SALARIO MINIMO LEGALE: NO GRAZIE

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Quando, nel lontano 1994 e negli anni immediatamente successivi, si realizzò la famigerata “discesa in campo” di colui che, in più di una circostanza, si sarebbe poi, autodefinito “uomo della provvidenza” (evidentemente, per le sorti di quella che era, all’epoca, la fallimentare situazione di Mediaset) e/o “unto del Signore” (probabilmente, per la grande capacità mostrata nel saper “aggiustare [i]” i conti della stessa per l’acquisto dei c.d. “diritti tv”), fui tra quelli che considerarono la prima compagine governativa berlusconiana alla stregua di una maldestra assemblea condominiale.

In effetti, il Berlusconi I – che, per la prima volta, nella storia dell’Italia repubblicana, includeva la presenza di esponenti dell’ex Movimento Sociale Italiano – si contraddistinse per una serie di arroganti iniziative politiche che ne denunciarono subito limiti ed inesperienze.

A partire dalla frettolosa approvazione del decreto “Biondi” – dal nome del Ministro della Giustizia in carica – che fu, immediatamente, etichettato quale “decreto salva ladri” perché, si sosteneva, aprisse le porte del carcere a molti tra gli imputati della c.d. “Tangentopoli[ii]”.

A metà ottobre, per protestare contro la Legge Finanziaria, che prevedeva consistenti “tagli” alle pensioni, si svolse il più grande sciopero generale (con manifestazioni territoriali, nelle maggiori città) degli ultimi venti anni e il Premier, da Mosca, irrise ai milioni di manifestanti affermando che, evidentemente, se davvero in piazza erano presenti in tre milioni, significava che gli altri venti milioni di lavoratori italiani non avevano inteso aderire allo sciopero!

Il mese successivo, Cgil, Cisl e Uil portarono in piazza, nell’allora più grande manifestazione sindacale della storia d’Italia[iii], oltre un milione di persone che protestavano contro la manovra finanziaria.

A dicembre la compagine governativa subì un altro, poderoso, colpo d’immagine, in conseguenza delle dimissioni di Di Pietro dalla Magistratura.  Il più rappresentativo, tra i giudici di “Mani pulite” indicò, tra le motivazioni, la vera e propria “campagna di delegittimazione”, avviata – attraverso denunce ed ispezioni ministeriali – nei suoi confronti e in quelli dei suoi colleghi del pool di Milano.

Il successivo inciampo fu l’uscita dal governo della Lega Nord e la “mozione di sfiducia” che Bossi presentò due giorni dopo.

Il 22 dicembre, si compì l’atto finale del Berlusconi I; le sue dimissioni all’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.

Un governo, quindi, che, nato sulla scia e in conseguenza dell’opera – per alcuni versi, devastante – del pool della Procura di Milano, si era, da subito, posto in cattiva luce proponendo il suddetto decreto   e, successivamente, mosso in modo maldestro (e precipitoso) – suscitandone le proteste unitarie – nei confronti delle OO.SS. Confederali.

Si trattò, in definitiva, di una breve esperienza governativa da parte di una compagine che, fatte salve la presenza di Clemente Mastella al Ministero del Lavoro – un “navigato” ex democristiano, sulla poltrona che aveva, comunque, ospitato personalità[iv] di ben altro spessore morale e politico –  e di qualche personaggio più o meno noto[v], aveva presentato una serie di “dilettanti allo sbaraglio”; a partire da quello che, negli anni successivi, si sarebbe dimostrato anche un “barzellettiere” dalle indubbie capacità oratorie!

Tutt’altra musica intonò, invece, il secondo governo guidato da Berlusconi. I dilettanti del ’94 avevano lasciato il posto ad alcune “vecchie volpi” ex Dc[vi] e, al Lavoro, a Maroni, un leghista della “prima ora” che, opportunamente, aveva ritenuto opportuno avvalersi di “tecnici[vii]” di riconosciuto valore; più che da politici dal lungo “pedigree”.

Ebbe così inizio una stagione nel corso della quale – pur senza tralasciare le invettive nei confronti degli oppositori e la (quasi) costante ricerca dello scontro verbale – le precedenti “teste di legno” furono sostituite da valenti tecnici che cominciarono a svolgere una sottile e discreta opera di sostegno alla volontà politica di “deregolamentare e normalizzare” il paese.

Si ricorse, in sostanza all’ indispensabile supporto, di natura teorico/pratica, per elaborare iniziative e proposte di legge tese a “depotenziare”, le norme di tutela dei lavoratori, prim’ancora di annunciarne, spavaldamente – come durante la prima esperienza governativa – l’intenzione di procedere alla loro abrogazione.

