Riflessioni critiche sul film “Rosa dell’Istria”
Un film revisionista
Ho aspettato due giorni per scrivere questo articolo, ma credo che sia arrivato il momento di fare una seria critica al film “La Rosa dell’Istria”, precisando che si tratta dell’ennesimo film che – per quanto mia auguro sia stato interpretato in buonafede dagli attori – esprime perfettamente la matrice revisionista e revisionista della storia riguardante “il confine orientale”, come lo definiamo in Italia.
Essendo ambientato tra il 1941 e il 1945, il film esprime fin dall’inizio delle criticità fin dalle sue prime espressioni: “Slavi vogliono prendere possesso di queste terre” o “Slavi e italiani hanno sempre convissuto in pace in queste terre” – dichiarazioni fatte dai personaggi che nulla hanno a che fare con la realtà storica.
Cercano di far passare il messaggio che quelle terre fossero sempre state italiane e che solo in quegli anni gli slavi volessero occuparle ed impossessarsene, omettendo che quelle terre fossero sempre state slave fino all’italianizzazione fascista, avvenuta precisamente vent’anni prima. Gli slavi sono sempre stati lì, ma vennero cacciati da chi si è impossessato delle loro terre. Questo smentisce anche il fatto che italiani e slavi abbiano sempre convissuto pacificamente essendo gli italiani importati come coloni in terre non loro. Precisamente, come ricorda la storica Alessandra Kersevan nel suo libro “Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943” pubblicato nel 2008, dopo l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia, fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani. Arbe-Rab, Gonars, Visco, Monigo, Renicci, Cairo Montenotte, Colfìorito, Fraschette di Alatri sono alcuni dei nomi dei campi in cui furono deportati sloveni, croati, serbi, montenegrini e in cui morirono di fame e malattie migliaia di internati. Una tragedia rimossa dalla memoria nazionale e raccontata in questo libro anche grazie ad una importante documentazione in gran parte inedita fatta di foto, lettere, testimonianze dei sopravvissuti. A tal riguardo il Gruppo Diecifebbraio, diretto dalle storiche Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan, ha messo a disposizione un libro in pdf di Franco Potocnik dal titolo “Il campo di sterminio fascista: l’Isola di Rab” di cui consigliamo la lettura.
Su tutto questo, il film non fa minimamente menzione, eppure risulta un fatto storico strettamente collegato al tema che il film stesso tratta. La trama è incentrata, senza alcuna contestualizzazione storica, esclusivamente sugli “italiani delle Venezie” (Istria, Dalmazia e Venezia Giulia) come se null’altro fosse toccato dalla storia.
Oltre a sfregiare la storia, gli slavi vengono dipinti come lo “straniero invasore”, che tanto richiama la narrazione nostalgica della “presa di Fiume” da parte di Gabriele D’Annunzio. Il film infatti, cavalcando l’onda ormai retorica della “teoria del disgusto” di Bismarck e in perfetta coerenza con l’intrattenimento da “spettacolo” che vuole instillare nel pubblico, dà un’impostazione schematica binaria secondo cui esistono i “buoni” (gli esuli giuliano-dalmati) e i “cattivi” (i “partigiani titini”, ovvero l’appellativo che i revisionisti da decenni affidano sia ai partigiani antifascisti italiani nella Venezia Giulia sia all’esercito di liberazione jugoslavo).
Una rappresentazione superficiale che però serve molto agli autori per non raccontare (od ovviare) la storia nella sua interezza, non esprimere le reali dinamiche di oppresso-oppressore, ma per trovare consenso nell’opinione pubblica e nel senso comune: trovare una “vittima” da compatire e un “carnefice” da odiare.
