Salute e sicurezza nel lavoro al tempo del Recovery Plan e della “riforma” del Codice Appalti
Alcune settimane fa un’operaia di 22 anni che lavorava in un’azienda tessile in Provincia di Prato è morta in un tragico infortunio mortale, straziata dagli ingranaggi di un macchinario, un orditoio, verosimilmente a causa di un impigliamento con parti in movimento della macchina. Un altro lavoratore è stato preso da parti in movimento di una fresatrice in un’azienda meccanica di Busto Arsizio . Ogni settimana si ripetono situazioni drammatiche di “incidenti” su lavoro con morti e feriti gravi. Questo anno e mezzo circa di pandemia da coronavirus ha indebolito l’attenzione sociale rispetto al fenomeno dei morti e feriti da incidenti sul lavoro.
Gli ultimi eventi tragici, in un momento di allentamento della “morsa” della pandemia hanno “risvegliato” l’attenzione dei media su questa tragedia cronicizzata e persistente.
Da dove deriva questa anomalia italiana che ci vede primi in questo triste primato degli incidenti sul lavoro tra i paesi europei industrializzati ?
Dalla direttiva quadro europea 391.89 molti passi avanti sono stati fatti sia per il miglioramento normativo per la crescita di un comparto professionale specialistico della consulenza tecnica che offre alle imprese anche di piccole dimensioni prestazioni di supporto per la valutazione e la gestione dei rischi . Nel contempo , sempre in ragione di normative tecniche europee ( vedi Direttiva macchine ) e dei sistemi di gestione sicurezza e relative certificazioni le aziende, anche piccole, hanno a disposizione macchine e sistemi di gestione che dovrebbero garantire una sicurezza anti infortunistica eccellente.
Nei fatti, dal punto di vista formale, il nostro sistema produttivo è allineato sia per le norme sia per le metodologie gestionali dei rischi agli altri stati membri dell’Unione Europea. Cerchiamo allora di capire perché abbiamo un fenomeno “infortunistico” grave sia per diffusione sia per gravità degli eventi.
Esaminiamo i “pilastri” che garantiscono che vi sia una continuativa e corretta valutazione e gestione dei rischi da parte delle imprese.
Il primo pilastro è rappresentato dalla presenza dello Stato che tramite propri servizi tecnici svolge funzioni di vigilanza tramite ispezioni nei luoghi e ambienti di lavoro. I tagli sulle risorse del SSN ( oltre 36 miliardi negli ultimi dieci anni) hanno pesato sugli organici dei tecnici e dei medici dei Servizi per la sicurezza e la salute nel lavoro delle Aziende ASL .Gli addetti ai Servizi di Prevenzione delle ASL sono passati da 5.060 operatori nel 2008 a 3.246 nel 2018 .Troppo spesso questi Servizi hanno organici sotto la massa critica minima per potere operare e le funzioni di vigilanza e di assistenza alle aziende sono ridotte ai minimi termini. E’ compito delle OO.SS aprire tavoli dal livello territoriale a quello regionale per fare il punto sulle assunzioni necessarie per fare funzionare questi Servizi. Per quanto attiene il livello dello stato centrale occorre una volta per tutte definire le competenze in materia di salute e sicurezza nel lavoro: sarebbe bene che gli ispettori del lavoro facessero vigilanza capillare sul lavoro irregolare e in nero. E’ nella filiera degli appalti e subappalti del settore costruzioni , ad esempio, che si realizzano le condizioni peggiori di lavoro irregolare, malpagato e insicuro. La riduzione dell’area del lavoro irregolare è il passaggio obbligato per rendere più sicuro il lavoro. In questo ambito si dovranno qualificare le politiche di promozione della sicurezza di Inail ove vi sia una verifica dell’uso rispetto ai fondi trasferiti alle imprese con l’obiettivo del miglioramento degli impianti ai fini della sicurezza. Purtroppo gli strumenti legislativi fondamentali per impedire la giungla dei subappalti al massimo ribasso contenuti nel Codice degli Appalti rischiano di essere mutilati se non eliminati . Il DL Semplificazioni prevede per l’appunto una deregulation per “snellire” le procedure burocratiche che ostacolerebbero la realizzazione delle infrastrutture previste dal Recovery Plan. In sintesi gli aspetti più critici del DL semplificazioni sono:
- ritorno dei subappalti senza soglia. L’attuale limite è del 40%, questo limite scompare sostituito dalla dicitura più generica “ il contratto non può essere ceduto” e “non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto d’appalto”. La soglia è abrogata anche per gli appalti di notevole contenuto tecnologico.
- L’apoteosi della vis demolitoria del DL Semplificazioni viene raggiunta con la reintroduzione del “massimo ribasso”. “L’aggiudicazione – recita la bozza del decreto – può avvenire sulla base del criterio del prezzo più basso”. Il massimo ribasso è stato una delle patologie più gravi della organizzazione del lavoro nel settore delle costruzioni. Il massimo ribasso avvantaggia quelle aziende che dispongono di risorse non trasparenti che consentono loro di fare dumping sociale e concorrenza sleale. La compressione dei costi, di norma, viene scaricata sui “risparmi” per quanto riguarda la sicurezza e le condizioni contrattuali dei lavoratori. Su queste tematiche è in corso un duro confronto tra governo e sindacati. Se dovesse passare la deregulation proposta dal governo si dovrà mettere in conto, purtroppo, un ulteriore incremento degli incidenti gravi e mortali.