Infatti, ad esempio, la sfida lanciata, negli anni precedenti, in campo aperto e quasi “senza esclusione di colpi”, nei confronti delle OO.SS. fu sostituita da un’abile e avvolgente opera di persuasione, nei confronti di Cisl e Uil, al fine di isolare la Cgil.

La nuova strategia berlusconiana, fu efficacemente collaudata nel corso del durissimo scontro – che contrappose Cisl e Uil da un lato e Cgil dall’altro – successivo alle pesanti accuse che la Confederazione diretta da Cofferati aveva rivolto al c.d. “Libro bianco”, presentato dal governo nell’ottobre del 2001.

L’altro, inequivocabile, atto del tentativo di legittimazione operato da Pezzotta e Angeletti, per offrirsi al governo quali interlocutori privilegiati, fu rappresentato dalle “firme separate[viii]” di un accordo – che sarebbe passato alla storia della rottura sindacale – su lavoro, fisco e Mezzogiorno, proposto dal governo, nel luglio del 2002.

Stessa sorte, toccò all’accordo sulla riforma dei rapporti di lavoro a tempo determinato e al rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici.

In rapida successione, la sostanziale condivisione (da parte di Cisl e Uil) e la netta opposizione della Cgil a quella che – per fini esclusivamente politici e strumentali – sarà, in seguito, dai suoi sostenitori, sempre richiamata quale “Legge Biagi”,[ix]  segnò quasi, nel febbraio del 2003, il “punto di non ritorno” della rottura dell’unità d’azione, tra le tre maggiori Confederazioni sindacali.

Fu quindi attraverso le scelte operate dal Berlusconi II che, nel nostro paese – grazie anche alla pesante e determinante corresponsabilità di Cisl e Uil – furono avviate politiche, in materia di lavoro, tese ad avviare un processo di drastico ridimensionamento delle conquiste sindacali e di riduzione delle tutele e delle garanzie a favore dei lavoratori; tanto di natura contrattuale, quanto legislativa!

Naturalmente, le conseguenze della scelta “separatista” dalla Cgil, da parte delle altre due maggiori Confederazioni sindacali, non tardarono a manifestarsi.

Il risultato è ciò che, oggi, appare in tutta la sua desolante realtà: al sostanziale ridimensionamento della Cgil – negli opifici, così come nella società civile – corrisponde l’assoluta irrilevanza di Cisl e Uil.

La cosa più preoccupante, però, è la vera e propria deriva cui pare, inesorabilmente, avviata la legislazione del lavoro nel nostro paese.

In definitiva, al pesantissimo attacco portato allo status di lavoratore subordinato, operato dal decreto legislativo 276/03,[x] seguirono, a cura dei successivi governi, provvedimenti che hanno finito, a mio parere, con il riportato indietro nel tempo i lavoratori italiani di almeno50 anni.

Basti pensare alle nefaste conseguenze prodotte, grazie al governo Monti, dalle leggi proposte da colei che – di là della negatività dei provvedimenti tesi unicamente a salvaguardare gl’interessi e la deresponsabilizzazione delle imprese subappaltatrici, a tutto danno dei lavoratori coinvolti – finirà per essere ricordata come “la nemica dei pensionati”, la carnefice di oltre 300 mila “esodati[xi]” e “la ministra pentita che versava lacrime di coccodrillo” in diretta Tv!

O, anche, alle conseguenze dei provvedimenti adottati, in materia di lavoro, dal governo di quel “bonaccione toscano” che è stato, peraltro, il primo, tra i segretari del Pd, a conseguire l’obiettivo – comune a un’intera classe dirigente, con trascorsi da ex Pci, ex Pds, ex Ds – di assumere le agognate vesti della “Dc del terzo millennio”! Poco male, dal loro punto di vista, aver letteralmente tradito le speranze e le aspettative di milioni di “attivisti, semplici iscritti e simpatizzanti, nei cui pensieri sorgeva ancora “Il sol dell’avvenire”. È a loro che è sempre andata la simpatia e la comprensione di un “osservatore esterno”, quale io mi definisco.

In questa veste, a valle della pubblicazione del decreto Di Maio – il c.d. “Decreto dignità”, dello scorso anno – e limitatamente alla norma che prevedeva la riduzione, da 36 a 24 mesi, della durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato, ritenni giusto condividerne il merito e, per onestà intellettuale – a prescindere, quindi, dall’appartenenza politica – riconoscere che essa rappresentava, oggettivamente, una contro-tendenza, rispetto alla natura delle controriforme operate, in tema di lavoro, negli ultimi venti anni.

