Sanità, esiste il rischio zero?

Molto spesso siamo tentati di pensare che il rischio accettabile sia solo quello nullo ma poi in realtà accettiamo in ogni momento rischi maggiori in quasi tutte le nostre attività. Come in pratica non esiste rischio zero (cioè con probabilità nulla) cosi si può dire che non esiste rischio uno (cioè con probabilità certa) se non, come a volte si dice, il rischio di morire prima o poi. Non è allora un futile discorso chiedersi quali siano le condizioni per cui noi possiamo considerare accettabile un rischio.

Precisiamo qui che non entriamo nella problematica della percezione del rischio che può far diventare soggettivamente inaccettabile un rischio minimo o accettabile un rischio massimo. Ricordo il disagio di un amico cardiochirurgo che mi raccontava come pur precisando ai parenti che un certo intervento chirurgico complesso veniva dato in letteratura con un rischio di decesso intraoperatorio del 10% a lato di una prognosi molto infausta se non lo si fosse eseguito, quando, con una frequenza tra l’altro inferiore al 10% un paziente moriva i parenti lo accusavano di aver comunicato un rischio molto minore a quello vero. Se la percezione non fosse diversa dalla realtà non acquisteremmo di certo un biglietto della lotteria associato ad un rischio infinitesimamente basso di vittoria! Qui vogliamo ragionare però solo sui rischi reali, cioè sulla frequenza relativa degli eventi avversi sul totale degli eventi possibili, e non tanto su quelli percepiti che peraltro sono un problema da non ignorare soprattutto nei processi comunicativi e decisionali.

Possiamo dire che, praticamente quasi sempre, l’eliminazione di ogni rischio può comportare degli altri rischi, come ad esempio in una terapia medica in cui nessun farmaco, di per sé, può considerarsi non a rischio di produrre dei fastidi seppur minimi. In questi casi, allora, il principio generale che si ritiene sia giusto applicare è quello del rischio minore; strategia che potremmo avvicinare concettualmente alle analisi costi benefici economico sanitarie.

Le questioni che ne derivano sono però numerose: innanzitutto riguardano la natura dei rischi. Tra due rischi in termini di salute il bilanciamento sembra possibile ma tra un rischio in termini di salute ed uno in termini economici il bilanciamento conserva la sua correttezza? Ed è “questione di prezzo” o questione etica? E’ giusto che per guadagnare io accetti un rischio in termini di salute? Ma se la mancanza di guadagno comportasse per me dei rischi di salute maggiori? In questo caso non si tratterebbe di monetizzazione del rischio bensì ancora di accettazione del rischio minore per la propria salute.

Molte sono le attività lavorative, anche in campo sanitario, che comportano dei rischi ma chi le svolge non potrebbe rifiutarle senza cambiare professione: si pensi ad un radiologo, ad un infettivologo, ecc. che per quanto protetti non possono considerarsi a rischio zero. In questi casi è anche da considerare il valore etico dell’accettazione del rischio come ad esempio tuffarsi in un mare agitato per cercare di salvare chi sta rischiando di annegare. In questo caso il proprio rischio si giustifica nel tentativo di eliminare o ridurre il rischio altrui.

Di sicuro, comunque, non è eticamente accettabile l’imposizione di un rischio al solo fine di aumentare il profitto altrui, approfittando per lo più delle condizioni di necessità di coloro che vengono esposti al rischio stesso. Se per salvarmi, o anche solo se per star bene, accetto una condizione di rischio senza essere in situazione di necessità non è la stessa cosa che esser costretto a subire un rischio che altri mi impongono approfittando delle mie condizioni di salute o dalla mia impossibilità di evitare le condizioni di rischio impostemi. Questo è il caso di chi è ad esempio costretto ad una mansione a rischio per evitare il licenziamento, o di una popolazione che non può lasciare la propria casa nonostante venga investita dall’inquinamento di una attività che produce profitti ad altri.

Il problema allora non è quello di dire che alcuni rischi devono essere zero bensì di valutare le conseguenze nell’accettare o nel rifiutare di assumersi questo rischio, di chiedersi quali valori vengono coinvolti dalle conseguenze e soprattutto se le conseguenze riguardano gli stessi soggetti o soggetti differenti. E parlando di soggetti non ci si deve riferire solo a singole persone ma anche a gruppi o a intere comunità. Certe produzioni inquinanti, ad esempio, possono essere indispensabili per una società ma se sono a favore di tutti non possono essere nocive solo per alcuni, ad esempio per chi vive nei pressi degli impianti produttivi.

C’è un’altra situazione che porta ad accettare dei rischi ed è quella in cui si producono per chi li accetta dei piaceri, delle soddisfazioni, dei vantaggi morali. E’ il caso ad esempio dei fumatori o degli assuntori di droghe, dei praticanti di sport estremi pericolosi, dei volontari in missioni umanitarie con notevoli rischi. In questi casi il problema principale è garantire che il soggetto sia veramente libero e completamente informato e se non lo è si deve cercare di aiutarlo ad esserlo. C’è un problema di libertà che, se è tale, non può, a mio avviso, essere negata se non quando l’accettazione del rischio coinvolge non solo la persona stessa ma anche altri attorno a lui, come ad esempio è per il cosiddetto fumo passivo.

Queste frasi potrebbero far pensare che i problemi di rischio potrebbero essere risolti se non ci fossero dei tentativi di sfruttamento dei socialmente più deboli, ma poi in diverse situazioni non si sa come venirne fuori, soprattutto quando sarebbe necessario che tutta la società collaborasse realmente a trovare una soluzione che certo non è facile: qual è la soluzione giusta, ad esempio, per l’Ilva, qual è la soluzione per gli inceneritori, qual è la soluzione per l’inquinamento del traffico o del riscaldamento, qual è la soluzione per i cambiamenti climatici, qual è la soluzione per i flussi migratori, ecc. ?

Io ho una sola certezza, anche se è troppo poco, e cioè che la soluzione giusta non può essere l’egoismo dei pochi e neanche l’egoismo della maggioranza.

Cesare Cislaghi

22/10/2019 www.epiprev.it

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