Russia, Ucraina, Nato e Unione Europea, tra minacce di guerra e diplomazia

Stallo ed escalation della crisi Ucraina

I colloqui “franchi e sostanziali” sulla crisi ucraina tra alti diplomatici statunitensi e russi – tra Blinken e Lavrov -, tenutisi a Ginevra alla fine della scorsa settimana, sembrano aver calmato le tensioni, almeno in parte e per ora. Gli Stati Uniti si sono offerti di tenere un vertice tra Joe Biden e Vladimir Putin per fermare lo scivolamento verso una nuova guerra in Europa. La situazione ai confini terrestri e marittimi dell’Ucraina, dove Mosca ha accumulato truppe e potenti mezzi militari, anche nella vicina Bielorussia, rimane grave, con la Russia che ha anche annunciato nuove esercitazioni navali nel Mar Nero e nel Mediterraneo che includeranno 140 navi di tutte le flotte del Paese e oltre 10 mila soldati. Il governo russo sostiene che il governo ucraino, appoggiato dal blocco Occidentale, sta pianificando un attacco militare del Donbass (e anche della Crimea1). Territori dove la popolazione è prevalentemente russofona2 e che da quasi otto anni ormai sono stati occupati da separatisti sostenuti dalla Russia. Il Cremlino sta valutando le opzioni per anticipare o rispondere a una potenziale offensiva ucraina, mentre accumula truppe ai suoi confini sud-occidentali3.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insistito sull’unità “totale” tra le potenze occidentali dopo i colloqui con alcuni leader europei su come dissuadere la Russia da un attacco contro l’Ucraina, non ha escluso che le sanzioni possano colpire anche Putin4. e ha aggiunto che un’invasione russa porterebbe ad “enormi conseguenze in tutto il mondo“, mentre il governo inglese ha avvertito che ci saranno “sanzioni senza precedenti” contro Mosca in caso di invasione5. “Ho avuto un incontro molto, molto, molto buono – totale unanimità con tutti i leader europei“, ha detto Biden ai giornalisti poco dopo aver terminato una videoconferenza di un’ora e 20 minuti lunedì con i leader alleati dell’Europa e della NATO. Gli Stati Uniti hanno messo in allerta 8.500 soldati da schierare in Europa mentre la NATO ha rafforzato le sue forze militari (navali ed aeree) ai suoi confini orientali a seguito delle crescenti tensioni sull’Ucraina. Attualmente, ci sono circa 150 consiglieri militari statunitensi in Ucraina e per ora non ci sono piani per ritirarli6. Le tensioni hanno contribuito ad alimentare l’instabilità nei mercati finanziari globali (un messaggio mandato da Wall Street anche alla FED con l’obiettivo di ammonirla a non intraprendere un troppo rapido percorso verso l’aumento dei tassi di interesse e la normalizzazone monetaria), mentre il principale indice azionario russo è crollato (con i titoli blue-chip russi come Sberbank e Gazprom che hanno perso oltre il 10% negli scambi) e la Banca centrale russa è stata costretta a sospendere temporaneamente gli acquisti di valuta estera poiché il rublo è sceso di quasi il 6% rispetto al dollaro dall’inizio di gennaio. Domenica e lunedì la Casa Bianca e Downing Street hanno dichiarato di aver iniziato a ritirare le famiglie dei diplomatici dall’Ucraina.

Ma, le previsioni allarmistiche di un conflitto imminente e su larga scala si sono rivelate, per ora, eccessive. Tra l’altro, nonostante la retorica e le azioni minacciose del Cremlino, c’è scarso entusiasmo tra l’opinione pubblica russa per una guerra di terra in Ucraina: nessuna grande ondata patriottica e nazionalista, solo accettazione fatalistica7. Quello che sta diventando evidente è che più passa il tempo e più per Mosca diventa più difficile ritirarsi dalla sua posizione considerata aggressiva nel momento in cui gli Stati Uniti e la NATO hanno annunciato che più truppe saranno dispiegate sul fianco orientale dell’alleanza militare. Un ritiro unilaterale ora renderebbe il Cremlino un chiaro sconfitto nella situazione di stallo, avendo provocato un rafforzamento della presenza stessa della NATO che invece vuole bandire dall’Europa orientale. Una marcia indietro sarebbe imbarazzante e renderebbe l’Occidente meno propenso ad ascoltare i suoi avvertimenti in futuro. Questo anche se Putin dovrebbe affrontare solo un piccolo contraccolpo interno per aver ordinato una dimostrazione di forza e potrebbe affermare di aver fatto il primo passo per evitare un conflitto devastante.

L’ostinata insistenza di Antony Blinken, il Segretario di Stato americano, sul perseguire mezzi diplomatici per affrontare le preoccupazioni sulla sicurezza della Russia ha impressionato il suo omologo notoriamente intransigente, Sergei Lavrov. Il ministro degli Esteri russo ha affermato che i colloqui sono stati “costruttivi e utili” e ha accettato di continuarli questa settimana.

Potrebbe rivelarsi una tregua temporanea. Tutti i fattori critici che hanno accelerato questa crisi restano in gioco. La minaccia di Putin di ricorrere alla forza deriva dalla sua frustrazione per un processo politico e diplomatico in stallo. Lo sforzo del Cremlino per invogliare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a concludere un accordo sul Donbass, che sembrava promettente fino alla fine del 2019, è andato a vuoto. Zelensky, che ha vinto la presidenza con una valanga di voti candidandosi per la pace, è un leader eccezionalmente imprevedibile. La sua decisione di utilizzare droni armati nel Donbass nel 2021 ha accresciuto le tensioni con Mosca in un momento in cui l’Ucraina non poteva permettersi di provocare il suo vicino.

Allargando lo sguardo, si può dire che l’obiettivo generale del presidente Vladimir Putin è mettere in discussione le strutture di sicurezza post-sovietiche che sono state concordate in Europa dopo il 1989-1991, ma che hanno consentito agli Stati Uniti di “venire con i suoi missili alla nostra porta“, per ricreare una sfera di influenza oltre i confini della Russia attraverso una sorta di Yalta 2, che in qualche modo ripari la sconfitta nella Guerra Fredda8, elimini la prospettiva di ulteriori allargamenti della NATO (Ucraina, Georgia e Moldavia) e precluda lo spiegamento militare della NATO a Est.

Inoltre, Putin vuole disperatamente impedire che l’Ucraina (divenuta uno Stato indipendente nel 1991 con oltre 40 milioni di abitanti) diventi una democrazia pro-occidentale di successo, completamente indipendente, il cui esempio renderebbe evidente che il suo regime è corrotto e oppressivo. Infine, in Ucraina, l’obiettivo strategico di Putin sarebbe collegare la Crimea alle enclavi separatiste di Donetsk e Luhansk. Mosca ha preso l’effettivo controllo di questi territori nella primavera del 2014, installando e armando milizie locali e dando inizio a un conflitto che da allora è andato avanti con più di 14 mila morti e circa 2 milioni di profughi. In estate, Putin ha pubblicato un articolo sull’Ucraina (“L’unità storica di russi e ucraini“), in cui considera solo due opzioni per il futuro delle relazioni Russia-Ucraina. Uno scenario prevede il portare al potere a Kiev politici filo-russi a causa dello strangolamento economico, e l’Ucraina diventa così un protettorato russo (questa è anche la tesi del Foreign Office britannico). L’altro suggerisce che il “problema dell’Ucraina” sarà risolto con mezzi militari.

Putin vuole che la NATO si ritiri dai Paesi della periferia occidentale della Russia che hanno aderito all’alleanza dopo il crollo sovietico. La sua lista di “linee rosse” si è ora ampliata per includere Romania e Bulgaria (entrate nella NATO nel 2004), nonché Estonia, Lettonia9, Lituania e Polonia, in effetti, riportando le forze della NATO dove erano di stanza nel 1997, prima dell’espansione verso est. Chiede anche “impegni scritti” giuridicamente vincolanti che gli USA e la NATO non inviteranno mai Ucraina, Georgia o Moldavia ad entrare nell’alleanza e che gli alleati ritireranno truppe e sistemi missilistici difensivi dall’Europa orientale. La bozza di trattato in otto punti è stata pubblicata dal ministero degli Esteri russo mentre le sue forze militari (almeno 100 mila soldati provvisti di carriarmati, lanciamissili ed altri mezzi pesanti) si sono ammassate a pochissima distanza dai confini dell’Ucraina10.

All’Occidente è stato concesso solo un mese per rispondere, il che ha aggirato la possibilità di colloqui prolungati e inconcludenti. Putin ritiene che il momento sia favorevole per una trattativa con gli Stati Uniti: la NATO ha appena subito una clamorosa ed umiliante sconfitta in Afghanistan ad opera dei talebani e la priorità dell’amministrazione Biden è diventata la competizione strategica con la Cina, per cui dovrebbe avere interesse ad avere una relazione più stabile con la Russia. Un accordo con Putin sulla sicurezza europea permetterebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sulla regione indo-pacifica e di evitare che Mosca diventi uno stretto alleato politico, economico e militare della Cina per esercitare il dominio sull’Eurasia11.

L’amministrazione Biden potrebbe essere disposta a trovare un compromesso, ma l’opposizione a qualsiasi accordo sarà alta negli Stati Uniti a causa della polarizzazione politica interna e del fatto che concludere un accordo con Putin apre l’amministrazione Biden alla critica che sta cedendo ad un autocrate. In queste condizioni, è chiaro che la ratifica di un eventuale trattato al Senato sarà quasi impossibile, quindi eventualmente si potrebbe arrivare solo ad un ordine esecutivo. Comunque, Mosca ha affermato che ignorare i suoi interessi porterebbe a una “risposta militare” simile alla crisi dei missili cubani del 1962, quando Nikita Khrushchev e Fidel Castro erano intenzionati a posizionare qualche missile a Cuba, a 150 chilometri dalle coste USA oltre lo stretto della Florida.

Il capo della NATO, Jens Stoltenberg, ha già escluso qualsiasi accordo che neghi all’Ucraina il diritto di entrare nell’alleanza militare, dicendo che la decisione spetta all’Ucraina e ai 30 Paesi della NATO. Ci sono già grossi ostacoli all’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza, inclusa la sua disputa territoriale con la Russia sull’annessione della Crimea12.