Il secondo pilastro sono le imprese che in molti casi debbono aggiornare la propria cultura gestionale per quanto riguarda la sicurezza. Nella piccola impresa a conduzione famigliare con pochi dipendenti prevale la tendenza a considerare la gestione della sicurezza come un costo da pagare a qualche consulente perché “compili le carte del DVR ( Documento Valutazione dei Rischi ) e le tenga aggiornate” . Le carte rimangono a prendere polvere in un faldone in un armadio e la pratica reale della gestione del lavoro prescinde da quanto scritto o raccomandato nel DVR . L’organizzazione informale del lavoro come pratica per essere più efficienti e competitivi porta spesso i preposti e i responsabili a saltare procedure di sicurezza , a sveltire il lavoro bypassando spesso i protocolli gestionali per la sicurezza visti come un intralcio . In alcune Regioni del centro nord vi è stato un enorme lavoro da parte degli Organismi Paritetici con la produzione di materiali formativi, supporto alle aziende per la formazione alla sicurezza. Questo lavoro pure meritevole pare non avere inciso in profondità nella cultura gestionale per la sicurezza: bisognerebbe interrogarsi perché sia tanto forte la impermeabilità dei dirigenti e dei preposti rispetto ad una integrazione nella organizzazione del lavoro corrente delle pratiche e delle procedure per lavorare in sicurezza. La formazione di qualità del management rispetto alla gestione dei rischi in azienda, verosimilmente, è ancora un orizzonte ancora da conquistare. Sarebbe importante una ricerca sulla qualità delle conoscenze in materia di gestione dei rischi da parte dei capireparto e dei direttori di stabilimento.
L’inefficacia degli scarsi controlli da parte dei Servizi territoriali delle ASL deriva spesso dal fatto che gli ispettori si limitano alla verifica della documentazione formale di solito ineccepibile o con scarse anomalie mentre non hanno il tempo, i mezzi e le agibilità per analizzare sul campo le modalità operative e l’organizzazione di fatto del lavoro. Nonostante le risorse spese e l’adeguamento formale ad una legislazione che responsabilizza le imprese non vi è stato quel salto di paradigma che prevede l’integrazione delle procedure di sicurezza nella organizzazione di fatto del lavoro. Da una parte i faldoni burocratici e i consulenti che li redigono dall’altra il management aziendale che organizza il lavoro prescindendo dalle prescrizioni contenute magari nel DVR. Questi sono i limiti del pilastro azienda dovrebbe essere il perno su cui ruota la gestione della sicurezza, in particolare nelle piccole e medie imprese che stanno vivendo una fase di criticità per il futuro a causa della pandemia.
Associato al pilastro azienda analizziamo poi il tema della qualità della consulenza in materia che le aziende acquistano dalle società specializzate in materia. La pratica spicciola durata molti anni di “vendere” un prodotto che mettesse l’azienda al riparo da eventuali sanzioni senza preoccuparsi tramite audit aziendali di verificare l’efficacia reale del sistema di gestione salute e sicurezza è il peccato originale di una parte non trascurabile del comparto delle società di consulenza. Abbiamo visto purtroppo anche la qualità scadente di certi prodotti offerti alle imprese in materia di formazione dei lavoratori, dei preposti, dei RSPP e RLS nell’ambito delle Fiere come Ambiente Lavoro. Questi prodotti facevano parte di un kit che in genere prometteva o promette di mettere in grado l’azienda di fare fronte e superare senza troppi guai una eventuale ispezione da parte dell’ASL o di altre autorità preposte ai controlli. Questa non è la consulenza che serve alle aziende, in particolare le più piccole, che non hanno le risorse interne per fare audit e verifiche sul campo per costruire un proprio sistema di gestione salute e sicurezza. Una consulenza seria offre un prodotto di qualità dopo avere analizzato il ciclo produttivo, individuato le criticità ed elaborato le proposte per il miglioramento della gestione….Non sappiamo quale sia percentuale delle società di consulenza che operano a questo livello di qualità purtroppo temiamo che siano una minoranza e che in genere lavorino solo per imprese di una certa dimensione.