Nel corso del film vengono più volte citati i “Tedeschi” come possibili salvatori degli istriani, senza mai dire effettivamente che quelli che loro intendono come tali sono i soldati nazisti. Nel frattempo, i “partigiani di Tito” vengono rappresentati come degli spietati massacratori, quando la storia dice altro, per esempio che gli ustascia – movimento nazionalista e clerico-fascista di estrema destra guidato da Ante Pavelic creato nel 1929 ed inseguito alleato dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani nella Seconda Guerra Mondiale – furono artefici di pulizie etniche e massacri. Alla politica di repressione della popolazione croata, prima della guerra, da parte delle autorità serbo-jugoslave, seguì una pesante azione del regime ustascia contro serbi, ebrei ed altri potenziali oppositori. Furono internati serbi, comunisti, ebrei e zingari: una strage su base ideologica ed etnica. Vennero allestiti diversi campi di concentramento, dei quali uno dei più famosi fu il campo di concentramento di Jasenovac. Nel 1946 i libri della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia stabilivano che fossero 700.000 i serbi uccisi e questa cifra venne utilizzata da Mose Pijade e da Edvard Kardelj per chiedere i risarcimenti alla Germania dopo la guerra. Il Centro Simon Wiesenthal parla addirittura di 500.000 serbi uccisi, 250.000 espulsi, 250.000 convertiti in maniera forzata al cattolicesimo e di migliaia di ebrei e zingari uccisi.
Nonostante il film tratti di quegli anni, non vi è nessun accenno e nessuna menzione degli ustascia, dei loro fatti, del fatto che fossero supportati dalle truppe tedesche e italiane, e del fatto che fossero la controparte prima dei serbi monarchici e dei partigiani jugoslavi. Con il tempo però i serbi monarchici diventarono collaborazionisti del nazifascismo e loro nemici principali restarono i “partigiani di Tito”. Si tratta di omissioni importanti che, per chi non conosce la storia, portano a stravolgere completamente il significato del racconto. “La Rosa dell’Istria” fa leva sulle emozioni più che sulla storia e il suo contesto e si sa: le emozioni, nell’industria cinematografica, vengono usate per decidere quale sia il buono e il cattivo.
Un fatto completamente di matrice revisionista che richiama il mito nazionalista e colonialista della “presa di Fiume” sono le parole della nonna di Maddalena che, quando tutti decidono di lasciare Canfanaro, dice che non lascerà quella terra in quanto “Terra del nonno… la mia terra”. Come può una donna italiana dire che è la sua terra? Come può una regista come Tiziana Aristarco far dire una cosa simile ad un suo personaggio? Evidentemente ci sono delle gravi mancanze in materia storica che qualcuno dovrebbe colmare, o comunque la cattiva influenza di Maximiliano Hernando Bruno e del suo vergogno Red Land.
Nel film, quando Maddalena Braico si trasferisce con la sua famiglia da suo zio, arrivata a scuola viene subito presa di mira dai suoi compagni di classe che, in quanto istriana viene assimilata agli slavi e, in quanto tale, discriminata. Oltre all’interessante specifica che Maddalena fa, specificando di non essere slava, subito emerge come gli stereotipi dell’antislavismo fascista – molto sentito nel senso comune dell’epoca – vengano applicati anche agli italiani istriani non-slavi. Il film non spiega che l’antislavismo era un retaggio fascista usato contro gli slavi, non fa intendere che precedentemente fosse stato dal ventennio fascista contro gli slavi, ma semplicemente mostra come quello stigma pesi sulle spalle degli italiani istriani. Non viene spiegato per esempio che gli italiani istriani, oltre ad essere stati coloni durante l’italianizzazione fascista delle terre slave, ad un certo punto si vedono anche discriminare dagli stessi stereotipi fascisti. Il film spiega solo che, tutt’a un tratto, gli istriani sono visti come “traditori” dai tedeschi, ma non contestualizza il fatto che tutti gli italiani, dopo l’armistizio del 1943, erano visti come traditori dai nazisti. Quindi c’è molta confusione che permette di disorientale l’utente-consumatore. Mai si fa riferimento alla parentesi storica dell’antislavismo e dei campi di concentramento che nessun istriano-dalmata ha mai vissuto.
