Ritirato il DDL Madia. Ora la battaglia continua
Il Governo Renzi, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha smontato la riforma Madia, ha ritirato ufficialmente il DDL su servizi pubblici e riforma della PA.
La Consulta ha dichiarato infatti l’incostituzionalità di diversi articoli della legge delega tra cui quelli relativi a dirigenza, società partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego.
In un primo momento l’esecutivo sembrava volesse utilizzare questa battuta d’arresto per cancellare anche l’ipotesi di rinnovo contrattuale dei dipendenti statali dopo 7 anni di blocco. Tuttavia il governo si è poi precipitato a trovare un accordo coi sindacati per il rinnovo, un po’ per recuperare parte della propria immagine in vista del voto referendario del 4 dicembre, un po’ perché il blocco stesso dei contratti era già stato dichiarato incostituzionale ad aprile del 2015 dalla Consulta.
Sulla decisione della Consulta hanno pesato sicuramente anche le mobilitazioni e le pressioni continue da parte di sindacati e movimenti (in particolare del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e della Rete#DecideRoma) nonché la campagna referendaria per il NO che hanno messo in luce gli aspetti anticostituzionali del DDL Madia nonostante un primo parere favorevole reso dalla Commissione Affari Costituzionali la scorsa estate.
Il DDL Madia è un vero e proprio manifesto del capitalismo contemporaneo sulla privatizzazione dei servizi pubblici. La sua finalità esplicita, infatti, era quella di promuovere “la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale”.
Una riforma in senso liberista che avrebbe fatto da cappello all’ingresso nel mercato dei servizi pubblici di un pugno di players di spessore nazionale e multinazionale (come ad es. ACEA spa) nei confronti del quale la lotta contro il rinnovo del CCNL di igiene ambientale (che di fatto passa a una nuova controparte come Utilitalia“trasversale” alla gestione di tutti i servizi pubblici locali) è un primo fronte di resistenza.
L’obiettivo dichiarato di Renzi, infatti, è quello di favorire l’accorpamento di servizi quali acqua, energia, trasporti e ambiente con la costituzione di multiutility che possano contare sul sostegno di capitali pubblici ma agire da soggetti privati sul libero mercato. Delle grosse corporations come A2A, Iren, Hera e Acea che agiscano in Italia e in Europa in concorrrenza con gli altri gruppi monopolisti del capitalismo transnazionale. Anche in questa ottica andava letta la ridefinizione delle società partecipate con l’abolizione di fatto, prevista nel DDL Madia, dell’unica forma di gestione veramente pubblica di un servizio locale (l’Azienda Speciale, come nel caso di ABC a Napoli). Esplicite anche in questo caso sono state le dichiarazioni di Erasmo D’Angelis, rappresentante del Governo Renzi, quando ha salutato la nascita di Utilitalia con dichiarazioni contro le gestioni pubbliche poiché saremmo “…l’ultimo paese sovietico d’Europa” e esplicitando l’intenzione di “… passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico locale. Settore quest’ultimo che va inserito subito in Utilitalia, perché sarà il primo a bandire le gare per affidare la gestione dei servizi”.
Certo questa partita non è affatto chiusa con il ritiro del DDL Madia. Innanzitutto, una vittoria del SI al referendum del 4 dicembre, di fatto, rimuoverebbe gli ostacoli costituzionali evidenziati dalla sentenza della Consulta non dovendo più il governo chiedere un parere preventivo a Regione e Enti Locali su tutta una serie di competenze oggi di loro competenza o comunque di competenza “concorrente” con l’esecutivo.
Inoltre, in questi anni i servizi pubblici locali sono stati attraversati da forti processi di esternalizzazione e sub-appalti a soggetti privati. La nozione stessa di pubblico nel capitalismo prevede aziende e società di “diritto privato” e “proprietà pubblica” alle quali conferire la gestione dei servizi con gare di appalto. Esiste poi l’affidamento a società miste, il cui “socio privato” viene scelto con procedura a evidenza pubblica, secondo i dettami legislativi della UE e dei decreti legislativi della legge 124 del 7/8/2015.
Le risorse vengono quindi utilizzate a sostegno di aziende che formalmente sono controllate dal pubblico, ma che nei fatti non lo sono e le quote azionarie pubbliche (degli enti locali) sono giustificate per erogare servizi alla cittadinanza. Se si aggiunge l’andamento delle tariffe, le condizioni di lavoro, di precarietà e di retribuzione di tutti i lavori impiegati negli appalti e subappalti si capisce come questo sistema si regga proprio sulla “pubblicizzazione dei costi” e sulla “privatizzazione dei profitti”.
Con il ricatto del debito pubblico, del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact si cerca di continuare l’opera di spostamento coatto della ricchezza socialmente prodotta dal salario sociale ai profitti e alle rendite, mercificando i beni comuni, privatizzando i servizi pubblici, vendendo tutto il patrimonio per fare cassa, abbattendo il costo del lavoro, precarizzando e azzerando i diritti e ora cercando di ridurre la Costituzione e il concetto stesso di democrazia a mera variabile del mercato e degli interessi del capitalismo finanziario.
Dopo gli attacchi ai diritti del lavoro (col Jobs Act), alla scuola pubblica (con la “Buona Scuola”), alla difesa dell’ambiente per imporre la valorizzazione capitalistica dell’intero territorio (con lo Sblocca Italia), il decreto Madia e la controriforma costituzionale servivano a chiudere questo processo che era stato arrestato dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011.
Non si può che gioire di fronte alla capitolazione di una riforma dei servizi pubblici locali che, in ogni caso, si ispira all’idea del mercato come unico regolatore sociale. Ma allo stesso modo bisogna essere consapevoli che occorre battere al referendum del 4 dicembre il tentativo di controriforma della Costituzione e rendere permanente la battaglia per la ripubblicizzazione dei servizi sotto controllo popolare.
Andrea Fioretti
3/12/2016 www.lacittafutura.it
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