Tutte le democrazie occidentali hanno affermato chiaramente che non accetteranno quello che considerano un ricatto. Ma, è qui che finisce il consenso. Non c’è accordo su cosa fare se la Russia attacca l’Ucraina, direttamente per terra, mare e aria o indirettamente, usando metodi di guerra asimmetrici, operazioni segrete, forze speciali e contromisure “tecniche“. Tra i Paesi dell’UE, i quali avrebbero molto più da perdere degli USA in caso di un conflitto militare, prevale l’idea che il blocco dovrebbe rispondere alla minaccia russa all’Ucraina, oltre che con una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, sfruttando il suo principale punto di forza: l’influenza economica. Questo viene considerato dai governi europei l’unico modo che l’Unione può utilizzare per persuadere le grandi potenze – Russia e USA – che lottano per definire il futuro dell’Europa che è una forza da non sottovalutare13. L’amministrazione statunitense ha spinto l’UE ad accelerare i lavori su tali sanzioni a dicembre e gennaio, con scarso o nessun risultato. In sostanza, l’UE sta ancora valutando la sua potenziale risposta. Stati Uniti e UE hanno escluso la possibilità di escludere la Russia dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT. Inoltre, ci sono divisioni aperte all’interno della coalizione di governo tedesca su se e come sfruttare il gasdotto Nord Stream 2 per scoraggiare il Cremlino, dimostrando che ci sono poche prospettive che ciò possa mai accadere. Certo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sottolineato durante una conferenza stampa con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg il 18 gennaio che “tutto questo [Nord Stream 2 e SWIFT] dovrà essere discusso se ci sarà un intervento militare contro l’Ucraina“.14.

Anche perché l’architettura della sicurezza europea è a pezzi. Gli accordi istituzionali che sono stati vitali per il continente nell’era post-guerra fredda – come il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio15, altri accordi sul controllo degli armamenti e l’Atto Costitutivo NATO-Russia16 – ora esistono solo sulla carta. E la minaccia di un assalto russo a tutto campo a un Paese associato all’UE non è mai stata così reale. A causa dei loro stessi fallimenti, debolezze e divisioni17, l’UE e i suoi Stati membri non sono visti dai governanti russi come partner alla pari (e, di conseguenza, desiderati) nelle discussioni su questioni cruciali per i loro interessi. Per quanto riguarda il controllo degli armamenti, le disposizioni militari e altre questioni di sicurezza, l’UE non ha quasi nulla da mettere in discussione. Quindi, la Russia può semplicemente ignorarla e semmai cercare di dividerla al suo interno e dagli USA18.

I leader europei sono congiuntamente responsabili di questo deplorevole stato di cose, che incoraggia Putin ad essere assertivo. La performance del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è stata tutt’altro che impressionante. Ha fatto una pericolosa gaffe la scorsa settimana quando ha insinuato che una “piccola incursione” della Russia potrebbe essere tollerata. Ma, nel complesso è stato fermo nel resistere alle pressioni russe e nel cercare una riduzione dell’escalation.

Le democrazie europee non hanno una politica unitaria sulla questione Russia-Ucraina. La coalizione tedesca è divisa tra i Verdi, che, ad esempio, non vogliono far entrare in esercizio il gasdotto North Stream 2 (su cui Angela Merkel non ha mai voluto fare marcia indietro, nonostante gli ammonimenti delle amministrazioni e le minacce del Senato USA), un progetto strategico per l’Europa da 1.230 km e un costo di 9,5 miliardi di euro, completato nel settembre 2021, che dalla baia di Narva in Russia arriva alla città di Lubmin in Germania, finanziato per metà da Gazprom e per l’altra metà da cinque compagnie energetiche europee (Wintershall Dea, OMV, Uniper, Royal Dutch Shell ed Engie), e i socialdemocratici filo-Mosca (con l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder che è il presidente del consiglio di sorveglianza degli azionisti del North Stream)19. In Francia si sta aprendo un enorme divario tra le idee del presidente Emmanuel Macron sull’”autonomia strategica” dell’UE e una “nuova architettura di sicurezza per l’Europa”, riproposte in una sessione caotica del Parlamento Europeo a Strasburgo la scorsa settimana, e la realtà del conflitto in corso, dell’impotenza e dell’irrilevanza dell’UE. Poi, c’è Boris Johnson che cerca disperatamente di rimettere in gioco il Regno Unito come “grande potenza20.

In questo quadro, è assai probabile che la situazione di stallo dell’Ucraina, dopo aver raggiunto l’attuale livello estremo di crisi, non si risolverà rapidamente. Anche se poche persone lo vogliono davvero (i falchi di Mosca e i capi delle milizie del Donbass), è possibile un ulteriore inasprimento del conflitto. Nonostante la predilezione dei media occidentali nel ritrarre Putin come sconsiderato, in realtà è cauto e calcolatore, in particolare quando si tratta dell’uso della forza. Putin non è avverso al rischio – le operazioni in Cecenia (avviata nel 1994 da Yeltsin), Crimea e Siria ne sono la prova – ma nella sua mente il vantaggio deve superare il costo. Non invaderà l’Ucraina semplicemente a causa degli orientamenti occidentali dei suoi leader, anche se un conflitto potrebbe innescarsi accidentalmente. Si spera che gli sforzi diplomatici statunitensi abbiano successo, perché un’Unione Europea bypassata, ignorata dalla Russia e sostenuta con condiscendenza dagli USA, sembra incapace di aiutare se stessa. Indipendentemente dal fatto che Putin alla fine ottenga o meno quello che ha chiesto o la sua guerra, l’Unione Europea ha già perso.

Gli ucraini, naturalmente, sono contrari a essere nuovamente invasi e hanno chiesto di mantenere la calma. I loro leader stanno sfruttando con successo la crisi per ottenere maggiore assistenza per la sicurezza e armamenti da Stati Uniti e Gran Bretagna. L’Estonia, la Lettonia e la Lituania hanno dichiarato che invieranno missili anticarro e antiaerei per consentire all’Ucraina di difendersi, mentre il governo ceco ha affermato che sta valutando la richiesta di munizioni dell’Ucraina e la Turchia ha inviato droni Bayraktar21. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, vuole che le sanzioni alla Russia vengano imposte immediatamente. Ma, come per l’Europa occidentale, la forte preferenza di Kiev è chiara: niente più guerre22 e lo stesso Reznikov ha detto al Parlamento che un’invasione non è imminente.

Lo stesso vale per Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, comprensibilmente preoccupati che, se dovesse arrivare un attacco militare russo, lo scudo protettivo della NATO potrebbe dimostrarsi essere incrinato. A Taiwan temono che un’invasione dell’Ucraina creerà un precedente. Ma Xi Jinping, il presidente della Cina, è un avversario più sottile. Non vuole la guerra con l’Occidente, comunque non ancora, e invita l’Occidente di non avere una linea troppo dura verso la Russia, forzando Putin a perseguire un’offensiva militare.

In ogni caso, le implicazioni geopolitiche degli sviluppi della crisi ucraina potrebbero riverberarsi al di fuori dell’Europa. Per contrastare le sanzioni economiche e finanziarie occidentali più drastiche, sia in previsione di un’incursione russa in Ucraina sia come conseguenza di essa, Mosca potrebbe aver bisogno di appoggiarsi a Pechino, che si trova anche sotto la crescente pressione degli Stati Uniti. I presidenti Putin e Xi Jinping stanno già discutendo di meccanismi finanziari per proteggere i loro Paesi dalle sanzioni statunitensi. In tal caso, la visita programmata di Putin in Cina per le Olimpiadi invernali del febbraio 2022 potrebbe rivelarsi più di una semplice visita di cortesia. Gli Stati Uniti potrebbero quindi vedere l’attuale intesa cinese-russa trasformarsi in un’alleanza più stretta. La cooperazione economica, tecnologica, finanziaria e militare tra le due potenze raggiungerebbe nuovi livelli. Insieme, Russia e Cina, stanno costruendo infrastrutture e gasdotti come il “Power of Siberia” di 3 mila km, operativo dal 2019, che consentano di rendere più strette le relazioni tra le due economie23.

Una via da seguire per risolvere la crisi ucraina sarebbe che si facessero dei passi concreti per attuare quanto previsto dagli accordi di Minsk sul Donbass e che la Russia rinunciasse a qualsiasi pretesa territoriale sui Paesi che una volta erano dei satelliti o parte dell’Unione Sovietica (Ucraina, Georgia e Moldavia) in cambio di una garanzia occidentale che non sarebbe loro permesso di aderire alla NATO.

La Russia, una potenza in declino o persistente?

L’amministrazione Biden è entrata in carica con una priorità di politica estera chiara e inequivocabile: contrastare l’ascesa della Cina24. Le dichiarazioni pubbliche dell’amministrazione, i suoi primi documenti di pianificazione della sicurezza nazionale e le sue prime incursioni diplomatiche hanno tutti suggerito che respingere la crescente influenza globale di Pechino è l’obiettivo della sicurezza nazionale di Washington, insieme alle minacce transnazionali come il cambiamento climatico e la pandemia da CoVid-19. La questione di come trattare con la Russia, al contrario, è passata in secondo piano, tornando in primo piano solo quando le truppe russe si sono ammassate al confine con l’Ucraina in aprile. La crisi è servita a ricordare il pericolo di guardare oltre Mosca, ma, a luglio Biden era già tornato a dichiarare che la Russia era “seduta in cima a un’economia che ha armi nucleari e pozzi petroliferi e nient’altro“.

Biden non è il primo leader americano a pensare in questo modo. Sin dalla fine della Guerra Fredda, i politici americani hanno periodicamente suggerito che i giorni della Russia come vera potenza globale sono contati. Nel 2014, il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, aveva definito la Russia una “stazione di servizio mascherata da Paese“. Nello stesso anno, il presidente Obama aveva liquidato la Russia come una semplice “potenza regionale“. Non molto tempo dopo, la Russia è intervenuta con successo nella guerra siriana25, ha interferito nelle elezioni presidenziali americane del 2016 e si è inserita nella crisi politica ed economica in Venezuela26 e nella guerra civile in Libia (per cui la guerra civile libica si è trasformata in una guerra a tutto campo tra Russia e Turchia, con droni, aerei, sistemi di jamming elettronico, missili antiarei e mercenari), ha stretto rapporti e dialoga con l’Iran in funzione anti USA27, venduto armi a Turchia28 e India, e ha mandato i mercenari della Wagner, oltre che in Libia, anche in Mali e Repubblica Centroafricana. Eppure, la percezione della Russia come una tigre di carta persiste, nonostante Donald Trump – che ha ripetutamente attaccato la NATO quasi con la stessa implacabilità di Putin – non avesse nascosto il suo desiderio di cooperare più strettamente con Putin, la sua amministrazione aveva identificato la Russia, insieme a Venezuela, Iran, e Cina (ma anche l’Unione Europea, almeno sul piano economico) come avversari dell’America. Le avances di Trump verso Putin sono state bloccate dall’opposizione del Pentagono, degli apparati dell’intelligence, della diplomazia professionale e in maniera bipartisan dal Congresso hanno considerato la Russia ancora con grande sospetto, come inaffidabile e minacciosa. Pertanto, non hanno consentito a Trump di provare ad operare l’inversione della politica nixoniana/kissingeriana degli anni ’70 (apparentemente suggerita dallo stesso Kissinger), ossia un detente, un avvicinamento alla Russia per contrastare l’ascesa della Cina, divenuto il principale avversario da contrastare e battere29.