La parte più inquietante è sicuramente quella che riguarda l’immagine che si dà della Resistenza e della Liberazione. Il precedente moroso di Maddalena, Miran, che si arruola come partigiano viene subito additato dal fratello di Maddalena come “assassino”. In realtà era solo un partigiano della Resistenza antifascista e gli aveva ricordato che “la fine del fascismo e della guerra sarebbe stata la salvezza di tutti”.
Oltre a raccontano fatti di cui non si hanno prove – liberamente ispirati dal romanzo di Graziella Fiorentin – nel film si parla della Resistenza come se fosse una guerra di cui temere le conseguenze e non come una reazione alla guerra. Sorge spontaneo chiedersi dunque: se non erano fascisti (cosa che il film non lascia mai intendere), cosa avevano da temere dalla Resistenza?
Solo al termine del film l’importanza della Liberazione emerge, facendo intendere che tutti – in egual modo – erano felici per la Liberazione. Dunque, magicamente tutti si riscoprono antifascisti… anche le famiglie di coloni italiani mandati dal fascismo nelle terre slave.
La storia è ben altra…
Quando nel settembre 1943, dopo l’armistizio, ci fu il collasso dell’esercito italiano, i partigiani jugoslavi assieme ai partigiani italiani (alcuni dei quali combattevano inquadrati proprio nelle formazioni jugoslave) lanciarono un’operazione di riconquista dei territori precedentemente occupati. Un’operazione che colpì innegabilmente i fascisti e i collaborazionisti col fascismo, ed è un dato di fatto che quando si parla di “morti nelle foibe” si parla perlopiù di questo. I partigiani combattevano i fascisti e chi aveva collaborato con loro, nel contesto di una guerra in corso. In quella situazione, nel mezzo della violenza generalizzata portata dalla guerra in quelle terre, ci furono certamente vendette individuali, singoli episodi di delitti legati a motivazioni personali, come del resto ve ne furono anche in Italia e ovunque in Europa le popolazioni si fossero trovate sotto occupazione. Non era raro, per dire, che chi si era visto uccidere un familiare o la casa data alle fiamme, si facesse giustizia da solo se ne avesse avuto l’occasione.
Solo se si dimentica tutto il contesto storico finora citato, si possono confondere le carte, mettere tutto nello stesso calderone e sostenere la narrazione di una “pulizia etnica” contro gli italiani, ma questo non ha nulla a che fare con la verità storica. L’idea che i partigiani jugoslavi abbiano portato avanti una pulizia etnica contro “gli italiani” in generale è tutt’oggi il centro della falsificazione storica in corso. Nella storia della questione riguardante il confine orientale ciò che è certo è che c’è stata una lotta di resistenza per la liberazione dall’italianizzazione fascista, dallo sterminio di slavi nei lager e nei campi di concentramento, dall’antislavismo. Tutte cose che ovviamente nell’immaginario comune, introiettato dalla Repubblica di Salò, hanno portato a definire gli “italiani brava gente” in riferimento ai “giovani di Salò” (non si sa bene per quale motivo).
Nella “giornata del Ricordo”…
… io ricordo:
- che le foibe sono un fenomeno geologico carsico tipiche della zona della Venezia Giulia
- che durante l’italianizzazione fascista delle terre slave, furono gettati gli oppositori antifascisti slavi (non-italiani), dopo che l’antislavismo fascista aveva storpiato a loro i cognomi e gli aveva negato di parlare la propria lingua.
- che, durante la resistenza partigiana antifascista slava, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, I fascisti ricevettero lo stesso trattamento.
- che la data è stata scelta come “giorno del ricordo” da chi era al governo per accontenta re una minoranza (forse maggioritaria) che lo sosteneva
- che ancora oggi si postano immagini del giorno del Ricordo senza neanche avere letto un articolo storico sul quel giorno
- che nel 2024 qualcuno mi chiede “cosa sono le foibe?”
Io non “ricordo” altro…
di Lorenzo Poli
Collaboratore redazionale del mensile lavoro e Salute
7 febbraio 2024
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