Sali, tabacchi e cannabis? Antiproibizionisti contro il monopolio

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Se davvero lo spaccio di cannabis è la prima voce del Pil della ‘ndrangheta, il proibizionismo stile Giovanardi rischia di rasentare il favoreggiamento, il concorso esterno visto che a costruire le mafie sono i proprio i proibizionismi. Come su altre questioni, ad esempio la tortura, ogni tanto anche in questo paese sembrano aprirsi squarci di possibilità, embrioni di debat public, che rapidamente si richiudono. Un dibattito forse “drogato” da chi, dietro dichiarazioni di antiproibizionismo, punta a costituire un monopolio che manterrebbe lo stesso livello di repressione limitandosi solo a spostare una parte degli enormi flussi di denaro che ruotano attorno alla cannabis senza il coinvolgimento  delle aspirazioni all’autocoltivazione dei settori più avanzati del movimento cannabico.

E’ proprio quello che sta succedendo in queste ore con una sorta di pressing, da parte di alcuni procuratori, per mettere l’Italia al passo con i Paesi dove la regolamentazione di marijuana e cannabis si sta sperimentando. Da Napoli, il convegno ‘Prima (invece) di punire’, promosso dall’associazione «Not Dark Yet» si è proposto di riattivare il dibattito pubblico e la discussione sul tema della liberalizzazione della cannabis. Il giudice Nicola Quatrano ha evidenziato che in Parlamento, «giace la proposta sulla legalizzazione della cannabis come strumento di riduzione dell’area di illegalità e degli spazi per la criminalità organizzata». Occorre, insomma, riaccendere i riflettori «perché si rischia di perdere la guerra alle droghe». Serve un dibattito, dice Sergio D’Angelo, a capo del movimento Gesco, per «rimettere in gioco un movimento di contributi, idee, da parte di personalità, imprenditori, studiosi, ricercatori ma anche di gente comune».

In un messaggio inviato al convegno, Franco Roberti, a capo della Procura nazionale antimafia, ha ribadito la posizione dell’Ufficio di cui è a capo «espressa in più relazioni e, da ultimo, nel parere formulato sui disegni di legge all’esame del Parlamento». «Si inquadra in una più ampia strategia di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo, che, di fronte alla crescita esponenziale del consumo di droghe leggere (3 milioni di consumatori abituali soltanto in Italia) – ha spiegato – tende a invertire questo trend, rafforzando gli strumenti di indagine contro i trafficanti e contro il riciclaggio dei loro profitti illeciti e, nel contempo, a razionalizzare l’impiego delle forze di polizia consentendo loro di concentrarsi sul contrasto alle droghe ‘pesanti’ e a quelle sintetiche». «Come Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, – ha proseguito – stiamo operando per promuovere e coordinare una svolta nelle indagini contro i trafficanti di morte e i santuari finanziari, puntando soprattutto sulle indagini sul web e sul deep web». «Siamo favorevoli a una disciplina che attribuisca ai Monopoli di Stato, in via esclusiva – ha evidenziato – la coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati; siamo però radicalmente contrari alla previsione di autorizzare la coltivazione della cannabis ai privati, sia in forma individuale sia associata, perché ciò rappresenterebbe un varco per il reingresso nell’affare da parte della criminalità organizzata». L’esperienza spagnola, da questo punto di vista è interessante: è in corso un formidabile sbarco di capitali stranieri per controllare il futuro mercato cannabico spagnolo. Per la maggioranza di questi investitori, le associazioni cannabiche, i cannabis social club, sono un problema. Si profila uno scontro fra il movimento e gli imprenditori. Da un lato autocoltivazioni e cannabis social club, dall’altro un’industria aggressiva e con pochi scrupoli. Il rischio principale è la commercializzazione, come segnala spesso Forum Droghe e l’arcipelago antiproibizionista, che già si sta producendo. «La cannabis muove molto denaro e c’è molta gente che può provare a pervertire il processo di regolamentazione per affermare oligopoli – dichiara a Fuoriluogo, Martin Barriuso, consosciuto in Spagna come Mr. Cannabis social club – tuttavia, io sono molto ottimista. Nel movimento cannabico abbiam fatto un gran lavoro per cambiare la percezione sociale della cannabis, e credo che abbiamo raggiunto in larga parte i nostri obiettivi. Le nuove generazioni non capiscono nè accettano il proibizionismo e questo può ancora crescere nel futuro. I partiti politici lo sanno e alcuni hanno cambiato radicalmente la propria posizione. Nei distinti parlamenti regionali e nazionale si sta parlando molto di una nuova regolamentazione e son convinto che sia solo questione di tempo per arrivarci».

Checchino Antonini

6/5/2017 http://popoffquotidiano.it

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