Il problema è che il caso del declino russo è sopravvalutato. Gran parte delle prove a sostegno di ciò, come la diminuzione della popolazione russa e la sua economia dipendente dalle materie prime (petrolio, gas, cereali, etc.), non sono così importanti per il Cremlino come molti ipotizzano a Washington. La politica estera di Putin gode di un ampio sostegno tra l’élite al potere del Paese ed eventuali disaccordi con gli Stati Uniti sono destinati ad essere duraturi.

Le aspettative del declino russo contengono verità importanti. L’economia del Paese è stagnante, con poche fonti di valore oltre all’estrazione e all’esportazione di risorse naturali. L’intero sistema è pieno di corruzione e dominato da inefficaci imprese statali o controllate dallo Stato o da oligarchi fedeli a Putin, e le sanzioni internazionali limitano l’accesso al capitale e alla tecnologia30.

La Russia lotta per sviluppare, trattenere e attrarre talenti; lo Stato sottofinanzia cronicamente la ricerca scientifica; e la cattiva gestione burocratica ostacola l’innovazione tecnologica. Di conseguenza, la Russia è considerevolmente indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina nella maggior parte delle metriche dello sviluppo scientifico e tecnologico31. Non a caso gli Stati Uniti hanno affermato che stanno preparando restrizioni alle esportazioni in Russia di software e hardware hi-tech realizzati dagli USA e dai loro alleati, con l’obiettivo di condizionare le ambizioni russe nei settori dell’aerospazio, della difesa, dei laser e della tecnologia marittima, dell’intelligenza artificiale e dei computer quantistici. La spesa militare si è in gran parte stabilizzata negli ultimi quattro anni32 e si prevede che la popolazione diminuirà di dieci milioni di persone entro il 2050.

Con prospettive così deprimenti, è naturale presumere che anche la capacità di disgregazione e ostilità della Russia sulla scena internazionale diminuirà presto, che il Cremlino semplicemente esaurirà le risorse per la sua politica estera aggressiva. Ma, questi dati vanno inseriti in un quadro più generale perché evidenziano le debolezze e minimizzano i punti di forza della Russia. La Russia sarà pure un Paese in decrescita, ma il suo potenziale economico, demografico e militare rimarrà sostanziale, piuttosto che entrare in un precipitoso declino. Infatti, se si considera l’economia, per quanto stagnante, è ancora più grande e resiliente di quanto molti credano. Gli analisti amano sottolineare che il PIL russo di 1,5 trilioni di dollari è paragonabile a quello dell’Italia e della Corea del Sud ed è appena il 40% di quello tedesco. Ma, quei 1,5 trilioni di dollari vengono calcolati utilizzando i tassi di cambio di mercato, mentre tenendo conto della parità di potere d’acquisto si sale a 4,1 trilioni di dollari, il che renderebbe la Russia la seconda economia più grande d’Europa e la sesta più grande del mondo. Nessuna delle due misure è del tutto accurata – una è probabilmente una sottostima, l’altra una sovrastima – ma il confronto mostra che l’economia russa non è affatto piccola come molti pensano.

Quello che è certo è che andamento economico e sanzioni hanno causato sofferenza per i cittadini russi. I redditi reali disponibili sono oggi 10% più bassi di quanto non fossero nel 2013, cancellando quasi un decennio di crescita. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e l’occupazione dell’Ucraina orientale nel 2014, le sanzioni internazionali e il calo dei prezzi del petrolio hanno causato il crollo della sua economia. Negli anni successivi, tuttavia, il governo ha frenato la spesa e si è adattato all’abbassamento dei prezzi del petrolio (con la Russia che ha svolto un ruolo cruciale per il controllo dei prezzi e delle quantità prodotte nell’ambito dell’OPEC+), creando eccedenze di bilancio. Le ultime stime, ad agosto 2021, stimano il valore del Fondo Sovrano russo “del benessere nazionale” a circa 185 miliardi di dollari e le sue riserve in valuta estera a 615 miliardi di dollari, non un quadro di miseria33. Una nuova politica di sostituzione delle importazioni, ideata in risposta alle sanzioni internazionali, ha dato nuova vita al settore agricolo34, le cui esportazioni ora fruttano oltre 30 miliardi di dollari all’anno. Il Cremlino ha anche riorientato il commercio lontano dall’Occidente e verso la Cina, attualmente il suo partner commerciale numero uno. Il commercio con la Cina dovrebbe superare i 200 miliardi di dollari entro il 2024, il doppio rispetto al 2013.

Le vendite di petrolio e gas continuano a rappresentare circa il 30-40% del budget del governo. La Russia è il principale fornitore di energia dell’Unione Europea, la cui dipendenza è cresciuta solo nell’ultimo decennio: l’UE ottiene il 41% del suo gas naturale (la Russia ha già limitato il flusso di gas naturale attraverso il gasdotto North Stream 1 – inaugurato nel 2011 – che attraversa l’Ucraina da circa 100 milioni di metri cubi al giorno a 50 milioni, mentre le riserve strategiche tedesche di gas sono scese al 40% e per questo si stanno approntando piani per rifornire l’Europa con il gas liquefatto di altri produttori, a cominciare da Qatar e USA), il 27% del suo petrolio e il 47% dei suoi combustibili fossili solidi dalla Russia. In prospettiva, il problema che Mosca deve affrontare è che le sue risorse non sono infinite. La produzione di petrolio della Russia raggiungerà il picco nel prossimo decennio, alcuni pensano che potrebbe averlo già fatto, il che significa che la capacità del Paese di esportare petrolio facilmente estraibile (e quindi a buon mercato) raggiungerà presto il culmine.

E’ bene ricordare che l’amministrazione Trump ha appoggiato – in funzione anti-russa, ma anche anti-Unione Europea – la cosiddetta “Iniziativa dei tre mari”, un progetto che riunisce 12 Paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico, tutti membri dell’UE o in procinto si aderirvi, e della NATO (tranne l’Austria). Un’iniziativa che mira a “connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da Nord a Sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia”. Scopo ufficiale: “rendere l’Europa centrale e orientale più sicura e competitiva”. Trump era interessato a promuovere l’export in questa area (attraverso dei terminali in Polonia e Croazia) del gas naturale liquefatto americano (il “freedom gas” come lo definiva il Dipartimento dell’Energia USA) o comunque controllato da compagnie statunitensi. Il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva annunciato che gli Stati Uniti – attraverso la International Development Finance Corporation e con il sostegno del Congresso degli Stati Uniti – intendevano fornire fino a 1 miliardo di dollari di finanziamenti a questi Paesi. Lo scopo del piano era quello sia di ridurre lo squilibrio nell’interscambio tra Paesi europei e Stati Uniti sia di colpire la Russia facendo calare l’export di gas in Europa, legando l’Europa centrale e orientale non solo militarmente (attraverso la linea di comando della NATO e forniture militari come i 168 e 208 missili Patriot venduti dalla Lockheed Marietta rispettivamente a Romania e Polonia al costo di 3,4 milioni di dollari l’uno e i 32 F-35 venduti sempre alla Polonia), ma anche economicamente agli USA, in concorrenza con la Germania e altri Paesi europei, spezzando di fatto l’Unione Europea e allargandosi all’Ucraina35.

Il revisonismo di Putin e l’espansionismo di NATO e Unione Europea verso est

In gran parte, l’Occidente è complice di questa crisi. I suoi leader sanno che tipo di uomo è Putin (un ex colonnello del KGB a Dresda nel 1989 e al potere in Russia dal 1999/2000), dalla brutale seconda guerra cecena. Ha invaso la Georgia nel 200836 e si è preso la Crimea nel 2014. Ha supervisionato atrocità con armi chimiche in Siria, operazioni informatiche ostili in Europa (e probabilmente anche negli USA), perniciose ingerenze elettorali antidemocratiche e molteplici omicidi e avvelenamenti di oppositori politici e giornalisti. Inoltre, Vladimir Putin si presenta ai suoi cittadini e al mondo come il portabandiera di un moderno controilluminismo. Ha dichiarato che la democrazia liberale è “obsoleta; è entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione””, un accordo politico che è “sopravvissuto al suo scopo” su temi come le migrazioni, il multiculturalismo e i diritti LGBTQ+ (come ha dichiarato al Financial Times il 27 giugno 2019). Putin propone il modello della “democratura” o della “democrazia autoritaria” e si dice che uno dei suoi modelli storici sia Alessandro III, uno zar reazionario della dinastia dei Romanov che istituì restrizioni draconiane sulla stampa, cercò di “russificare” il suo impero multietnico e si mobilitò contro le minacce interne ed esterne. Quattro anni fa, Putin ha espresso la sua profonda ammirazione per lo zar mentre visitava la penisola di Crimea. Putin è al potere dal 1999/2000 e lo scorso aprile ha firmato una legge che gli permetterà di candidarsi alla presidenza altre due volte nella sua vita, mantenendolo potenzialmente in carica fino al 2036. Eppure i leader occidentali continuano, per la maggior parte, a trattarlo come un leader normale37.

Putin ritiene che il crollo dell’URSS sia stata “la catastrofe geopolitica del XX secolo” (dopo la disintegrazione dell’URSS nel 1991, Mosca ha perso il controllo diretto o indiretto su un territorio più ampio dell’attuale Unione Europea) e che la Russia sia stata umiliata e in qualche modo tradita dall’Occidente senza aver realmente perso la Guerra Fredda, essendosi arresa senza combattere. La prova evidente sarebbe l’allargamento della NATO e l’intervento militare dell’Alleanza nella ex-Jugoslavia e in Kosovo (in particolare con i due mesi e mezzo bombardamenti contro Belgrado e la Serbia nel 1999), che hanno causato circa 150 mila vittime.