La qualificazione del comparto della consulenza e la qualificazione del rapporto tra impresa che acquista consulenza e la qualità dell’offerta delle società di consulenza è uno dei punti da cui partire per migliorare la gestione della sicurezza…
Il terzo pilastro su cui si basa una efficace valutazione e gestione dei rischi riguarda i lavoratori e le loro rappresentanze, la contrattazione delle condizioni oggettive di lavoro. La frammentazione del mercato del lavoro da tempo ha influito negativamente sui percorsi di apprendimento per lavorare in sicurezza in molte realtà produttive. Se pensiamo ad esempio al lavoro “somministrato” , la discontinuità/brevità delle esperienze lavorative interrompe l’accumulazione delle conoscenze e delle competenze sia professionali sia quelle riguardanti la capacità di autotutela del lavoratore/della lavoratrice. Già molte ricerche da anni pongono in evidenza la correlazione tra precarietà del lavoro e incidenza di infortuni e malattie professionali . Le analisi degli incidenti mortali dimostrano come molto spesso le vittime siano persone giovani, ragazzi e ragazze con pochi mesi se non settimane di esperienza lavorativa, o in stage formativo. La galassia dei lavori a rischio per i giovani si è molto ampliata negli ultimi anni pensiamo ai fattorini o riders la cui attività è ritmata e decisa tramite ordini provenienti da app. Ragazze e ragazzi, finora con coperture assicurative e contrattuali inesistenti, trasportano pasti dai ristoranti alle abitazioni dei clienti affrontando il traffico con tempi prestabiliti da algoritmi che non tengono certo in conto la sicurezza. La gamma dei lavori “non lavori” che sostengono i nuovi settori della “gig economy” rappresentano la negazione del lavoro in sicurezza con la esposizione a tutti gli effetti della precarietà del reddito e delle coperture assicurative per una vita dignitosa. Alcune sentenze hanno stabilito che il lavoro di fattorino o rider riveste il carattere di lavoro subordinato con tutte le conseguenze positive dal punto di vista contrattuale e assicurativo. E’ l’avvio di un processo di regolazione di questo comparto in crescita ove sono in atto anche iniziative di sindacalizzazione con l’obiettivo di pervenire ad un Contratto nazionale di lavoro.
Sarebbe opportuno progettare nuovi strumenti di partecipazione dei lavoratori nella gestione della sicurezza nel luogo di lavoro. Nel passato erano le riunioni dei “gruppi omogenei” dei lavoratori che elaboravano un loro punto di vista, in base all’esperienza empirica quotidiana, sui rischi più gravi, diffusi rispetto ai quali chiedevano all’azienda di intervenire. Verosimilmente ora è più difficile individuare “gruppi omogenei” nell’attuale organizzazione “liquida” del lavoro ma si possono attivare strumenti come l’audit di sicurezza che potrebbe coinvolgere lavoratori, rappresentanze sindacali , rls e responsabili aziendali della organizzazione del lavoro per individuare le criticità e le priorità su cui intervenire per correggere e migliorare. Perché questo “pilastro” contrattazione sia davvero portante per una valutazione e gestione efficace dei rischi in azienda occorre per davvero decostruire una serie di stereotipi che nel tempo sono divenuti paralizzanti. In primo luogo spazzare via l’equivoco che la gestione della sicurezza sia materia da trattare, da parte dell’azienda, esclusivamente con il Rls, occorre un coinvolgimento della RSU e dei lavoratori per l’appunto tramite nuovi strumenti di partecipazione promossi dall’azienda come l’audit periodico di sicurezza che superi la troppo spesso asfittica “riunione periodica”. Non esistono ricette che valgano per tutte le situazioni ma alcuni obiettivi e tappe da perseguire si possono definire come denominatore trasversale, una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione dei rischi è tra questi.
Il quarto pilastro è costituito dalla “costruzione permanente” di una cultura della prevenzione diffusa e fatta propria dalla popolazione, una specie di “abito mentale e comportamentale” di cui ciascuna persona sia portatrice dalla più tenera età. Questo percorso, sia pure con le dovute eccezioni, non è mai stato intrapreso con decisione nei programmi scolastici e questo è un gap rispetto ad altri paesi europei. La percezione di questa assenza di un “abito mentale e comportamentale” verso la prevenzione si è potuto sperimentare durante l’esperienza della pandemia da coronavirus. Innanzitutto la prima difficoltà si è registrata nella scarsa diffusione di una cultura scientifica di base: le resistenze ad accettare la gravità della situazione, ad usare DPI sono derivate anche da questo fattore. La stessa crescita di un movimento negazionista rispetto ai rischi di contagio da Coronavirus e rispetto alla vaccinazione traggono certamente forza dalla mancanza di una cultura scientifica di base e dalla capacità di ragionare basandosi sui dati di fatto. Le conoscenze elementari dei fattori di rischio fisici, chimici e biologici dovrebbero fare parte del patrimonio delle conoscenze di ciascun cittadino dall’adolescenza in poi. Per questi motivi condividiamo appieno la proposta che la Presidente della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione contenuta nella Nota al Presidente del Consiglio Mario Draghi:
“Investire per la formazione dei giovani alla sicurezza del lavoro e al rispetto dell’ambiente nei curricula scolastici”
Questa come altre proposte contenute nella Nota della CIIP porterebbero un contributo positivo al miglioramento della qualità del lavoro e del vivere nel nostro paese. Purtroppo le tendenze in atto come gli interventi di deregulation del Codice Appalti paiono andare nella direzione contraria.
Gino Rubini
Editor Diario Prevenzione
24/5/2021 https://www.diario-prevenzione.it
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