Salute mentale e lavoro
Questa epoca post-pandemia sembra avere riportato alla ribalta della discussione politica e nella pubblica opinione principalmente due temi: il significato del lavoro ed il valore della salute mentale. E’ quindi comprensibile che stia acquisendo grande rilevanza un terzo tema che li combina, vale a dire quello riguardante il rapporto tra salute mentale e lavoro.
Il 30 e 31 gennaio scorsi si è tenuta a Bruxelles su iniziativa della Presidenza di turno della Unione Europea la “High level Conference on Mental Health and Work” che ha visto la partecipazione di circa duecento delegati ed oltre trenta politici tra ministri, commissari europei, eurodeputati e deputati nazionali. La Conferenza nasce per dare seguito alla azione intrapresa nel semestre precedente dalla Presidenza spagnola (con particolare impegno dalla ministra del lavoro Yolanda Diaz) che aveva dato priorità al tema riuscendo tra le altre cose a produrre il 9 ottobre 2023 una dichiarazione del Consiglio d’Europa su “Salute mentale e lavoro precario”. La Presidenza belga ha inteso rilanciare il tema con lo scopo di arrivare nei tempi istituzionali necessari (alcuni anni) ad una direttiva europea vincolante che sostenga gli sforzi degli stati membri in due direzioni:
- prevenire l’insorgenza di condizioni di scarsa salute mentale o di disturbi psichici legati alle condizioni di lavoro (prevenzione primaria);
- creare un mercato del lavoro inclusivo che accolga e sostenga tutte le categorie svantaggiate che sono ad alto rischio di esclusione (prevenzione secondaria e terziaria). La prima giornata della Conferenza di Bruxelles è stata dedicata alla prevenzione primaria, la seconda a quella secondaria e terziaria.
Perché occuparsi adesso di questo tema
Il livello politico cui è stata collocata la Conferenza di Bruxelles lascia intendere che esso abbia acquisito una notevole priorità nella agenda comunitaria. I lavori sono stati aperti da due commissari europei (Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione europea e commissario alla “European way of life”, e Stella Kyriakides, commissaria alla sicurezza sanitaria ed alimentare), dalla Vice Primo Ministro del Belgio (Petra De Sutter, ministro per la pubblica amministrazione). Nel corso dei lavori sono intervenuti il segretario di stato al lavoro tedesco (Lilian Tschan), il segretario di stato alla salute spagnolo (Javier Padilla), europarlamentari di diversi paesi. Dai loro interventi si è colto come il tema politico del significato e della qualità del lavoro nella Europa contemporanea e futura sia di grande rilevanza con riguardo alla crescita economica, alla coesione sociale ed alla tenuta complessiva del modello di vita europeo. Sono più volte state richiamate le sfide che sono state lanciate dalla pandemia, dalla digitalizzazione, dalla globalizzazione dei mercati, dalla precarietà crescente del lavoro e dalla riduzione del potere contrattuale delle forze sindacali. Il tutto nello scenario di competizione economica con aree del mondo come Asia ed Africa che restano ben lontane dagli standard di qualità sul lavoro che l’Europa persegue.
In sostanza è fondato il timore che il sogno europeo si infranga nel momento in cui vi possano essere larghi strati di popolazione esclusi dal lavoro o impiegati in lavori precari, alienanti, sottopagati, improntati a mero sfruttamento.
L’azione politica europea sembra essere una risposta a valle del problema, auspicabilmente combinata con risposte a monte riguardanti il ciclo economico, le politiche del lavoro, le tutele sindacali, le politiche commerciali internazionali, le politiche sociali e sanitarie. Rappresenta comunque la consapevolezza dei rischi che masse di persone escluse o alienate può comportare per la nostra società, con le immaginabili conseguenze di tipo politico e di conflitto sociale. Merita segnalare che i lavori si sono svolti in un edificio attiguo al Consiglio d’Europa ed alla Commissione Europea mentre si preparava la grande manifestazione degli agricoltori con i trattori già schierati nelle vie adiacenti. Una dimostrazione tangibile di che cosa voglia dire il valore della coesione sociale e quali possano essere le conseguenze politiche dalla sua perdita. Da segnalare anche che nel 2023 la Commissione Europea ha rivolto una comunicazione specifica al Parlamento europeo riguardante una strategia complessiva per la salute mentale basata su tre pilastri (prevenzione, servizi e inclusione) che vede nel tema salute mentale nei luoghi di lavoro una delle azioni fondamentali. Tale dichiarazione riprende in parte i contenuti dei lavori svolti all’interno della Joint Action on Mental Health and Wellbeing (2012-2016) che avevano prodotto tre documenti specifici: Mental Health in the Workplaces, Towards Community-based and Socially inclusive Mental Health Care, Mental Health in all Policies. Notoriamente i tempi della politica europea sono lunghi, ma la progressione sembra esserci.