Alla sua conferenza stampa annuale dello scorso dicembre, Putin ha chiarito la sua versione dei fatti: “’Non un centimetro ad est, ci hanno detto negli anni Novanta. E allora? Ci hanno imbrogliato, ci hanno semplicemente ingannato sfacciatamente!” Questa interpretazione del recente passato spiega perché Putin insista, a intermittenza e da molti anni, nel ricorrere alla minaccia militare e in alcuni casi all’uso diretto della forza. In sostanza, è convinto che non ci sia altra strada per ottenere concessioni da USA ed Unione Europea, troppo più forti sul piano economico e politico. Il problema è che, così facendo, Putin avvera proprio la profezia che vorrebbe evitare: i Paesi vicini si sentono effettivamente minacciati e dunque cercano di accelerare l’avvicinamento alla NATO e/o all’Unione Europea – anche quando non ne condividono in pieno i valori e le regole, come mostrano i casi dell’Ungheria, in parte della Polonia, o in modo diverso della Serbia. Del resto, almeno il precedente della Crimea – invasa nel 2014 – corrobora la tesi di un imperialismo russo che non accenna a placarsi.

E’ fondamentale ricordare che Putin ha dovuto subire quattro ondate di allargamento della NATO e ha dovuto accettare il ritiro di Washington dai trattati che regolano i missili antibalistici, le forze nucleari a raggio intermedio e i velivoli d’osservazione disarmati38. Per lui, l’Ucraina è l’ultima resistenza. Il comandante in capo russo è sostenuto dalle sue istituzioni militari e di sicurezza e, nonostante il timore di una guerra da parte dell’opinione pubblica russa, non deve affrontare alcuna opposizione interna alla sua politica estera. Soprattutto, non può permettersi di essere visto bluffare. Biden non ha respinto le richieste della Russia e ha aperto il confronto.

Ma, non possiamo dimenticare che gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea hanno perseguito un approccio aggressivo verso la Russia soprattutto tra il 1997 e il 2013, allorquando Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Romania, Croazia, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sono stati reclutati nei ranghi dell’Unione Europea e della NATO, nonostante che tra la fine degli anni ’80 e il 1991 Ronald Reagan, George H. W. Bush e il Segretario di Stato James Baker avessero concordato con Michail Gorbačëv l’adesione alla NATO della Germania riunificata in cambio della rinuncia americana ad estendere la NATO ad est. Nel settembre del 1990, Gorbačëv firmò il Trattato sull’accordo finale nei confronti della Germania (Mosca, a capo di un impero al collasso e a corto di denaro, aveva un disperato bisogno dei 15 miliardi di marchi tedeschi che riceveva per ritirare le forze sovietiche dalla Germania dell’Est). Baker aveva rassicurato Gorbačëv a Mosca nel febbraio 1990: “Se manterremo una presenza in Germania che farà parte della NATO … non ci sarà nessun allargamento dell’alleanza verso est, … nemmeno di un centimetro.” Anche il ministro degli Esteri della Germania occidentale, Hans-Dietrich Genscher, aveva pronunciato allora una serie di discorsi proponendo proprio questo compromesso. “Un’estensione del territorio della NATO a est, cioè più vicino ai confini dell’Unione Sovietica, non avverrà“.

Invece, la NATO è stata rafforzata ed allargata verso est nei 30 anni trascorsi da allora, approfittando della debolezza della Russia tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. La promessa di non allargare la NATO è stata infranta, attaccando la Serbia nel 1999 e sostenendo le “rivoluzioni colorate” contro i regimi autoritari filorussi in alcuni Paesi ex-sovietici. Oggi, la frontiera della NATO con la Russia comprende, oltre allo storico piccolo tratto con la Norvegia, gli Stati baltici, ex territori sovietici che si trovano a meno di 200 km da San Pietroburgo e a 600 km da Mosca. Degli 8 Stati che facevano parte del Patto di Varsavia, 7 sono entrati nella NATO, mentre gli USA hanno spinto (e spingono) anche per l’entrata di Ucraina, Georgia (invase dalle truppe russe rispettivamente nel 2014 e nel 2008) e Moldavia.

L’unilateralismo americano venne chiaramente denunciato da Putin – che nel 2000 aveva chiesto di entrare nella NATO e nel 2001 aveva fornito appoggio logistico e di intelligence all’invasione americana dell’Afghanistan – in un discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco il 10 febbraio 2007, ma George W. Bush e i suoi successori non ne tennero conto.

La crisi ucraina del 2013-2014 – come già la guerra con la Georgia nel 2008 e, successivamente, l’annessione della Crimea – ha rappresentato uno dei problemi strategici prodotti dall’abbandono della “Partnership for Peace” (una serie di accordi di sicurezza che includevano la Russia) in favore dell’allargamento della UE (dietro la spinta di Polonia e Paesi baltici e scandinavi) e dell’Alleanza Atlantica a gran parte dell’Europa orientale (proseguito con l’adesione del Montenegro nel 2017 e l’invito alla Repubblica di Macedonia del Nord, con Ucraina, Georgia e Bosnia ed Erzegovina in attesa di entrare e Svezia e Finlandia partecipi delle esercitazioni militari congiunte), realizzato a partire dal presidente Bill Clinton e dalla sua Segretaria di Stato Madeline Albright (che definiva “indispensabili” gli USA), per trasformare la NATO nella pietra angolare di una vasta espansione geostrategica che aveva l’obiettivo, come aveva affermato nel 1994 l’ex consigliere della sicurezza di Carter dal 1977 al 1981, Zbigniew Brzezinski, di occupare “la potenzialmente destabilizzante sul piano geopolitico terra di nessuno tra Russia e Unione Europea” perché “l’Eurasia è il terreno sul quale si giocherà il futuro del mondo39.

Una strategia espansiva che la Russia, a partire dall’estensione della NATO agli Stati baltici (Lituania, Estonia e Lettonia) nel 2004, ha vissuto come un incubo da accerchiamento, alimentando il nazionalismo assertivo di Putin e una torsione verso la Cina. Per cercare un dialogo più intenso con la Russia, senza rinunciare alle sanzioni in vigore, Francia, Olanda e Danimarca hanno congelato l’entrata nella UE di Albania, Repubblica di Macedonia del Nord e degli altri quattro Paesi dei Balcani occidentali. In ogni caso, per contrastare la penetrazione cinese e russa nell’area, l’Unione Europea versa aiuti miliardari a questi Paesi e continua a promettere un loro inglobamento futuro40.

Un’alleanza strategica tra Russia e Cina?

Come risposta alla politica di azioni unilaterali, sanzioni e protezionismo commerciale degli Stati Uniti si sta consolidando un’alleanza sempre più estesa tra Russia e Cina che si va configurando come una “strategic partnership”. Per anni le relazioni tra i due Paesi che condividono 4.200 chilometri di confine sono state altalenanti. Nel 1968-69, per sei mesi, si arrivò addirittura al conflitto militare tra Cina e URSS lungo il fiume Amur dove passa la linea ferroviaria che connette i due Paesi (la Cina di Mao voleva indietro i territori a nord del fiume Amur annessi dai russi nel 1860). Sebbene nel 2008 i due grandi vicini abbiano risolto le loro dispute territoriali, la Russia ha sempre visto la Cina come una minaccia ai confini delle regioni scarsamente popolate, ma ricche di risorse, della Siberia orientale ed estremo oriente russo, un tempo rivendicate dalla Cina.

Ora la percezione è cambiata, al punto che Russia, Cina e Mongolia hanno tenuto insieme grandi manovre militari (Vostok-2018 e Kavkaz 2020). Il messaggio è rivolto a USA e UE: se continueranno a isolarla, la Russia guarderà sempre più verso est e stringerà alleanze non gradite alla NATO. Su questa linea vanno anche le intese commerciali relative alle importazioni dalla Russia di armi (con l’acquisto da parte della Cina dei jet da combattimento russi Sukhoi Su-57), soia e altri prodotti agricoli, elettricità, petrolio (con un nuovo oleodotto inaugurato nel gennaio 2018) e gas (con un gasdotto Power of Siberia in funzione dal 2019), ai progetti tecnologico-industriali nell’avionica, nel nucleare civile e nell’alta velocità ferroviaria, alle infrastrutture, alla logistica, ai traffici transfrontalieri, alla cooperazione regionale attraverso la Shanghai Cooperation Organization e agli investimenti cinesi nella Belt and Road Initiative.

Nel corso della ottava visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Mosca (5-7 giugno 2019), Cina e Russia hanno concordato di aggiornare le loro relazioni con una partnership strategica globale di coordinamento. I media occidentali hanno analizzato questa visita nel contesto della guerra commerciale tra Cina e USA, sostenendo che Pechino e Mosca intendono unire le forze contro gli Stati Uniti. Dalla crisi dell’Ucraina, la quota del commercio bilaterale russo-cinese è quasi raddoppiata arrivando ad oltre 107 miliardi di dollari nel 2018 e la Cina è stata il principale partner commerciale della Russia per il decimo anno consecutivo. La cooperazione bilaterale tra i due Paesi progredisce in modo globale e copre i settori economico, politico, sociale, culturale, nonché le aree militari, di sicurezza e di alta tecnologia, e nel corso della visita di Xi sono stati firmati nuovi accordi, tra cui un accordo tra Huawei e la compagnia di telecomunicazioni russa MTS per sviluppare una rete 5G in Russia. Poi sono stati firmati accordi tra Alibaba, l’operatore di telefonia mobile Megafon e il gruppo internet Mail.ru per la creazione di una joint-venture dell’e-commerce, la AliExpress, che mira a diventare leader del settore in Russia; e, infine, sono stati firmati gli accordi sui prodotti energetici come quello tra le russe Novatek e Gazprom con la cinese Sinopec per la vendita di gas in Cina.

La Banca centrale russa ha confermato la conversione in yuan, euro e oro di buona parte delle proprie riserve in dollari. Russia e Cina hanno stretto accordi intergovernativi per aumentare l’uso del rublo e dello yuan nelle loro transazioni commerciali, mettendo fuori gioco il dollaro. Una scelta che ha conseguenze rilevanti in un altro settore strategico: quello del petrolio. Proponendo alla Cina di rafforzare la collaborazione energetica, Mosca e Pechino, insieme, possono porre le basi per un circuito finanziario alternativo a quello del dollaro e influenzare anche i prezzi mondiali del greggio. Sul petrolio si gioca una partita decisiva e non solo verso gli Stati Uniti, ma anche verso l’Arabia Saudita e gli altri Paesi OPEC, con i quali la Russia ha cooperato negli ultimi anni.

Anche sul piano delle relazioni internazionali, Cina e Russia appaiono ormai allineati sulla maggior parte delle questioni più contrastanti con gli USA – Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria – e condividono l’ostilità degli Stati Uniti. Tra Mosca e Washington le relazioni sono al punto più basso dalla fine della Guerra Fredda, mentre Pechino è alle prese con la guerra commerciale scatenata da Trump e continuata da Biden.