Le successive iniziative del duo Di Maio/Salvini, hanno, però, rafforzato i motivi di profondo disaccordo politico rispetto a provvedimenti che condivido poco o, addirittura, reputo profondamente errati: alludo all’istituzione del c.d. “Reddito di cittadinanza” e alla definizione, per tutti i tipi di contribuenti, di una Ftat-tax; a una o due aliquote. Senza dimenticare la possibilità che, anche quest’Esecutivo, assuma, quanto prima, la decisione di valutare l’opportunità d’istituire, anche nel nostro paese, un salario minimo legale (SmL). È proprio a quest’ultimo tema che, a supporto della mia contrarietà, intendo riservare alcune considerazioni di merito. .

Il punto di partenza, naturalmente, è precisare che, quando si parla di salario minimo legale, ci si riferisce a una paga-oraria base, stabilita dalla legge, che rappresenta la retribuzione minima da corrispondere a qualsiasi lavoratore. Scendere al di sotto della stessa, significa violare la legge.

È anche opportuno rilevare che, già in altra occasione,[xii] ritenni opportuno alimentare la discussione in atto sul SmL attraverso una serie di rilievi e valutazioni personali che, naturalmente, non ripeterò in questa sede, se non per sommi capi.

Al riguardo, un elemento importante è che – a differenza dello scorso anno, in cui, della istituzione, anche nel nostro paese, di un salario minimo con forza di legge, si discusse solo nel corso della campagna elettorale – oggi, sull’argomento, risultano già presentati, al Senato, due[xiii] disegni di legge. Nella Commissione Lavoro di Palazzo Madama è stato anche avviato l’iter per una serie di audizioni, allo scopo di approfondire l’esame delle proposte.

Un punto interessante, ma, di certo, non determinante, è rappresentato dal fatto che il SmL è già presente nella maggioranza dell’Ue. In effetti, manca in Austria, Finlandia, Danimarca, Svezia e Cipro; siamo, quindi, in buona compagnia.

In effetti, da questa situazione già si evince che la presenza di un salario minimo stabilito dalla legge caratterizza, in genere, quei paesi nei quali non esiste una sufficiente “copertura” da parte dei contratti collettivi nazionali.

La Germania, che ha adottato il SmL dal gennaio 2015, rappresenta un caso particolare; da approfondire successivamente.

RETRIBUZIONI MINIME: CONFRONTO GENNAIO 2008 E GENNAIO 2018[i]

(EURO MENSILI)

 

grafico 1

Dal grafico si evince che il SmL, dopo essere stato aumentato[i], in 18 dei 22 paesi dell’Ue in cui è in vigore, va dal minimo della Bulgaria (pari a 260€) al massimo del Lussemburgo, dove raggiunge i 1.998,6 € mensili.

Il record di crescita (nel 2017) spetta alla Romania, con un + 50,4 per cento.

In Lussemburgo, che resta, comunque, il paese con il SmL più alto in assoluto, nello stesso periodo, è diminuito del 2,1 per cento.

Il SmL, quindi, nasce e si afferma allo scopo di istituire una paga base di riferimento minimo, valevole per tutti i lavoratori, allo scopo – principale – di evitare forme di sfruttamento, attraverso la corresponsione di salari inferiori.

Nel nostro paese, però, i contratti collettivi di lavoro non mancano; anzi, sono troppi, perché se ne contano oltre 800! Non a caso, le ultime rilevazioni nazionali indicano nell’84 per cento la quota di lavoratori dipendenti coperti dalla contrattazione collettiva. Il dato negativo, piuttosto, è rappresentato dal fatto che, secondo il Cnel, i due terzi dei suddetti contratti sono “pirata”, cioè stipulati – di norma, a livello territoriale, settoriale e di azienda – da organizzazioni sindacali diverse da Cgil, Cisl e Uil e con livelli retributivi inferiori al dovuto.

Ma quali sono le motivazioni a sostegno dell’introduzione in Italia del SmL?

Tito Boeri, già Presidente dell’Inps ed eminente studioso, ad esempio, ha sempre teorizzato che esso contribuirebbe a proteggere le categorie di lavoratori a “rischio emarginazione”, che avrebbero, come unica alternativa, solo il sommerso; con lavoro “nero”, “grigio” e in mille altre tonalità!

