RISCHI SUL LAVORO GARANTITI DA UNA CLAUSOLA NON SCRITTA MA APPLICATA

Questa politica tiene conto dei disastrati, in termini di organizzazione e sicurezza, luoghi di lavoro? Permette a chi rischia di prevenire i rischi e salvaguardare la propria salute?

No, perché quest’organizzazione del lavoro, da due decenni non più oggetto di contrattazione e controllo sindacale causa la rinuncia delle grosse organizzazioni sindacali, è determinata quotidianamente da criteri avulsi dai contesti reali, basati sulla produttività a cottimo, sulla meritocrazia che lacera le relazioni lavorative, su incentivi promessi come il luogo comune delle carote per i conigli e sugli orari di lavoro sempre più dilatati, anche a discapito degli obbligatori riposi previsti.

No, perché anche durante la pandemia gli infermieri e i medici che hanno parlato dei disastri di questo sistema aziendalistico sono stati repressi in base all’obbligo incostituzionale e medievale della “fedeltà aziendale”.

Sono numerosi i casi ma pochi quelli che vengono alla luce tramite i social, certamente non ne parlano i giornali e le TV, Uno di quelli conosciuti, in piena pandemia – dopo quello dell’infermiere Marco Lenzoni – riguarda un coordinatore infermieristico che si è rifiutato di obbedire all’ordine ricevuto per iscritto dai propri superiori di mandare allo sbaraglio nei reparti Covid, allestiti in fretta e furia, gli Oss e gli ausiliari perche, in base alla sua competenza, non erano preparati e avrebbero rischiato di infettarsi e infettare i pazienti. Affermiamo che questo infermiere è da prendere ad esempio quando parliamo di professionalità al servizio dei cittadini, e non certamente del menefreghismo dirigenziale.

Negli ultimi anni ci sono stati licenziamenti contro dipendenti “infedeli”, colpevoli solo di esercitare il diritto di parola.
L’obiettivo è definire come dogma la subalternità all’azienda, in modo tale da trasformare anche la dialettica sindacale come pretesto per interventi disciplinari.
Per dare un’idea di quanto questo sistema politico è marcio citiamo le sentenze degli stessi Tribunali del Lavoro: tante sono ormai quelle che stabiliscono la repressione della libertà di parola e di coscienza previsto dall’art 21 della Costituzione Italiana, una situazione che dovrebbe ormai allarmare i sindacati, anche se hanno le famose tre scimmiette negli anni precedenti, sia sull’obbligo di fedeltà, come sui codici etici e di comportamento che rappresentano le armi aziendali per mettere a tacere le voci scomode nei luoghi di lavoro e alimentare un clima di paura e di rassegnazione propedeutica alla sudditanza, a discapito della professionalità, della sicurezza sul lavoro e delle condizioni dei malati.

Quando parlano, non sono eroi ma quando muoiono, senza Dispositivi di Protezione Individuale, sul lavoro diventano statue di militi.
E’ quanto ci dicono i dati, al 7 agosto scorso, dell’Inail sui lavoratori della sanità nel periodo del picco covid: sono 51.363 i contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail dall’inizio dell’epidemia con 276 casi mortali denunciati. Lo rileva l’Istituto spiegando che al 31 luglio sono stati denunciati 1.377 casi di contagio in più rispetto alla fine di giugno. I casi mortali denunciati nel complesso sono 276 con 24 casi segnalati nel mese di luglio. I casi mortali riguardano soprattutto gli uomini (83,3%), con un’età media di 59 anni. Se si guarda al totale delle infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto, il rapporto tra i generi s’inverte, il 71,4% dei lavoratori contagiati sono donne e l’età media scende a 47 anni.
Con il 40,0% dei contagi denunciati, oltre l’83% dei quali relativi a infermieri, la categoria professionale dei tecnici della salute si conferma la più colpita dal virus, seguita dagli operatori socio-sanitari (21%), dai medici (10,3%), dagli operatori socio-assistenziali (8,9%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Circa il 35% dei casi mortali denunciati riguarda personale sanitario e socio-assistenziale.

In Italia ogni anno ci sono oltre 1.400 morti sul lavoro e altre migliaia di lavoratori muoiono per malattie professionali o rimangono invalidi.

Probabilmente alla fine dell’anno ci sanno meno morti in rapporto agli scorsi, si spera che qualcuno non faccia l’avvoltoio dichiarando il falso sulle motivazioni. Se saranno di meno, sarà solo dovuto alla minore presenza sui luoghi di lavoro causa pandemia.
In realtà questi dati sono al ribasso perché con uffici Inail e i patronati che hanno registrato molti limiti molte denunce non sono state registrate, e inoltre non sono stati comunicati i numeri dei lavoratori invalidi.

Comunque, tra gennaio e luglio i dati Inail registrano 719 morti con un aumento rispetto all’anno prima del + 19,5%, di cui 89 in più solo in Lombardia. Nella sanità sono aumentati del +500% gli infortuni durante il lockdown.

Numeri da scioperi di autodifesa!

franco cilenti

Pubblicato sul numero 8/9 settembre 2020 www.lavoroesalute.org

Puoi leggerlo anche in versione interattiva: http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2020/

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