La prevenzione primaria: rischio psicosociale, stress e burnout
Questo tema è stato affrontato con il contributo di esperti di alto livello di estrazione epidemiologica, sociologica, prevenzione, medicina del lavoro (occupational health), psicologia del lavoro. L’Istituto Europeo delle Organizzazioni Sindacali (Euro Trade Union Institute) ha commissionato alla Università del Québec di Montréal (alla professoressa Hèléne Sultan-Taieb) uno studio sul carico di depressione e malattie cardiovascolari dovuto al c.d. “rischio psicosociale” (vale a dire a condizioni di malessere collegate al lavoro). Il rischio psicosociale è un costrutto complesso che si compone di vari sotto elementi (stress cronico, sbilanciamento tra sforzo e ricompensa, precarietà lavorativa, orari eccessivi di lavoro, bullismo o discriminazioni) che nel lavoro canadese sono risultati diversamente incidenti sul caricò di malattia evitabile nei vari paesi europei. I risultati sono pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali di medicina preventiva e salute pubblica e sono di grande impatto (1) (2). Il rischio psicosociale legato ad esposizione sul lavoro sarebbe responsabile di circa l’8% delle malattie coronariche che nel 2015 si sono manifestate in Europa e di circa il 28% di tutti i casi di malattia depressiva. Ci sono notevoli differenze tra stati membri, con un gradiente che per le malattie coronariche vede i tassi maggiori nei paesi dell’Est con progressivo abbassamento muovendosi verso ovest. Relativamente ai costi diretti (cure mediche a farmaci) ed indiretti (assenteismo, presentismo, anni di vita persi etc.…) si stima un impatto di 11-15 miliardi di euro per le malattie cardiovascolari e di 45-90 miliardi di euro per la depressione.
L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza Occupazionale (EU-OSHA) ha fornito i dati sull’impatto sulla salute del rischio psicosociale legato ad esposizione sul lavoro (PWE). Si stima che il 10% di tutti i DALYs (anni di vita attiva persi) nella Unione Europea siano legati a problemi sul lavoro, principalmente legati a tempi di lavoro stressanti (46%), cattiva comunicazione (26%), scarsa autonomia lavorativa, abusi fisici o verbali, bullismo. Molte sono le aziende che hanno iniziato ad avere i propri “action plans” per ridurre il rischio psicosociale sul luogo di lavoro, incoraggiati anche da legislazioni nazionali in alcuni casi vincolanti. Tra queste è stata citata come esempio positivo quella italiana. Sul tema del rischio psicosociale si sono avute tre sessioni parallele, una dedicata ai contributi della psicologia del lavoro (occupational psychology), una ai contributi del diritto del lavoro (Labour Law) ed una ai contributi della medicina del lavoro (occupational health). Il dibattito politico ha visto dialogare (il termine più utilizzato è stato “social dialogue”, vale a dire relazioni tra le parti sociali) tra i rappresentati dei lavoratori (ETUC – European Trade Union Confederation), delle grandi imprese (Businness Europe), delle imprese che forniscono servizi pubblici (Services of General Interest) e delle piccole e medie imprese (UNIZO – Small Medium–size Enterprises United). Il dibattito ha riguardato il ruolo delle legislazioni nazionali (soprattutto sulle ore di lavoro e sui turni), degli ispettori del lavoro, sulle regole per il lavoro da casa, sulla digitalizzazione e sui sistemi di controllo dei lavoratori tramite algoritmi di produzione. I continui richiami a mantenere aperto il “social dialogue” hanno lasciato l’impressione che il lavoro da fare sia ancora tanto.
