RIPRISTINARE PER INTERO L’ARTICOLO 18

La sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato la modifica dell’articolo 18 voluta dal governo Monti nel 2012 è un fatto positivo ma costituisce solo un piccolo passo. La norma cancellata fu approvata nel 2012 dalla maggioranza che sosteneva quel governo con il voto del PD e del centrodestra. A ispirarla la famigerata lettera della BCE di Trichet e Draghi.

La sentenza ci ricorda che l’attacco ai diritti di lavoratrici e lavoratori è stato programma unificante dei due poli e che l’attuale governo non è una parentesi ma l’ennesima puntata di una lunga vicenda. Escono confermate le ragioni della nostra opposizione a quel governo e delle nostre manifestazioni (ricordate il No Monti Day?) e delegittimati “tecnici” le cui ricette vengono imposte martellando mediaticamente l’opinione pubblica. 

Viene dichiarato incostituzionale l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, taroccato dalla ‘riforma Fornero’, nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato “motivo oggettivo” possa, ma non debba applicare, la tutela reintegratoria.

E’ significativo che questa vittoria della classe lavoratrice sia fondata su quell’articolo 3 della Costituzione proposto da Togliatti e Basso. La norma è stata giudicata lesiva del principio di eguaglianza rispetto ad altri casi, come il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa in cui, se il fatto è manifestamente insussistente, permane l’obbligo della reintegra.

La sentenza è molto importante soprattutto per difendersi dai tentativi di fare uso strumentale della pandemia per licenziamenti di massa alla fine del blocco.

Teniamo a precisare che si tratta solo di un piccolo passo avanti anche se significativo. La Corte Costituzionale impone che nel caso di licenziamento per giustificato motivo “manifestamente insussistente“ il giudice “deve” ordinare la reintegrazione mentre la norma prevedeva “può“ rendendola facoltativa per i giudici. Insomma non si potrà utilizzare un “motivo oggettivo” inesistente per giustificare licenziamenti collettivi.

Ricordiamo che la reintegrazione rimane esclusa per altre fattispecie e, soprattutto, che per gli assunti dopo il 7 luglio 2015 non esiste più il diritto alla reintegra in tutti i casi, sia per i licenziamenti individuali che collettivi per effetto del Jobs ACT di Renzi. Con la scusa di fare riforme per i giovani alle nuove generazioni è stata tolta per sempre la tutela dell’articolo 18 che invece andrebbe estesa ai settori dove non c’era.

Rimane il fatto che ogni padrone può oggi disfarsi di qualsiasi lavoratore/lavoratrice, a prescindere dal motivo addotto e dalla veridicità di esso, pagando, nella migliore delle ipotesi, niente più che una mancia. Mentre con il vecchio art.18 l’onere della prova era a carico del datore di lavoro, nel caso di licenziamento che si ritiene discriminatorio l’onere della prova oggi rimane a carico del lavoratore.

Proprio la vicenda dell’articolo 18 dimostra quanto ingannevole sia la riproposizione delle logiche del bipolarismo. Anche questo scalpo il neoliberismo in Italia lo ha ottenuto soltanto grazie al “centrosinistra” e al PD, mentre i governi di destra non erano riusciti a ottenere il risultato. Non abbiamo sentito su questi temi essenziali neanche una parola da parte di Enrico Letta né di altre/i e quindi riteniamo che il giudizio sul PD non possa essere modificato inseguendo il gossip delle vicende dei singoli personaggi. L’esperienza dovrebbe aver insegnato che fare dell’avversione al personaggio di turno (ieri Berlusconi, da un po’ di tempo Salvini) l’alfa e l’omega della politica fa perdere la visione complessiva di ciò che accade. Sull’altare dell’antiberlusconismo si è consentito all’Ulivo e al PD di fare di tutto e di più per poi rivalutare il “male assoluto” come credibile partner.

Il ripristino dell’articolo 18 e l’estensione a tutte le lavoratrici e i lavoratori del diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo non può non essere al centro del programma di lotta di un qualsiasi schieramento che voglia definirsi di sinistra. Evidentemente bisognerà costruirlo in alternativa a chi – come il PD e il “centrosinistra” – porta la responsabilità di tanta parte delle vittorie del capitale contro il lavoro.

Maurizio Acerbo

Segretario nazionale di Rifondazione Comunista

2/4/2021 http://www.rifondazione.it

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