In sostanza, si dice, stabilire un salario minimo faciliterebbe la fuoriuscita dal sommerso di tante aziende che oggi, non potendo corrispondere ai propri dipendenti, le retribuzioni previste dai minimi contrattuali dei Ccnl, ricorrono al “nero”, corrispondendo salari notevolmente più bassi.

Quindi, se la logica non è un opzional, se ne dovrebbe dedurre che, per svolgere questo tipo di benefica funzione, il SmL dovrebbe essere fissato a un livello “compatibile”.

Compatibile con cosa?

Come è facilmente intuibile, un SmL superiore ai minimi tabellari medi dei nostri Ccnl – attualmente pari a circa 7 € orari – non avrebbe senso.

Allo stesso modo, un suo valore più basso, produrrebbe, come riconoscono gli stessi fautori della riforma, una vera e propria corsa al ribasso delle attuali retribuzioni orarie[ii]. Per assurdo, si approverebbe una norma inderogabile che autorizzerebbe, però, i datori di lavoro a tagliare le retribuzioni ai propri dipendenti; con la garanzia di non essere perseguibili perché rispettosi di una legge dello Stato!

La soluzione è quella adottata, appunto, dai paesi che hanno già istituito il Sml.

Si tratta di fissare l’ammontare dell’eventuale salario minimo in termini percentuali rispetto a un altro, importantissimo, parametro: l’entità del c.d. “salario mediano”.

A questo riguardo, gli ultimi dati in mio possesso, rispetto a quanto previsto nell’Ue, risalgono, purtroppo, al lontano 2014. Ciò nulla toglie, però, al merito della questione.

I due valori devono essere in stretta e compatibile relazione.

Rilevo, quindi, che, in Europa – così come nel resto del mondo dov’è presente il SmL – la stragrande maggioranza dei salari minimi fissati dalla legge oscilla tra il 40 e il 50 per cento del valore assegnato al salario mediano. Poche eccezioni – Francia, Portogallo e Slovenia – arrivano a superare la soglia del 60 per cento.

Per analogia, considerato il salario mediano italiano corrispondente a circa 11,50 € l’ora, un SmL pari al suo 40 per cento corrisponderebbe a un valore di circa 5 €; al 50 per cento, corrisponderebbe a circa 6 € e, portato alla pari delle più alte percentuali presenti in Europa, supererebbe i 7 € l’ora; superiore ai nostri attuali minimi contrattuali!

A questo punto, credo, appaia sin troppo chiaro che le due proposte di legge, presentate, come già detto, dal M5S e dal Pd, rappresentano una solenne presa in giro. Due, indigeribili, bufale!

Quella del Pd, in misura ancora maggiore rispetto all’altra.

Infatti, mentre la senatrice Catalfo propone – bontà sua – un salario minimo orario pari a ben 9 € lordi, il Pd prevede che i suoi 9 € debbano, addirittura, rappresentare il netto da corrispondere ai fortunati lavoratori italiani.

In sostanza, entrambe le formazioni politiche hanno la spudoratezza di proporre un SmL, tra i più alti in Europa, nel paese in cui le retribuzioni dei lavoratori – a parte quelli dell’Est – sono tra le più basse dell’Unione!

Senza dimenticare che l’Italia già vanta il triste e affatto invidiabile primato di paese europeo nel quale è presente il massimo dell’evasione fiscale e contributiva. Le loro proposte la farebbero esplodere!

In sostanza, grazie al M5S e, in particolare, a Renzi e al suo Pd – attraverso la farneticante proposta del senatore Laus – si realizzerebbe, finalmente, il sogno di quel Lulù Massa[iii] che, nelle sue visioni, farneticava su quel paradiso che, oltre il muro, attenderebbe ancora la classe operaia!

RETRIBUZIONI MINIME IN % DEL VALORE MEDIANO DELLE RETRIBUZIONI LORDE                                   grafico 2

Tornando a quanto verificatori in Germania, è opportuno evidenziare che la stessa ritenne opportuno istituire un SmL, a partire dal 1° gennaio 2015, perché, secondo Oliver Cyran,[i] attraverso un’approfondita indagine sugli effetti delle riforme Hartz[ii], appariva chiaro che era stato realizzato un processo di profonda deregolamentazione del mercato del lavoro tedesco; con precarietà diffusa, bassi salari e una generazione di working poor (lavoratori poveri). Da qui, l’esigenza di attuare un salario minimo che – fissato nella misura di 8,5 € all’ora – risollevasse le sorti di oltre 5,5 milioni di lavoratori tedeschi.