Alessandro Scassellati Stampa PDF

  1. La Crimea, ceduta dal leader sovietico Nikita Chruščëv a Kiev nel 1954, è stata ‒ essendo l’Ucraina stata parte dell’Unione Sovietica fino al 1991 ‒ sempre sotto il controllo di Mosca. La penisola ha una lunga storia di dominazione, essendo stata parte dell’Impero romano e conquistata numerose volte fino a quando Caterina la Grande, nel 1783, sconfiggendo l’Impero Ottomano, la incorporò all’Impero Russo. L’annessione del 2014 da parte di Mosca è stata guidata da interessi geopolitici (quello verso la base navale di Sebastopoli sul Mar Nero) e dal fatto che il 77% della popolazione parla il russo come lingua madre, l’11% tataro e solo il 10% ucraino.[]
  2. Putin non ritiene che l’Ucraina sia un vero Stato e nel 2019 ha offerto la cittadinanza ai residenti del Donbass attraverso una procedura semplificata di rilascio dei passaporti russi. Più di mezzo milione di passaporti russi sono stati concessi ai residenti del Donbass a metà del 2021.[]
  3. Il 18 novembre, poche settimane dopo l’inizio dei rapporti sulla concentrazione di truppe russe, Vladimir Putin ha rilasciato la sua ormai famosa dichiarazione sulle “linee rosse“, ampiamente considerata come il primo presagio dell’ultimatum di Mosca per una nuova architettura di sicurezza europea alle sue condizioni. Ma, nel suo discorso, ha identificato la “crisi interna dell’Ucraina” e il “mancato adempimento degli obblighi [di Minsk]” che prevedono la reintegrazione pacifica del Donbass nel sistema politico-istituzionale ucraino, come il problema di sicurezza più urgente della Russia. Secondo Putin, l’Occidente stava “aggravando” la situazione fornendo armi a Kiev. Eppure il governo ucraino ha negato tali piani, mentre il presidente Volodymyr Zelenskiy ha ripetutamente affermato il suo impegno per la pace, escludendo qualsiasi soluzione militare imminente da parte dell’Ucraina. Questo anche se una forte e influente (soprattutto, nell’esercito e nei media) minoranza nazionalista in Ucraina ha costantemente ostacolato tutti gli sforzi di Zelenskiy per attuare il pacchetto di misure di Minsk tese a trovare una soluzione pacifica della questione Donbass. Discutere di pace con i leader separatisti – qualcosa che è specificamente stipulato negli accordi di Minsk firmati da Kiev – è stato finora ritenuto equivalente a tradimento. In ogni caso, Zelenskiy sembra farsi poche illusioni sull’adesione alla NATO e non c’è una vera preparazione in Ucraina per realizzare quello che Mosca dice che il governo ucraino vuole realizzare. Inoltre, sia la NATO che Washington hanno chiarito che né la NATOtruppe statunitensi combatterebbero al fianco degli ucraini in caso di guerra con la Russia, anche se consiglieri militari ed armi sono state e continuano ad essere inviate in Ucraina.[]
  4. Ma, al tempo stesso, alcune grandi aziende e gruppi imprenditoriali stanno spingendo la Casa Bianca e i legislatori a essere cauti. Un gruppo commerciale che rappresenta Chevron, General Electric e altre grandi società statunitensi che fanno affari in Russia chiede alla Casa Bianca di considerare la possibilità di consentire alle aziende di adempiere agli impegni e di valutare i prodotti esentati in quanto prevede sanzioni. Allo stesso tempo, le grandi compagnie energetiche stanno spingendo il Congresso a limitare la loro portata e la tempistica. Il commercio di beni e servizi degli Stati Uniti con la Russia ha totalizzato circa 34,9 miliardi di dollari nel 2019, secondo l’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti.[]
  5. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno varato una serie di sanzioni contro la Russia dopo l’inizio della guerra nel Donbass, nell’Ucraina orientale, e l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel marzo del 2014, dopo la vittoria in un referendum dell’opzione del ritorno ad essere parte della Russia. Le misure sono di tipo diplomatico (per esempio l’esclusione di Mosca dai meeting del G-8, che quindi è ridiventato G-7), economico e commerciale. Una serie di restrizioni, tra cui il divieto d’ingresso nei Paesi dell’Unione Europea e il congelamento dei beni, sono state adottate nei confronti di 150 individui e 38 entità le cui “azioni hanno compromesso l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”. Tra le persone colpite ci sono personaggi pubblici, manager, politici, deputati e senatori.[]
  6. Sebbene l’attenzione in Occidente si sia concentrata sull’accumulo di truppe russe vicino al confine ucraino, ciò è avvenuto quando i Paesi della NATO hanno ampliato le loro attività militari nella regione del Mar Nero e in Ucraina. A giugno, un cacciatorpediniere britannico ha navigato attraverso le acque territoriali al largo della Crimea, che Londra non riconosce come appartenente alla Russia, provocando i russi a sparare nella sua direzione. A novembre, un bombardiere strategico statunitense è volato entro 13 miglia dal confine russo nella regione del Mar Nero, facendo infuriare Putin. Con l’aumento delle tensioni, consiglieri militari occidentali, istruttori, armi e munizioni si sono riversate in Ucraina. I russi sospettano anche che un centro di addestramento che il Regno Unito sta costruendo in Ucraina sia in realtà una base militare straniera. Putin è fermamente convinto che il dispiegamento di missili statunitensi in Ucraina che possono raggiungere Mosca in cinque o sette minuti non può e non sarà tollerato.[]
  7. I livelli di supporto e legittimità sono in calo per Putin all’interno della Russia. La società russa si sta stancando di Putin ed è improbabile che lui sia in grado di “reimpostare l’agenda” di nuovo: poche persone credono che ciò sia possibile. I gruppi di giovani e di mezza età sono stanchi di Putin, il suo elettorato si sta restringendo e si riduce ancora più velocemente a seguito della gestione della pandemia da CoVid-19. Allo stesso tempo, l’efficacia dei canali mediatici del Cremlino sta diminuendo, poiché i russi imparano a consumare informazioni da più canali (ovvero, stanno imparando a non fidarsi solo di una singola fonte di informazioni).[]
  8. E’ bene ricordare che gli USA e il loro alleati hanno vinto la Guerra Fredda (costata 45 milioni di morti nei vari teatri extra-occidentali dello scontro e della “coesistenza pacifica” dal 1945), dopo un decennio di folle corsa agli armamenti da parte di USA e URSS, portando alla caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, alla riunificazione delle due Germanie nell’ottobre 1990, alla fine della vecchia sinistra social-comunista antagonista in Europa (che non aveva ancora accettato il compromesso liberal-social-democratico) e alla fine del “socialismo reale” in Russia con la sua economia interamente pianificata entro le rigide maglie dello Stato, a seguito della bancarotta e dell’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991 (definita da Reagan ”Impero del Male” nel 1983). Una vittoria che ha consentito di estendere il modo di produzione capitalistico, impiantando il suo insieme strategico di relazioni, all’intero globo. Il collasso del “socialismo reale” nell’ex blocco sovietico e l’accesso della Cina all’economia di mercato internazionale hanno aggiunto circa 2 miliardi di persone alla forza lavoro salariata globale. Sono stati aperti nuovi mercati di merci, servizi, capitali finanziari, forza lavoro, materie prime e derrate alimentari per le grandi imprese multinazionali. E’ a seguito di questo cambiamento che i Paesi del “Terzo Mondo” si sono trasformati in “mercati emergenti” dell’economia globale in grado di poter essere “destinazioni attrattive di investimento” (“open for business”) per investitori e policy-makers alla continua esplorazione di nuovi territori dove poter generare valore commerciale ed estrarre surplus nell’economia globale. Prima sono emerse le “nuove tigri industriali” come la Corea del Sud, Singapore, Hong Kong (passata dall’UK alla Cina nel 1997), Taiwan, Messico, Turchia, e poi i BRICS – Brasile, Russia, India e Cina e, successivamente, Sud Africa – (un acronimo inventato da Jim O’Neill, un banchiere di Goldman Sachs come “mappa della crescita” del futuro nel 2001). La Cina è già da tempo alle prese con una propria delocalizzazione industriale (nel tessile, abbigliamento, calzaturiero, etc.) – un processo che la guerra commerciale con gli Stati Uniti ha accelerato – verso Paesi del Sud Est Asiatico come la Cambogia, il Bangladesh, la Thailandia, l’Indonesia, la Malaysia, il Sri Lanka, il Myanmar e il Vietnam, ma anche dell’Africa (Etiopia ed Egitto), dove il costo del lavoro (ma anche quello dell’affitto degli spazi industriali e commerciali o dell’elettricità) è molto più basso di quello cinese, anche se i governi stanno aumentando il salario minimo mensile sia per contenere le proteste degli operai sia per corteggiare gli elettori più poveri.[]
  9. E’ bene ricordare che l’Italia partecipa alla missione NATO in Lettonia che prevede l’impiego di 166 uomini e 8 caccia italiani Eurofighter Typhoon nella base di Amari per pattugliare il confine con la Russia con la motivazione di proteggere i Paesi baltici dall’aggressione russa[]
  10. L’Ucraina ha 261 mila soldati e 400 mila veterani militari, oltre a missili terra-aria e nuove armi anticarro consegnate negli ultimi giorni da USA e Regno Unito. Ha minato la costa lungo il Mar d’Azov e installato missili antinave. Uno sbarco anfibio russo comporterebbe grandi perdite.[]
