Rotta balcanica: i morti senza nome dell’Europa
L’inchiesta di Lighthouse Reports: sempre più persone migranti muoiono senza essere state identificate
La nuova inchiesta “Europe’s Nameless Dead“, realizzata da Lighthouse Reports insieme a diverse testate giornalistiche (Der Spiegel, iNews, Tagesschau, Radio Free Europe, Solomon) spiega come la cosiddetta rotta balcanica stia diventando sempre più mortale e si sofferma sul fatto che molte persone muoiono senza essere state identificate.
«Abbiamo scoperto – scrive il team di giornalisti e giornaliste1 – che un numero crescente di corpi di coloro che tentano il viaggio si accumulano negli obitori o vengono sepolti senza lasciare traccia».
Il lavoro giornalistico evidenzia che dal 2015 in poi il transito delle persone lungo le rotte balcaniche è diventato sempre più pericoloso: nei Balcani prima di allora i controlli alle frontiere erano limitati e c’erano poche recinzioni o muri. «Il percorso era in gran parte aperto».
Dopo diversi anni di numeri minori, anche per effetto dell’accordo UE-Turchia e per la crescente repressione e militarizzazione del confine via terra e via mare tra la Grecia e Turchia – il numero di persone che compiono questo viaggio è aumentato di nuovo. L’anno scorso si è registrato il numero più alto di attraversamenti dal 2015, soprattutto a causa dei conflitti in corso in Afghanistan e del trattamento ostile nei confronti delle persone rifugiate in Turchia e Libano.
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«Ma la rotta balcanica è cambiata negli ultimi otto anni. Con l’aiuto dei finanziamenti dell’UE e del Regno Unito, i Paesi dei Balcani hanno eretto recinzioni e costruito muri. Quando la polizia di frontiera cattura le persone in cerca di asilo, spesso le costringe a tornare oltre il confine. Di conseguenza, coloro che intraprendono il viaggio spesso prendono strade più lunghe e pericolose per eludere la polizia – e le conseguenze possono essere mortali; le persone muoiono di freddo nelle foreste, annegano nei fiumi o muoiono per sfinimento», scrive Lighthouse Reports.
La ricerca spiega inoltre che tutti i dati sulle persone in movimento morte e disperse nei Balcani, probabilmente, sono sottostimati perché si basano per lo più sui resoconti dei media. Alcuni corpi, ad esempio, non saranno mai ritrovati, in particolare quando le persone annegano nei fiumi o muoiono nelle zone più nascoste delle foreste.
Tuttavia per giungere a questa conclusione, insieme agli accademici delle Università di Aston, Liverpool e Nottingham, hanno cercato di misurare l’entità delle morti ai confini della rotta comunemente battuta dalle persone che attraversa Bulgaria, Serbia e Bosnia. «Abbiamo cercato di scoprire cosa succede successivamente ai corpi di queste persone e cosa devono affrontare le loro famiglie per ritrovarli», scrivono.
E come era già emerso grazie al lavoro di tantə attivistə, operatorə e volontarə che negli anni hanno denunciato quanto accade sui confini, hanno dimostrato che le autorità di questi Stati non solo impediscono la mobilità delle persone con metodi sempre più brutali rendendo i tragitti sempre più pericolosi, ma non fanno alcuno sforzo per identificare le persone migranti morti o informare le loro famiglie. «I corpi non identificati finiscono ammassati negli obitori o sepolti senza lasciare traccia», specifica il team di giornalisti.
Per condurre la ricerca i giornalisti hanno trovato diversi ostacoli: hanno richiesto ai dipartimenti di polizia, alle procure, ai tribunali e agli obitori dei 3 Stati i dati relativi al numero di corpi non identificati registrati negli ultimi anni, trovando il classico muro di gomma. Nessuno ha l’interesse a fornire informazioni e dati, ad essere trasparente.
Sono però riusciti ad ottenere i dati da sei obitori vicino ai confini lungo la rotta Bulgaria-Serbia-Bosnia. «Abbiamo trovato 155 casi di questo tipo nelle sei strutture dall’inizio del 2022 – la maggior parte (92) sono morti solo quest’anno. Parlando con i patologi forensi in Bulgaria, Serbia e Bosnia, abbiamo scoperto che in ciascuno dei tre Paesi, il protocollo legale prevede che venga eseguita un’autopsia su tutti i corpi non identificati – ma ciò che accade dopo è meno chiaro. Le informazioni sui defunti sono frammentate e conservate da diverse istituzioni, senza un sistema unificato che cerchi in modo proficuo di metterli in contatto con le famiglie che li cercano», scrivono.
Hanno quindi cercato di capire come le famiglie che non ricevono più notizie dai loro cari provino a rintracciarli: «Attraverso le interviste con più di una dozzina di persone i cui familiari sono scomparsi o morti lungo il percorso, abbiamo appreso che non hanno idea di dove cercare o a chi chiedere. Abbiamo trovato gruppi WhatsApp e pagine Facebook che collegano reti di famiglie preoccupate, che condividono disperatamente foto e informazioni sui loro cari scomparsi. Alcune ONG in Bulgaria e Serbia hanno detto di essere contattate ogni giorno per casi simili».
L’inchiesta è infine riuscita a seguire alcune famiglie che si sono rivolte all’obitorio di Burgas, nel sud-est della Bulgaria, l’obitorio dove hanno registrato il maggior numero di corpi di persone migranti decedute. «Il personale ha detto loro che avrebbero potuto controllare i corpi solo se avessero pagato delle tangenti in denaro». Questo fatto è confermato da alcune ONG che operano in Bulgaria. Altre organizzazioni solidali, medici e volontarə stanno aiutando i familiari nell’impresa di raccogliere informazioni e provare a identificare i corpi, ma sono tantissimi i problemi riscontrati ed i costi da sostenere.
Dall’indagine giornalistica emerge ancora una volta l’ampiezza della necropolitica sulle migrazioni degli Stati Ue e dei Paesi terzi con la quale l’Europa stringe accordi bilaterali proprio per esternalizzare le sue frontiere che rafforzano queste politiche mortali. E tutto ciò non solo provoca sofferenze e morte ma agisce perfino sui corpi e sul lutto dei familiari.
«Le procedure burocratiche non conoscono pietà. Le politiche di confine agiscono tanto sul corpo vivo quanto su quello morto, quindi sulla possibilità di vivere il lutto, di avere semplicemente la certezza di aver perso una sorella, una madre, un fratello. Solo per sapere se piangere. Anche la morte è una conquista sociale», scrive Giovanni Marenda del collettivo Rotte balcaniche nel reportage che trovate su Melting Pot dopo diversi mesi di monitoraggio e attività solidale in Bulgaria.
6/12/2023 https://www.meltingpot.org/
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