, siamo diventati anche più indifferenti.
In realtà l’indifferenza è uno dei tanti affluenti del grande fiume della globalizzazione, quello che ha stravolto, nel bene e nel male, i nostri stili di vita e anche il nostro modo di stare insieme. Più siamo diventati tanti e grandi, più tutto si è ingigantito, e meno riusciamo a vedere l’altro, specie se lo spazio, per paradosso, lo allontana da noi.
Siamo diventati indifferenti a cose che pure dovrebbero appartenere alla nostra anima, prima che ai codici da brava gente o brava persona che dir si voglia. Il grande scrittore Cechov diceva che «l’indifferenza è la paralisi dell’anima, una morte prematura». 
Siamo indifferenti per tanti motivi: raffreddamento dei sentimenti, mancanza di tempo, incapacità di riflettere, di allungare lo sguardo e l’orizzonte al di fuori di un ristretto campo di visuale, prosciugamento di passioni e talvolta anche di curiosità. Bulimia di inutilità e di cose inutili. Ma a prescindere dal come e dal quando ci siamo così allontanati dagli altri (che invece sono sempre vicini a noi, specie quando soffrono), ciò che conta è che non riusciamo a pesare lo spreco dell’indifferenza. Quanta parte della nostra anima consuma, e quanta parte della nostra vita spegne, colpendo prima lo spirito e poi, in tanti casi, anche il corpo. Notatelo: le persone dedite quasi in modo maniacale all’indifferenza, invecchiano anticipatamente, perdono qualsiasi caratura, non trasmettono nessuna emozione o sensazione. Sono destinate a una solitudine da abbandono, a un conto che arriva sul tavolo della loro vita così chiusa, da sempre e per sempre.
L’indifferenza è come un virus che dilaga ovunque e comunque. E combatterla non è una tecnica o un’arte che si assimila sui libri, scritta in qualche legge, in un regolamento. Combatterla significa non rinunciare mai alla capacità di commuoverci, anche solo per un secondo, significa ricordarsi dell’energia vitale dell’amore, prima ancora del suo batticuore, significa Non sprecare ciò che tanti neanche si sognano di possedere, significa sapere che l’altro è anche nell’albero che stiamo distruggendo o nell’immigrato che vorremmo fermare con chissà quale muro.
Infine, attenzione al lessico ed ai comportamenti collegati al linguaggio. La patologia dell’indifferenza non ha nulla a che vedere con un sano distacco dalle cose contingenti, un’accorta presa di misure e di distanze da quegli affanni quotidiani (talvolta gonfiati ad arte dalla nostra debolezza) che ci schiacciano sul presente, come dei topolini che finiscono sotto la suola di una scarpa. L’indifferenza è una sconfitta, sempre e comunque; il distacco dalle cose è un’autodifesa, talvolta irrinunciabile.
Marilena Pallareti
Docente
Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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