  11. E’ bene ricordare che la Cina ha lanciato e sta lavorando da anni alla Belt and Road Initiative (BRI) che potrebbe collocare la Cina “al centro della scena mondiale“, come grande potenza al centro di nuove catene di fornitura e di un nuovo ordine economico globale, rendendo l’Eurasia (dominata dalla Cina, insieme alla Russia, all’Iran, alla Turchia e all’Unione Europea) un’area economica e commerciale in grado di competere con quella transatlantica ancora dominata dall’America. La BRI prevede: 1. una via terrestre, la Silk Road Economic Belt (SREB) composta da 4 corridoi: il nuovo ponte terrestre eurasiatico che collegherà orizzontalmente la provincia cinese dello Jiangsu con Rotterdam in Olanda, attraversando più di 30 Paesi; il corridoio economico Cina-Mongolia-Russia (dalla Cina settentrionale all’Estremo Oriente russo); il corridoio economico Cina-Asia centrale-Asia occidentale (dalla Cina occidentale alla Turchia passando per Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan); il corridoio economico Cina-Pakistan; 2. una via marittima, la Maritime Silk Road (MSR), che comprende due corridoi: il corridoio economico Cina-Penisola indocinese (dalla Cina a Singapore passando per Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Myanmar e Malesia) e il corridoio economico Cina-Bangladesh-India-Myanmar. Questi sterminati corridoi economici mirano a facilitare il commercio, gli investimenti, il flusso di informazioni, il movimento di persone e la creazione di mercati e posti di lavoro in loco, interconnettendo l’Asia centrale ed occidentale (attraverso i porti di Guangzhou e Haikou, attraverso Malacca, Singapore, lo Sri Lanka), toccare il Medio Oriente e l’Africa e, attraverso Suez, sboccare in Europa. L’interscambio Cina-UE è quasi raddoppiato tra il 2010 e il 2017, superando i 550 miliardi di dollari, e la Cina è così divenuta il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese. La variante marittima, oltre a collegare il Mare Cinese e il Mediterraneo, dovrebbe estendersi anche al Sud Est asiatico e all’Oceania e alla rotta polare verso il Baltico – usando il passaggio a nord-est della Russia -, che sfruttando l’opportunità del restringimento della calotta glaciale artica dovuto al riscaldamento climatico può permettere al traffico commerciale di accorciare i tempi di navigazione dall’Asia all’Europa (3 mila miglia nautiche e 20 giorni di navigazione in meno da Shanghai a Rotterdam e Amburgo). Con la via polare si accorcia di una settimana anche il passaggio che unisce Atlantico e Pacifico, costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto alla rotta attraverso il canale di Panama. Questa iniziativa rivela come la Cina sia l’unica potenza mondiale ad essersi dotata di una strategia di sviluppo globale coerente per il XXI secolo. Si tratta della proposta di un modello geo-economico e geo-politico alternativo a quello americano e che potrebbe essere integrato sia con l’iniziativa dell’Eurasian Economic Union lanciata dalla Russia nel 2011 sia con la strategia dell’Unione Europea sulla connettività euro-asiatica lanciata nell’ottobre 2018.[]
  12. C’è una significativa asimmetria nell’importanza che l’Occidente e la Russia attribuiscono all’Ucraina. L’Occidente ha esteso al Paese la prospettiva dell’adesione alla NATO nel 2008, ma senza un calendario formale per l’ammissione. Dopo il 2014, quando la Russia ha preso la Crimea dall’Ucraina e ha iniziato a sostenere i militanti filo-russi nella regione del Donbass in risposta al rovesciamento del presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, è diventato difficile immaginare come il governo degli Stati Uniti avrebbe consentito all’Ucraina di aderire alla NATO. Dopotutto, ci sarebbe poco sostegno pubblico negli Stati Uniti per il dispiegamento di truppe per combattere per l’Ucraina. Washington è gravata da una promessa a Kiev che entrambe le parti sanno che non può mantenere. La Russia, al contrario, tratta l’Ucraina come un interesse vitale per la sicurezza nazionale e ha dichiarato di essere pronta a usare la forza militare se tale interesse è minacciato. Questa apertura a impegnare truppe e la vicinanza geografica all’Ucraina danno a Mosca un vantaggio sugli Stati Uniti e sui suoi alleati europei.[]
  13. Ma, il rischio per la UE è che quella che potrebbe essere un’opportunità per diventare più matura e sovrana, possa diventare l’opposto: un colpo di grazia all’idea che l’Unione possa trasformarsi in un attore globale indipendente. Per ora l’UE non è riuscita neanche a preparare un solido pacchetto di sanzioni da imporre alla Russia se il Paese invadesse nuovamente l’Ucraina((Nel luglio del 2014, l’Unione Europea ha imposto sanzioni economiche che limitano l’accesso della Russia ai capitali, alle tecnologie e alle armi europee. Questi provvedimenti sono stati prorogati di sei mesi in sei mesi. In particolare, queste misure limitano l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’Unione Europea da parte di talune banche e società russe; impongono il divieto di esportazione e di importazione per quanto riguarda il commercio di armi; stabiliscono il divieto di esportazione dei beni a duplice uso per scopi militari o utilizzatori finali militari in Russia; limitano l’accesso russo a determinati servizi e tecnologie sensibili che possono essere utilizzati per la produzione e la prospezione del petrolio. Sono inoltre in vigore restrizioni alla cooperazione economica con la Russia (tra cui la sospensione di alcuni programmi bilaterali) e limitazioni ai rapporti economici con la Crimea, tra cui il divieto d’importazione di beni dalla penisola. In risposta alle sanzioni europee nell’agosto del 2014 Mosca ha varato una serie di controsanzioni, che prevedono, tra le altre cose, il divieto d’importazione di prodotti alimentari dall’Europa e dagli altri Paesi che applicano sanzioni contro la Russia. Il blocco riguarda carni, formaggi, verdura, frutta e latte. E’ importante ricordare che nel 2014/2015 l’Italia è stata in prima linea negli sforzi diplomatici per impedire severe sanzioni dell’UE alla Russia, nel tentativo di difendere i lucrosi rapporti commerciali tra Italia e Russia. Federica Mogherini ha agito come colomba in capo sulla Russia sia come ministro degli Esteri italiano sia poi come capo della politica estera dell’UE, cercando di ammorbidire la linea dura su Putin avanzata da Polonia, Regno Unito, Svezia e nazioni baltiche.[]
  14. L’assenza di Scholz dal dibattito delle settimane precedenti e i feroci disaccordi sulla Russia all’interno del suo Partito Socialdemocratico sollevano dubbi sulla fermezza e la coerenza dell’approccio di Berlino. D’altra parte, il comandante in capo della marina militare tedesca, il vice-ammiraglio Kay-Achim Schönbach, si è dimesso dopo aver affermato che l’idea che la Russia voglia invadere l’Ucraina è “una sciocchezza” e che tutto ciò che Putin “vuole davvero è il rispetto“.”E mio Dio, dare rispetto a qualcuno è a basso costo, anche a costo zero… È facile dargli il rispetto che richiede davvero – e probabilmente anche merita“, ha detto Schönbach durante un meeting in India.[]
  15. Il documento russo chiede a Russia e USA di ritirare fuori portata qualsiasi sistema missilistico a corto o medio raggio, sostituendo il precedente trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF) che gli Stati Uniti avevano lasciato nel 2018.[]
  16. L’atto Costitutivo NATO-Russia ha stabilito una partnership tra l’Occidente e la Russia, e venne firmato da Boris Yeltsin nel maggio 1997 mentre venivano invitati ad aderire all’alleanza Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. La Russia venne invitata a partecipare al gruppo G-7 delle democrazie industrializzate avanzate, creando il G-8 che ha funzionato tra il 1999 e il 2014. La Russia ottenne anche 4 miliardi di dollari e l’accesso al WTO.[]
  17. La nuova coalizione tedesca è divisa sulla Russia, il presidente francese Emmanuel Macron è riluttante a impegnarsi nel dibattito, la Polonia è politicamente screditata all’interno dell’UE e Borrell appare un sonnambulo. Sabato è trapelato da fonti russe che consiglieri politici di Russia, Ucraina, Francia e Germania terranno colloqui in “formato Normandia” sull’Ucraina orientale a Parigi il 26 gennaio. In passato, Francia e Germania hanno vanificato gli sforzi per trovare una soluzione diplomatica allo stallo Russia-Ucraina. Gli europei, che erano i garanti degli accordi di Minsk del 2014 e 2015 che avrebbero dovuto portare la pace nella regione, hanno avuto scarso successo nel spingere gli ucraini a concludere un accordo. Il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, allora ministro degli Esteri, non riuscì nemmeno a convincere Kiev ad accettare un compromesso che avrebbe consentito le elezioni nella regione del Donbass. Lo scorso novembre, i russi sono arrivati al punto di pubblicare una corrispondenza diplomatica privata tra il loro ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, e le sue controparti francese e tedesca per dimostrare come le potenze occidentali si siano schierate pienamente con la posizione del governo ucraino.[]
  18. Si parla di aprire un canale di comunicazione diretto tra l’Alto rappresentante UE Josep Borrell e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Ma, la proposta suona più come se fosse progettata per lenire l’anima angosciata dell’UE che per risolvere la crisi. E la dimostrazione del malcontento dell’Unione per essere stata messa da parte nelle discussioni tra Stati Uniti e Russia, e ha solo fornito al Cremlino un’altra opportunità per deriderla pubblicamente. Come ha osservato sarcasticamente Lavrov, questa “è una domanda per Borrell e i membri dell’UE, e per quanto riguarda la possibilità di un dialogo separato con l’UE che non coinvolga gli Stati Uniti e la NATO, è necessario chiedere agli Stati Uniti se sono disposti a lasciare [che l’UE] intraprenda qualsiasi azione indipendente”.[]
  19. Storicamente, i Socialdemocratici sono il partito dell’Ospolitik, che si riferisce alla strategia di politica estera del “cambiamento attraverso il riavvicinamento” nei confronti dell’Unione Sovietica e dei suoi Stati satelliti perseguita negli anni ’70 dal cancelliere Willy Brandt, e che ha cercato di superare le linee dure concentrandosi su interessi comuni. Questo tipo di politica è ancora considerata da molti socialdemocratici come la via da seguire. Inoltre, sempre agli ’70 risale l’accordo di dipendenza reciproca tra i due Paesi, quando l’Unione Sovietica e la Germania hanno deciso di scambiare gas naturale dall’URSS con tubi e acciaio tedeschi. Questo accordo si basa sulla convinzione espressa da Helmut Schmidt che “coloro che commerciano tra loro non si sparano a vicenda”. Nel 2018 la Germania rappresentava il 37% delle vendite di Gazprom e la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 era già stata concordata. Le esportazioni tedesche verso la Russia sono quintuplicate tra il 2000 e il 2011. Le posizioni di Brandt e di Schmidt rimangono ancora quelle prevalenti nell’SDP.[]
  20. Dato che è considerato inaffidabile ed antipatico in molti Paesi dell’UE, non è chiaro come l’aspirazione di Boris Johnson di colpire gli “amici europei” e di farsi carico di un fronte unito per scoraggiare Putin, delineato in alcune affermazioni del fine settimana di Downing Street, possa funzionare. Questo improvviso balzo in avanti nella modalità Churchilliana da combattimento sembra più che altro uno dei tanti tentativi di distrarre l’attenzione dal “partygate” e dalle polemiche sulle menzogne raccontate da Johnson in Parlamento. Sfruttando le tensioni internazionali in questo modo, Johnson e la sua ministra degli Esteri che imita la Thatcher, Liz Truss, potrebbero forse solo peggiorare le cose. In ogni caso, è bene ricordare che la Gran Bretagna ha firmato l’intesa che crea l’Iniziativa Europea di Intervento, che punta ad un’Europa autonoma in materia di difesa entro il 2024. All’Iniziativa, promossa dalla Francia, hanno aderito anche Germania, Danimarca, Estonia, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Finlandia e Italia. La Gran Bretagna resta così agganciata a un progetto di cooperazione europeo nonostante la Brexit.[]