Il mercato del lavoro inclusivo
Rispetto al tema precedente l’apporto scientifico dei centri di studio accademici e delle organizzazioni internazionali è stato sensibilmente inferiore. A livello europeo non si dispone di dati reali sui tassi di occupazione delle persone con disturbi mentali, dipendenze, disabilità, migranti, “esodati” etc.… I contributi sono stati per lo più di tipo politico e legislativo, con richiami da parte dell’ILO (International Labour Organization) alle Convenzioni internazionali, agli standard europei ed ai tre pilastri dell’approccio europeo: 1- lavori di qualità, 2- adattamenti sul lavoro (orari flessibili, job redisign, reasonable accomodation….), 3- integrazione di assistenza e lavoro. Le sessioni parallele hanno riguardato: 1- l’avvio al lavoro (politiche di riserva del posto, politiche di attivazione, formazione…); 2- il mantenimento del posto di lavoro (rischio occupazionale, attenzione all’autoimpiego, sostegno psicologico, integrazione con le cure sanitarie); 3- il ritorno al lavoro (con proposta esclusiva dell’Individual Placement and Support come politica prioritaria). In questa ultima sessione si sono avuti tre contributi (H. Jònasson, L. De Winter e A. Fioritti) a commento della relazione principale di J. van Weeghel. Ne è seguito un dibattito vivace e ripreso anche in plenaria, dal quale si è rilevata la scarsa penetrazione che il ragionamento sul lavoro come intervento psicosociale prioritario sia ancora molto embrionale nella maggior parte dei paesi europei e cominci a fare breccia nelle politiche europee su Salute Mentale e Lavoro.
Conclusioni
Che cosa resta di questa tappa europea in tema di salute mentale e lavoro? È risultato abbastanza chiaro che la spinta ad occuparsi del problema viene da problemi interni al mondo del lavoro, sollecitato come è da competizione interna ed internazionale, complessità tecnica e tecnologica, digitalizzazione, specializzazione, difficoltà a conciliare famiglia e lavoro, precarietà etc.… Quello che l’Europa vorrebbe fare è creare una cornice nella quale imprese e organizzazioni del lavoro possano collaborare (“social dialogue”) per ridurre il malessere (“psychosocial risk”) ed il carico di malattia conseguente alla c.d. status syndrome (3) e sostenere la coesione sociale, evitando che larghe masse di popolazione entrino in una spirale di alienazione e siano facili prede di estremismi e populismi. È positivo che questo orientamento abbia anche agganciato il tema del coinvolgimento delle popolazioni a maggior rischio di esclusione, come le persone con malattia mentale, dipendenze, disabilità, etc.… L’investimento in termini di ricerca e sviluppo di soluzioni in questo secondo campo sembra molto minore rispetto al primo. A maggior ragione le esperienze europee sull’Individual Placement and Support possono proporsi come modello efficace e sostenibile, suscettibile di rapida implementazione e di sperimentazioni con opportuni adattamenti per popolazioni ugualmente a rischio.
Il prossimo passo annunciato è lo sviluppo di una “peer-review”, ovvero un documento che consentirà di avviare un dibattito politico all’interno della prossima Commissione e del prossimo Parlamento Ue. E magari, al termine di questo dibattito, elaborare e approvare una Direttiva europea sulla salute mentale e il lavoro. Il tempo previsto per l’intero processo è di 4-5 anni.
Angelo Fioritti, psichiatra – Bologna
Bibliografia
- 1. Sultan-Taıeb H., Villeneuve T., Chastang J.F., Niedhammer I. (2022) Burden of cardiovascular diseases and depression attributable to psychosocial work exposures in 28 European countries, European Journal of Public Health, Vol. 32, No. 4, 586–592.
- 2. Niedhammer I., Sultan‑Taieb H., Parent‑Thirion A., Chastang J.F. (2021) Update of the fractions of cardiovascular diseases and mental disorders attributable to psychosocial work factors in Europe International Archives of Occupational and Environmental Health (2021) 95:233–247
- 3. Marmot M.G. (2006) Status syndrome: a challenge to medicine. JAMA Mar 15; 295 (11): 1304-7.
27/2/2024 https://www.saluteinternazionale.info/
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