SALARIO MINIMO: GLI EFFETTI CHE NON TI ASPETTI

Il tema del salario minimo è ormai divenuto un caleidoscopio intorno al quale può succedere di tutto. Si spazia, così, dalle vere e proprie <castronerie> di Antonio Tajani, l’ineffabile Ministro degli Esteri, secondo il quale il salario minimo legale “rappresenta un fattore negativo per i lavoratori poveri”, agli interessanti contributi di una serie di docenti universitari che, attraverso le pagine di una nota rivista on-line “Lavoro, Diritti, Europa”, hanno inteso partecipare al confronto in atto.

Tra i più recenti contributi(1), considero particolarmente interessante quello offerto da Andrea Fazio e Tommaso Reggiani(2), che hanno affrontato il tema in maniera assolutamente insolita; almeno per noi italiani.Lo hanno fatto riportando, ad esempio, che David Neumark(3) ha mostrato come l’introduzione del salario minimo ha effetti ambigui sulla salute dei lavoratori coinvolti. Infatti, alcuni studi dimostrano che aumenta la salute mentale dei lavoratori, mentre altri indicano che la sua introduzione può “esacerbare cattive abitudini, come il fumo o bere alcolici”.

Ancora poco si conosce, invece, su come la misura del SmL possa influenzare e determinare le opzioni sociali e politiche di coloro che ne sono titolari.Un tentativo, in questo senso, utilizzando i dati di un’indagine per la ricerca sociale ed economica, è stato svolto nel Regno Unito e sembrerebbe che chi riceve il salario minimo si dichiari più tollerante verso la disuguaglianza e – contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, da parte di un lavoratore “povero” – tenderebbe a cambiare le sue intenzioni di voto.

Infatti, confrontando le opinioni e le intenzioni di voto dei lavoratori, prima e dopo l’introduzione del salario minimo, è stato rilevato che i lavoratori non solo diventano più tolleranti nei confronti della diseguaglianza, ma, addirittura, si dichiarano più propensi a votare per i conservatori. In termini percentuali, dopo l’introduzione del salario minimo, risultava aumentare del’11 per cento la tolleranza nei confronti di coloro che percepivano salari superiori e di circa il 10 per cento la disponibilità a votare per i conservatori. Dal che si deduceva che nonostante il salario minimo rappresentasse il primo passo per ridurre il livello di disuguaglianza, i lavoratori che ne beneficiavano – nonostante continuassero ad essere sul fondo della distribuzione dei salari ed essere potenziali beneficiari di ulteriori politiche redistributive – guardavano con maggiore tolleranza alla migliore condizione economica dei lavoratori che guadagnavano più di loro.

Perché avveniva tutto ciò? Ed inoltre, ci si chiedeva: “Perché cambiare intenzioni di voto”?Rispetto al primo punto, in considerazione del fatto che, in effetti, l’introduzione del salario minimo nel Regno Unito aveva prodotto – in termini di ridistribuzione dei redditi – risultati poco significativi, una possibile chiave di lettura risiedeva – secondo i ricercatori – in un meccanismo di carattere psicologico.In questo senso, le persone sono, di solito, poco propense al rischio di perdere soldi e tendono ad <ancorarsi> ad un livello che giudicano “equo” per loro.

Conseguenzialmente, avere certezza del proprio livello di salario e sapere anche a quanto ammonterà l’anno successivo (perché il livello e gli aumenti hanno natura ed autorevolezza istituzionale), senza alcun timore che possa diminuire, rende più tolleranti alle disuguaglianze.Ciò ha, come conseguenze naturali, la diminuzione del loro personale indice di vulnerabilità e quella percezione negativa del “mercato” che hanno, di norma, coloro che percepiscono redditi considerati bassi.Le nuove (e diverse) intenzioni di voto, nei confronti dei partiti conservatori, rappresentano un altro passaggio che i ricercatori considerano quasi automatico.

Tra l’altro, come riportano i due autori dell’articolo in commento, è interessante rilevare che la ricerca scientifica ha (ampiamente) dimostrato che – in genere – le persone sono portate ad operare una netta distinzione tra disuguaglianze che considerano <giuste> ed altre <ingiuste>. In questo senso, le persone tenderebbero a sostenere una maggiore e migliore redistribuzione dei redditi quando i motivi della disuguaglianza fossero da considerare imputabili alla sorte ed alla occasionalità.

Viceversa, sarebbero più disponibili a tollerarla e condividerla qualora essa riflettesse una differenza di “merito”.In definitiva, secondo i ricercatori dell’indagine svolta nel Regno Unito, “Fornire un chiaro riferimento salariale, considerato <giusto>, può attenuare le preoccupazioni legate alle possibili disuguaglianza generate dal libero mercato”.

Personalmente, credo invece, alla necessità di non abbandonare mai l’idea della giusta e nobile lotta per continuare (sempre) a pretendere il superamento delle macroscopiche disuguaglianze di reddito consentite, oltre che dall’imperversare della perversa logica del libero mercato, dalla sopraffazione delle classi dirigenti – politiche e datoriali – a danno dei lavoratori.

NOTE

1- Fonte: “Con il salario minimo più tolleranza verso le disuguaglianze”; pubblicato su <lavoce.info> del 26 settembre

2- 2023 Ricercatore in Economia comportamentale presso la Cardiff University. Le sue ricerche nell’ambito dell’Economia comportamentale si concentrano sull’analisi dei comportamenti pro-sociali

3- Professore di Economia presso l’Università della California.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del lavoro

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

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