  21. La Germania ha bloccato l’Estonia che voleva inviare in Ucraina armi di fabbricazione tedesca. Per la Germania, l’idea di fornire armi da usare contro la Russia per la prima volta dalla seconda guerra mondiale è un anatema. Parlando a Berlino martedì, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha difeso la decisione, dicendo che era radicata “nell’intero sviluppo degli ultimi anni e decenni“.[]
  22. Una preferenza che vale anche per i governanti e le popolazioni dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia che con una guerra Russia-Ucraina vedrebbero il prezzo dei cereali schizzare alle stelle, dato che le consegne di grano ucraine verrebbero sicuramente interrotte. L’Ucraina è uno dei grandi produttori mondiali di cereali che esporta in tutto il mondo, sprattutto nei Paesi emergenti e poveri di Africa, Medio Oriente ed Asia.[]
  23. La Russia fa parte della Shanghai Cooperation Organization, un’organizzazione politica, economica e di sicurezza nata nel 2001 che ha l’ambizione di diventare un modello per la costruzione di un nuovo tipo di relazioni internazionali caratterizzato da “nessuna alleanza, nessun conflitto e nessuna mossa contro alcun Paese terzo” e di cui fanno parte, oltre a Cina e Russia, anche India, Pakistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan, mentre l’Iran partecipa come osservatore.[]
  24. E’ stata l’amministrazione Trump a scatenare una sorta di seconda Guerra Fredda tra USA e Cina, combattuta sia sul piano economico-commerciale sia su quello militare-diplomatico-geopolitico: una competizione o una “rotta di collisione tra Stati Uniti e Cina per il primato in Asia orientale e potenzialmente in Eurasia e nel mondo, riassunta nella National Security Strategy americana del dicembre 2017 con la frase “the United States must retain overmatch”, e nella National Defense Strategy del Pentagono del 2018 con la descrizione della Cina come “un concorrente strategico che usa l’economia predatoria per intimidire i suoi vicini mentre militarizza il Mar Cinese Meridionale“). In una parte rilevante dell’establishment americano si è ormai consolidata l’idea che gli Stati Uniti devono opporsi alla spinta della Cina per l’egemonia regionale. Una convinzione che ha le sue radici nel cupo scenario geopolitico elaborato da Sir Halford Mackinder all’inizio del XX secolo che prevede che se un singolo potere dominasse il “cuore” dell’Eurasia (definita come “l’isola del mondo“), ossia l’Europa Centrale, potrebbe raggiungere l’egemonia globale. Ma, sarebbe bene ricordare che il professore di geografia dell’Univesità di Oxford Mackinder era un imperialista reazionario di destra che viveva in un’era storica in cui si equiparava la potenza militare alla dimensione della popolazione e alla produzione di carbone e acciaio. Una teoria geopolitica che ha come contraltare quella dell’americano Alfred Thayer Mahan che ha posto l’accento sul ruolo del potere sui mari (la strada scelta per costruire il proprio dominio mondiale da Inghilterra prima e da Stati Uniti poi). La Cina è ormai la maggiore economia mondiale, il maggiore esportatore e il secondo importatore del mondo, nonché il principale partner commerciale di 130 Paesi, a cominciare da tutti gli altri principali Paesi dell’Asia orientale, compresi gli alleati degli USA. Se sul piano economico gli Stati Uniti non riescono più a mantenere il proprio potere imperiale, possono provare a farlo sul piano militare, investendo massicciamente nell’intelligenza artificiale, biometria, tecnologie e “forze” spaziali che controllano satelliti, droni, automi, veicoli telecomandati, e velivoli ad alta tecnologia.[]
  25. La Russia era interessata soprattutto ad utilizzare la Siria come base per rilanciare la propria presenza nel Mediterraneo e in Medio Oriente (con il porto di Yartus e l’aeroporto di Latakia), oltre a ottenere le concessioni dei giacimenti di gas offshore a largo di Tartus e Banyas e delle miniere di fosfati di Palmira. Insieme a Turchia, Iran e gli Hezbollah libanesi e altre milizie sciite straniere (pasdaran iraniani, pakistani, afghani, iracheni), la Russia si è schierata a fianco di al-Assad e con Iran e Turchia ha gestito il cosiddetto “Astana process” per la gestione della crisi siriana, alternativo ai colloqui di pace dell’ONU a Ginevra.[]
  26. Sia il governo russo sia l’azienda petrolifera Rosneft (almeno fino al 28 marzo 2020, quando ha ceduto tutti i suo interessi venezuelani allo Stato russo) sono entrati in possesso di parti significative di almeno cinque giacimenti petroliferi, hanno ottenuto oltre a 30 anni di produzione futura da due giacimenti di gas naturale dei Caraibi e hanno avuto in garanzia il 49,9% di Citgo, la filiale americana della compagnia petrolifera nazionale PDVSA (creata nel 1976 con la nazionalizzazione dell’industria petrolifera) che negli USA opera e possiede tre raffinerie nella Gulf Coast (è l’ottavo raffinatore degli USA con il 4% del mercato), una rete nazionale di oleodotti e 5.500 stazioni di servizio in 29 Stati. La Citgo raffinava circa 250 mila barili di petrolio venezuelano al giorno (un terzo del suo fabbisogno) e riforniva il Venezuela di benzina e altri prodotti. Nel settembre 2016, PDVSA ha proposto ai propri creditori russi uno scambio di obbligazioni per estendere di tre anni la scadenza di una serie di titoli (dal 2017 al 2020), offrendo come garanzia il rimanente 50,1% del capitale di Citgo, mettendo così in pericolo il controllo della società da parte di PDVSA. Le forze armate venezuelane, una volta equipaggiate esclusivamente con armi americane, ora hanno armi, carri armati e aerei russi, finanziati con consegne di petrolio prepagate ai clienti russi.[]
  27. La Russia è stata uno dei firmatari – insieme a USA, Cina, Germania, Gran Bretagna e Francia – nel luglio 2015 dell’accordo multilaterale sul nucleare iraniano JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) che aveva posto fine ad un decennio di embargo., ma che è stato ripudiato da Trump, creando una grave crisi nelle relazioni tra Occidente ed Iran che perdura ancora oggi.[]
  28. La guerra siriana ha contribuito ad avvicinare la Turchia alla Russia, dalla quale ha deciso di comprare il sistema di difesa anti-aerea S-400 russo – concepito per abbattere aerei come gli F-35 americani – per 2,5 miliardi di dollari, pur essendo un importante membro della NATO dal 1952. Una decisione giustificata sulla base del rifiuto da parte dell’amministrazione Obama di vendere alla Turchia il sistema missilistico Patriot includendo il know-how tecnologico, ma che ha spinto Washington ad espellere il Paese dal programma degli F-35, mentre il Congresso ha auspicato l’imposizione di sanzioni economiche contro la Turchia. E Mosca ha offerto di vendere alla Turchia anche il suo caccia avanzato, il Su-35, mentre la Turchia sta mettendo a punto un proprio caccia (TF-X) da realizzare insieme alla Rolls-Royce. Inoltre, l’asse Turchia-Russia si è esteso fino a comprendere l’influenza sulle sorti del conflitto in Libia (al posto di Italia e Francia), il ridisegno dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale e questioni come scambi economici commerciali, gas ed energia nucleare.[]
  29. Con il summit di Helsinki del luglio 2018, Trump ha cercato di “normalizzare” le relazioni con Putin ed è stato bollato da John Brennan, un ex direttore della CIA, ma anche da gran parte dell’establishment democratico e repubblicano, di essersi comportato poco meno che come un “traditore” per aver ceduto al nemico Putin nel corso della conferenza stampa congiunta di Helsinki nel negare le accuse formulate dalle agenzie governative americane dell’intelligence (FBI, CIA e NSA) di ingerenza elettorale da parte dei russi (un’affermazione che Trump ha dovuto in seguito rimangiarsi).[]
  30. La Russia è stata soggetta a sanzioni dall’annessione della Crimea nel 2014. Ulteriori misure punitive sono state aggiunte dopo che l’ex-spia russa Sergei Skripal e sua figlia Yulia sono stati avvelenati con il gas nervino (il novichok, utilizzato anche per avvelenare il leader dell’opposizione Alexei Navalny nell’agosto 2020) in Gran Bretagna nel 2018 e a seguito di un’indagine sulla presunta ingerenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 vinte da Donald Trump.[]
  31. Sebbene la Russia sia in ritardo rispetto agli Stati Uniti nell’innovazione tecnologica, si colloca ancora tra le prime dieci al mondo per spesa in ricerca e sviluppo. Inoltre, la Russia ha sviluppato i propri analoghi di Facebook, Google e altre piattaforme online popolari, che hanno tutti un discreto successo in Russia.[]
  32. Gli analisti hanno stimato che la Russia, a parità di potere d’acquisto, spende tra i 150 e i 180 miliardi di dollari all’anno per la difesa, molto di più di quanto suggerisce il tasso di cambio di mercato di 58 miliardi di dollari. La metà del budget annuale per la difesa della Russia viene speso per procurarsi nuove armi, modernizzare quelle vecchie e ricercare tecnologia militare, che è una quota molto maggiore di quella spesa in queste aree dalla maggior parte delle forze armate occidentali. Quelle, inoltre, sono stime conservative, poiché alcune spese russe rimangono nascoste, oscurate o segretate. Utilizzando questi generosi budget, il complesso militare-industriale russo ha sviluppato molte armi di nuova generazione, dai missili ipersonici alle armi a energia diretta (come i laser), sistemi di guerra elettronica, sottomarini avanzati e difese aeree integrate, insieme ad armi antisatelliti di vario tipo. Inoltre, la Russia rimane un player importante a livello globale nell’industria delle armi, un settore che vale oltre 1.900 miliardi di dollari, con Stati Uniti ed Europa che contribuiscono per quasi il 70% del giro d’affari totale. Solo in Europa, nel comparto lavorano 862 mila addetti. Le imprese americane controllano il 36% del mercato globale di armi, dietro ci sono quelle della Russia (21%), Francia (7,9%), Germania (6,4%), Cina (5,2%), Gran Bretagna (4,2%) e Italia (2,3%). I dati diffusi dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), l’istituto svedese che segue in modo costante il fenomeno, dimostrano che il commercio di armamenti nel periodo 2014-2019 ha raggiunto picchi mai visti. Una corsa che ricorda quella vista ai tempi della Guerra Fredda tra NATO e Patto di Varsavia.[]