In definitiva e per concludere, occorre evidenziare che, a parere di molti “addetti ai lavori”, di là dei numeri “sparati” dai 5 stelle e dal Pd, dall’ipotesi di arrivare, anche in Italia, alla determinazione di un salario minimo di natura legale, che, nei fatti, comprometterebbe – forse, definitivamente – la forza e la valenza della contrattazione collettiva nazionale, emerge una volontà politica tesa, in sostanza, ad assestare un altro, poderoso, colpo alle rappresentanze sindacali dei lavoratori e ai diritti degli stessi!

NOTE

[i] A maggio del 2013 Berlusconi fu condannato in via definitiva a quattro anni (di cui tre condonati dall’indulto) per frode fiscale nel processo Mediaset: scontò la pena con l’affidamento in prova ai servizi sociali per un anno in una casa di riposo per anziani (fonte: Il Sole 24 Ore Italia)

[ii] Nel luglio dello stesso anno, la Camera dei Deputati ne negò i presupposti di “necessità e urgenza”

[iii] La più grande e partecipata manifestazione sindacale nazionale, di tutti i tempi, con circa tre milioni di lavoratori in piazza, la produrrà, nel marzo del 2002, la Cgil guidata da Cofferati per dire no al superamento – minacciato da Berlusconi -dell’art. 18 dello Statuto

[iv] Alludo, naturalmente alle prestigiose figure di Giacomo Brodolini, e Gino Giugni; “padri nobili” dello Statuto dei Lavoratori

[v] Alfredo Biondi, Lamberto Dini e Giuseppe Tatarella

[vi] Alludo a Scajola e Pisanu, che si alternarono al Ministero degli Interni

[vii] In particolare, Maurizio Sacconi e Marco Biagi, che avrebbero poi coordinato il gruppo di lavoro (Carlo Dell’Aringa, Natale Forlani, Paolo Reboani e Paolo Sestito) autore, nell’ottobre del 2001, del famigerato “Libro bianco”

8 Il “Patto per l’Italia”, rappresentò un altro, grave, “strappo” – di quella che sarebbe presto diventata una lunga serie – tra Cisl e Uil, da una parte e Cgil dall’altra

9 Legge 14 febbraio 2003, nr. 30. (Marco Biagi, il valente giuslavorista che aveva partecipato all’elaborazione del c.d. “Libro bianco”, era stato brutalmente assassinato dalle Br, il 19 marzo del 2002)

10 Decreto applicativo della suddetta legge 14 febbraio 2003, nr. 30 nel quale, per la prima volta in assoluto, il Legislatore nazionale arrivava a sostenere che le norme erano finalizzate “ad aumentare la qualità e la stabilità del lavoro ……  anche attraverso contratti compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori” (!)

 11 Il termine esodati fu introdotto per indicare, sostanzialmente, due categorie di ex lavoratori, per i quali lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, finì per rappresentare un dramma. Si trattava di coloro i quali percepivano l’indennità di mobilità nell’intervallo di tempo previsto prima di maturare il requisito anagrafico per poter accedere al pensionamento e quei lavoratori che, invece, accettando la proposta delle loro aziende – interessate a ringiovanire la forza lavoro e risparmiare sul costo del lavoro per lavoratori “anziani” – avevano ricevuto un “incentivo economico” e si erano dimessi, in attesa di maturare il requisito anagrafico previsto dalla normativa ante-Fornero

12 “Perché sono contrario al Salario minimo legale” (“finestrasulterritorio”, “Micromegablog” e altri, 28 gennaio 2018)

13 La prima proposta è stata presentata dalla senatrice Catalfo (M5S), la seconda, dal senatore Laus (Pd)

14 (fonte: Eurostat)

15 (fonte: Statutory minimum wages 2018, dell’agenzia Ue Eurofound)

16 Si realizzerebbe una vera e propria “corsa” alla disdetta dei Ccnl, per retribuire i lavoratori con il nuovo minimo

17“La classe operaia va in paradiso”, film di Elio Petri, con il grande Gian Maria Volontè nella parte di Lulù, un operaio metalmeccanico milanese stakanovista

18 Autore dell’indagine “Del modello sociale tedesco fondato sulle riforme Hartz”

19 Imprenditore e dirigente della Wolksvagen, consigliere di Gerhard Schroder e ideatore delle riforme

Renato Fioretti

Esperto Diritti del lavoro

Collaboratore redazione del periodico cartaceo Lavoro e Salute

24/1/2019

 

 

 

 

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