Salari al collasso
Nei prossimi anni valuteremo gli effetti del reddito di cittadinanza sulle dinamiche salariali, fin da ora, e senza paura di smentita, possiamo asserire che saranno sdoganati lavoretti a basso costo con tanto di flessibilità e di mobilità da una parte all’altra del paese. Ma c’è di piu’: i percettori di reddito saranno soggetti a un controllo sempre piu’ stretto, l’esperienza della Inghilterra thatacheriana sembra non essere stata fonte di insegnamento. In un colpo solo avranno affermato la supremazia del reddito sul lavoro e introdotto meccanismi deleteri che alimenteranno rassegnazione, ricattabilità, miseria e paura.
Come nel caso dell’interinale, 20 anni fa con il Pacchetto Treu, gli effetti si registreranno con alcuni anni di ritardo . Se In Italia la memoria non fosse labile , se a manipolarla, o a cancellarla, non pensassero media, giornali e sindacati complici, ricorderemmo bene gli effetti della svolta dell’Eur, le politiche dei sacrifici che hanno impedito ogni aggancio reale di salari e pensioni dal reale costo della vita.
La discesa agli inferi del potere di acquisto è durata 40 anni, anni di sconfitte che hanno modificato anche il modo di pensare dei lavoratori e delle lavoratrici, dal vogliamo Tutto degli anni sessanta siamo passati all’assenza di rivendicazioni, alla supina accettazione del punto di vista padronale che poi è funzionale alla salvaguardia degli interessi di pochi a discapito di tanti.
I salari sono in calo da anni, o meglio è in perdita il nostro potere di acquisto perchè ad ogni rinnovo contrattuale arrivano aumenti irrisori se confrontati con il costo della vita in aumento (benzina, affitti, viaggi, mezzi pubblici, macchina indispensabile spesso per raggiungere i posti di lavoro, spese per sanità e istruzione) . E’ fuorviante la presentazione degli aumenti derivanti dal rinnovo di un contratto, sfugge che sono distribuiti in un triennio e spesso tramutati in welfare aziendale, in servizi pagati dagli stessi lavoratori rinunciando ai contanti.
La scommessa per i padroni da tempo è quella di svuotare il primo livello di contrattazione per favorire quello di secondo livello, non prima di avere inserito deroghe al contratto nazionale che nei fatti annullano molti degli effetti benefici del ccnl. Basta avere pazienza e consultare i siti che contano nella formazione del pensiero dominante padronale per trovare conferma di quanto abbiamo appena detto
Solo il 23% dei lavoratori dipendenti beneficia di regimi di pagamento variabili in base alla produttività e solo il 13,4% delle aziende riconosce bonus ai dipendenti e ai collaboratori legati al raggiungimento degli obiettivi di produttività, efficienza e qualità. E’ quanto emerge dalla relazione della Commissione UE sul mercato del lavoro e sugli sviluppi salariali nel 2018, che sottolinea l’importanza della produttività per sostenere la crescita dei salari.
La Commissione europea ha monitorato il mercato del lavoro dei 28 Paesi con particolare riguardo ai potenziali sviluppi salariali.
Dal rapporto “Mercato del lavoro e sviluppi salariali in Europa 2018″, si evince che sia nel 2016 che nel 2017, la ripresa del mercato del lavoro è proseguita ad un ritmo sostenuto, raggiungendo un tasso di disoccupazione inferiore ai periodi di crisi. (www.ipsoa.it)
Si fanno allora strada quei sistemi di retribuzione supplementari che variano da azienda ad azienda e necessitano di riduzione delle tasse per i padroni(sgravi contributivi), flessibilità salariale e della manodopera, ridotta agibilità sindacale e sopprimere , o almeno provarci, sul nascere gli elementi conflittuali (ci ha pensato il Pacchetto sicurezza)
Quanto allora auspicato negli anni dai padroni si va verificando puntualmente, la bomba deflagata ha prodotto i suoi effetti:la desertificazione del conflitto di classe nonostante sacche di resistenza sempre piu’ combattive negli appalti dei servizi, nella logistica, in alcune aree del paese dove la contraddizione ambientale ha prodotto enormi contraddizioni.
Che la dinamica salariale sia all’insegna della recessione se ne stanno accorgendo in molti, tra le analisi recenti ne menzioniamo solo una, quella della fondazione Di Vittorio (https://www.fondazionedivittorio.it/sites/default/files/content-attachment/Confronto_retribuzioni_FDV_2019.pdf) che attesta come in 17 anni il reddito medio italiano sia rimasto inchiodato a 29 mila euro crescendo di meno di 300 euro rispetto alle migliaia di euro dei salari tedeschi, francesi, olandesi. Meglio di noi ha fatto la Spagna che nello stesso lasso di tempo ha visto crescere i salari di circa 1500 euro.
Questi i dati di facile lettura, poi ci sarebbe da analizzare l’incidenza di alcune professioni rispetto ad altre (ma anche in questo caso le dinamiche salariali dei settori in crescita sono decisamente piu’ basse della media europea).
L’Italia continua ad essere il paese dei lavoretti, dei troppi part time, delle gabbie salariali (un modello per Lega e Mov 5 Stelle) che differenziano le retribuzioni e le condizioni di vita da Regione a Regione, 4,3 milioni di lavoratori hanno una retribuzione media inferiore a 10 mila euro annui lordi, 12 milioni sono quelli sotto 30 mila euro, molti pensionati vivono in condizioni di indigenza, le famiglie monoreddito sono sulla soglia della povertà. La dinamica retributiva di gran parte della forza lavoro italiana è quindi decisamente al ribasso se confrontata con la media europea e fotografa un paese che alimenta il suo divario dai paesi piu’ forti del vecchio continente, effetto anche della politiche della Bce e dell’euro a trazione tedesca.
E a rimetterci non sono solo le classi sociali meno abbienti, se confrontiamo lo stipendio di un quadro o di un insegnante si capisce la perdita del potere di acquisto e allo stesso tempo la delegittimazione e depauperizzazione di tante professioni.
Federico Giusti
11/3/2019 www.controlacrisi.org
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