  33. Tenuti a distanza dalle sanzioni post 2014 sui mercati finanziari globali, i russi hanno ridotto la dipendenza da dollaro e investimenti stranieri. Hanno liquidato la propria parte dei Treasury Bonds americani, ridotto l’esposizione all’estero di banche e imprese. Hanno convertito in oro e altre valute le riserve della Banca centrale, incoraggiando l’uso dell’euro e dello yuan negli scambi commerciali.[]
  34. Come contro-sanzioni il governo russo ha imposto un divieto sulle importazioni alimentari dell’UE. La Russia importava dai Paesi UE il 13% del latte esportato, il 32% dei formaggi e il 24% del burro prodotti.[]
  35. E’ bene ricordare che, in polemica con gli alleati europei, Trump li ha invitati a spendere il 4% del PIL per la propria difesa militare ponendo fine ai loro comportamenti opportunistici (free-riding) e ha accusato la Germania di essere “prigioniera” della Russia a causa della sua dipendenza energetica, sottolineando le contraddizioni esistenti nel rapporto della Germania e degli europei con la Russia: “Loro vanno e fanno un accordo per il gas, petrolio e gas, con la Russia, per cui pagano miliardi e miliardi di dollari alla Russia; vogliono proteggersi contro la Russia eppure pagano miliardi di dollari alla Russia, e noi siamo i ‘fessi’ (“schmucks”) che pagano per l’intera faccenda.” Ma, Trump è sembrato voler dimenticare che la NATO era stata originariamente creata “per tenere lontana l’Unione Sovietica, dentro gli americani e in basso i tedeschi” (secondo la famosa frase attribuita a Lord Ismay, il suo primo segretario generale), ossia in parte per impedire alla Germania di costruire una sua forza militare (due volte nel XX secolo Berlino ha lanciato guerre di conquista in Europa).[]
  36. Quando un politico di tendenza occidentale, Mikheil Saakashvili, è salito al potere in Georgia sulla scia di un colpo di Stato popolare nel 2004, la sua prima mossa è stata cercare di tenere a freno tre Stati separatisti filo-russi: Adjara, Ossezia del Sud e Abkhazia come parte di un più ampio tentativo di adesione alla NATO. Sostenuto dal successo di Adjara che ha rinunciato alle sue aspirazioni separatiste senza che venisse sparato un proiettile, e ispirato da quelle che pensava fossero promesse di sostegno degli Stati Uniti e della NATO, Saakashvili iniziò a prepararsi a riportare l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale, questa volta militarmente. Per quattro anni, la Russia si è preparata e ha anticipato il suo attacco. L’escalation politica e militare, è culminata nella guerra Russia-Georgia del 2008, quando le truppe russe hanno invaso la Georgia, l’hanno cacciata dall’Ossezia e dall’Abkhazia e hanno riconosciuto ufficialmente i due Stati separatisti come indipendenti.[]
  37. Ad esempio, Emmanuel Macron ha invitato Putin a Versailles insieme ad una mostra su Pietro il Grande nel maggio 2017. Di fronte all’isolazionismo di Trump, Macron, in un importante discorso nel 2019, ha chiesto la fine dei “conflitti congelati” con la Russia. Nel giugno dello scorso anno, insieme ad Angela Merkel, ha lasciato stupiti altri leader dell’UE offrendo a Putin un vertice. Martedì a Berlino, dopo un incontro con Scholz, Macron ha detto che ha ancora in programma di parlare con Putin questa settimana, ma solo per per “chiarire” la posizione russa e provare a ridurre l’escalation. Ha detto che Francia e Germania non abbandoneranno mai il dialogo con la Russia, ma ha aggiunto: “Se ci sarà un’aggressione, ci saranno ritorsioni e il costo sarà molto alto“.[]
  38. E’ stato Trump a decidere di ritirare gli USA dall’Intermediate-Range Nuclear Forces (INF) Treaty, il trattato della pace nucleare firmato l’8 dicembre 1987 a Washington da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv (e ratificato dal Senato americano nel 1988), che è stata una delle pietre miliari del disgelo che portò alla fine della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. L’INF era un caposaldo del disarmo nucleare (soprattutto in Europa), ma Trump ha deciso di rottamarlo per spianare la strada ad un riarmo degli Stati Uniti. Questo accordo obbligava i due Stati a distruggere tutti i loro missili balistici e da crociera lanciati da terra con un range compreso tra 500 e 5.500 km. Pertanto, a seguito dell’accordo ci fu la distruzione di 2.692 missili nucleari, 846 Pershing II e Cruise americani e 1.846 SS-20 russi. Oggi, gli USA dispongono di 1.797 testate nucleari che, sommate a quelle degli alleati francesi e inglesi, diventano 2.207. Quasi un terzo in meno di quelle russe (3.587). Inoltre, una buona parte delle bombe americane sono obsolete, stoccate per lo più in depositi europei dalla fine della Guerra Fredda. In Italia, nelle basi di Ghedi e Aviano, ce ne sono 70. Gli Stati Uniti accusano da anni Mosca di violare gli impegni presi nel 1987 e lo strappo di Trump rischia di riaprire la corsa agli armamenti e di innescare una nuova Guerra Fredda con Russia e Cina che metterebbe in pericolo la sicurezza di tutti i Paesi. Il primo a denunciare ufficialmente la Russia per continue violazioni dell’accordo fu, nel 2014, Barack Obama che accusò Putin di dispiegare armi nucleari tattiche proibite per intimidire i Paesi dell’ex blocco sovietico poi entrati o avvicinatisi alla NATO. A loro volta i russi hanno accusato gli Stati Uniti di aver dislocato i lanciatori dello scudo antimissile in Romania, identici a quelli usati per i missili proibiti dall’INF. Obama, nonostante i rapporti non facili con Putin, scelse di non lasciare l’INF per non provocare un’escalation. Con gli USA fuori dal trattato INF, una delle prossime mosse del Pentagono potrebbe, infatti, essere quella di dispiegare missili con testate nucleari nel Pacifico asiatico, per contrastare la crescente influenza della Cina. In attesa di mettere a punto nuove testate nucleari (il Pentagono sta pianificando di spendere 1,2 trilioni di dollari per una nuova generazione di armi nucleari nei prossimi tre decenni), gli USA sono pronti a modificare i vecchi missili Tomahawk e a piazzarli in Giappone e nella base USA di Guam. Il passo successivo sarebbe quello di tornare a rafforzare il sistema degli euromissili in Europa (ad esempio, localizzandoli in Polonia e nei Paesi baltici). Questo mentre Cina, Corea del Sud, Corea del Nord, India, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Israele, non essendo contraenti dell’INF, hanno potuto dotarsi di arsenali missilistici. In particolare, la Cina ha sviluppato programmi di rafforzamento e ammodernamento del suo arsenale missilistico nel Pacifico (con i missili balistici DF-21 e DF-41, quest’ultimo in grado di colpire gli Usa in pochi minuti). In Russia, invece, sarebbe pronto ad essere dispiegato il sistema missilistico Novator 9M729, che secondo Washington ha una portata di 2.600 km, mentre i russi sostengono che sia inferiore ai 500 km. I trattati sul disarmo sono una delle questioni di controversia tra Stati Uniti e Russia. Il sofisticato sistema ha bisogno di essere rinnovato. L’accordo più recente e di ampia portata, il nuovo trattato New START, firmato da Barack Obama e da Dmitri Medvedev nel 2010, che ha limitato il numero di testate strategiche dispiegate su entrambi i lati a 1.550 e a 700 quelle imbarcate su bombardieri e missili, scadeva il 5 febbraio 2021. Mentre il trattato ABM sulla restrizione dei sistemi di difesa missilistica è stato chiuso dagli Stati Uniti nel 2002. Con il crollo del trattato INF, e con il trattato START sulle armi strategiche in scadenza, il mondo sembrava trovarsi senza limiti alla crescita degli arsenali nucleari degli Stati nucleari per la prima volta dal 1972. Trump è sembrato essere pronto a giocare con il fuoco, sostenendo che “abbiamo una quantità enorme di denaro con cui giocare per le spese militari” e con cui perseguire quella che i russi definivano una politica di “frivolezza strategica” con il ritiro dall’INF e la messa in discussione il New START. Pochi giorni dopo la scadenza dell’INF, gli Stati Uniti hanno annunciato di voler dispiegare nuovi missili a medio raggio in Asia, in tempi rapidi, preferibilmente entro i pochi mesi, con l’obiettivo di contrastare l’ascesa della Cina nella regione. Tutto questo mentre i russi hanno testato con successo e adottato il sistema Avangard, un nuovo missile ipersonico intercontinentale capace di viaggiare a 27 volte la velocità del suono che viene dispiegato dal 2019. Le armi ipersoniche non sono difensive, ma offensive: possono colpire a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti e superare qualunque sistema attuale di difesa. Anche la Cina ha testato il suo missile ipersonico (Dong Feng 17 o DF-17), mentre quello USA dovrebbe essere disponibile nel 2022 per poi essere istallato su mezzi navali nell’area indo-pacifica. Si è di nuovo scatenata una corsa agli armamenti tra USA, Russia e Cina in grado di sconvolgere le basi della sicurezza globale. Pochi giorni prima della scadenza (5 febbraio 2021) Vladimir Putin ha firmato una legge che ha esteso per 5 anni il New START, l’ultimo trattato sul controllo delle armi nucleari tra Russia e Stati Uniti. Putin e il neo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avevano discusso l’accordo sul nucleare il giorno prima, e il Cremlino aveva affermato di aver accettato di completare le necessarie procedure di proroga nei giorni successivi. L’estensione del patto non ha richiesto l’approvazione del Congresso USA.[]
  39. In ogni caso, gli Stati Uniti sotto Bill Clinton sono stati riluttanti a far entrare i quattro paesi di Visegrád – Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia – nella NATO e al vertice dell’organizzazione nel gennaio 1994 hanno espresso chiaramente la loro convinzione sui rischi, affermando che l’Alleanza Atlantica non poteva “permettersi di tracciare una nuova linea tra est e ovest che creerebbe una profezia che si autoavvera di un confronto futuro“.[]
  40. In particolare, gli aiuti economici dell’UE e degli Stati membri hanno mantenuto solvente l’Ucraina, fornendo circa 20 miliardi di dollari dal 2014, mentre gli USA solo circa 2 miliardi di dollari.[]

Alessandro Scassellati

267172022 https://transform-italia.it

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