Sanità, anche l’Oms punta il dito contro l’Italia
Secondo gli specialisti dell’Oms, in tutto il mondo almeno un paziente su 10 subisce nell’arco della sua vita un danno (di qualsiasi tipo, intensità e gravità) mentre riceve cure mediche. Il fenomeno ha di sicuro una portata sociale, visto il numero di persone coinvolte, ma ha anche effetti dannosi dal punto di vista economico, perché il costo globale del problema si aggira, secondo le stime, sui 42 miliardi di dollari, vale a dire quasi l’1 per cento della spesa totale sanitaria. E, addirittura, in Italia il peso sul Sistema Sanitario Nazionale è “doppio”, perché raggiunge una percentuale del 2 per cento. Come mai?
Agli “errori” si sommano i tagli che l’assistenza sanitaria ha subito. L’Italia è il Paese che più ha ridotto i fondi a disposizione della sanità. E non è un caso che, invece, figuri tra i primi per lo spazio occupato dall’assistenza privato. Risultato, 12 milioni di cittadini non si curano a causa del costo troppo elevato tra analisi e cure.
E poi c’è il capitolo delle prestazioni professionali. Da otto anni i medici, come tutto il personale del pubblico impiego, ha il contratto nazionale di lavoro scaduto. Dal 2009 ad oggi circa 50 mila operatori sanitari, usciti dal sistema per pensionamento, non sono stati sostituiti ed almeno 10 mila sono medici. A tutto questo si è associata una drammatica riduzione dei posti letto ospedalieri che ci ha portato al non invidiabile primato di essere tra gli ultimi in Europa in rapporto alla popolazione residente. Siamo oramai a 3,4 posti letto per mille abitanti, contro un 8 della Germania, 7 dell’Austria, 6 della Francia. E nelle regioni meridionali arriviamo anche al di sotto dei 3 posti letto per mille abitanti.
Secondo l’Oms, infatti, anche l’affollamento degli ospedali e la carenza di personale sono determinanti per creare le condizioni dell’errore, così come pure la poca formazione dedicata ai “novizi” o le informazioni sbagliate date ai pazienti.
“In questo contesto, in cui tutto è già oltre il limite – si legge in una nota dell’Anaao-Assomed – le ferie e la chiusura estiva del 20-30% dei posti letto diventano un mix esplosivo, nonostante l’impegno degli operatori che “regalano” ogni anno almeno 12 milioni di ore di straordinario che mai verranno retribuite o recuperate”. “E le ferie non godute – continua il sindacato dei medici ospedalieri – oramai si possono valutare per la categoria dei dirigenti medici e sanitari del SSN in decine di migliaia di anni, arrivando, nei casi estremi di carenza di personale, anche a 300-400 giorni di ferie non godute per ogni medico prossimo alla pensione”.
Insomma, il SSN si regge non solo sull’orario di lavoro regolarmente retribuito dei suoi dipendenti, ma anche grazie ad una consistente quota di lavoro prestato in regime di “volontariato” forzoso.
Ultimamente la corte di Cassazione ha condannato la sanità pubblica di Enna per il decesso di un tecnico rdiologo, proprio a causa del superlavoro. “Una prassi comune delle aziende sanitarie – sottolinea sempre l’Anaao – specie negli ultimi anni e non solo nel meridione, quale “la violazione reiterata e sistematica dei limiti legali e contrattuali dell’adibizione del dipendente ai turni di pronta reperibilità”, e di guardia notturna e festiva, e della durata dell’orario di lavoro”. Violazione che continua anche dopo l’entrata in vigore della direttiva europea, tanto che l’Anaao Assomed ha chiesto alla Commissione europea la riapertura della procedura di infrazione.
Fabrizio Salvatori
11/8/2017 www.controlacrisi.org
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