Sanità. No soldi no cure!!
Mentre i nostri governanti ci dicono quotidianamente che, grazie ai loro meriti, la “crisi non c’è più” e che l’“economia tira”, la povertà aumenta. Oggi anche le cure mediche sono diventate un privilegio per chi può permettersele e l’universalità del diritto alla salute, previsto dalla Costituzione e attuato con la riforma sanitaria degli anni 70, è solo un ricordo.
La fondazione Banco Farmaceutico Onlus, per tramite del suo organo di ricerca, e con il contributo tecnico scientifico di Caritas Italiana, Associazione Medicina e Persona e ACLI, ha pubblicato il rapporto 2017, intitolato “Donare per curare: Povertà sanitaria e Donazione Farmaci”.
Ne viene fuori che, nel 2017, 580mila persone (+4% rispetto al 2015) non possono acquistare farmaci.
È in aumento la povertà sanitaria, visto che nel 2017 la richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali è cresciuta del 9,7% e negli ultimi 5 anni del 27,4%.
Crescono del 3,2% i poveri under 18, che rappresentano quasi un quarto degli assistiti, e ancor di più crescono i minorenni in tale condizione (+4,5).
Anche chi non è povero ha difficoltà a curarsi: più di un quarto, il 26 per cento, ha rinunciato almeno una volta in un anno a visite specialistiche o accertamenti diagnostici e gran parte di queste persone ha dovuto anche rinunciare a curarsi. Poco meno di un quarto, il 23 per cento, ha rinunciato almeno qualche volta ad acquistare farmaci. Ma fra chi ha un titolo di studio basso la percentuale sale al 40,85 per cento, e al 42,1 fra chi ha più figli. Al Sud più della metà della popolazione deve rinunciare (50,6%). Così come superano la metà (51,2%) i “lavoratori atipici” costretti a rinunciare, cioè l’enorme e crescente esercito del precariato legalizzato dal pacchetto Treu passando per il decreto Biagi, fino al Jobs act, segno evidente che anche l’accesso alle cure subisce una selezione su basi di classe.
Perfino fra gli utenti coperti dal Servizio Sanitario Nazionale più del 10% ha rinunciato a visite ospedaliere o a esami del sangue, non potendosi permettere il ticket.
Elaborando poi alcune statistiche dell’Istat viene fuori che le persone indigenti hanno potuto spendere nel 2015, mediamente, 106 euro a testa (29 centesimi al giorno), 14 euro meno dell’anno precedente.
In tutto, nel 2015, oltre 13 milioni di italiani (un milione in più dell’anno precedente) hanno limitato per motivi economici la fruizione di prestazioni sanitarie, il 20 per cento delle famiglie non povere e il 42 per cento di quelle povere, un italiano su 3 nel complesso.
A suon di “razionalizzazioni”, aziendalizzazioni, tagli, chiusure dei presidi nelle zone svantaggiate, la funzione universalistica del Servizio Sanitario Nazionale si è andata nel tempo affievolendo e sempre più si è aperto lo spazio del privato che a costi competitivi surroga le inefficienze del pubblico. Di questo ultimo aspetto il rapporto non parla, ma ormai la popolazione ne è ben più che consapevole. Con pochissimi soldi in più si evitano le liste di attesa e le code ai CUP, siamo accolti con guanti di velluto e usciamo soddisfatti. Non ci rendiamo conto però che così il servizio pubblico va gradualmente a farsi benedire e aumenterà il numero di coloro che non si potranno curare.
Mentre il grande statista di Rignano sull’Arno ci racconta ogni giorno dei magnifici progressi dell’economia, la povertà aumenta, i lavoratori perdono sempre più diritti e il welfare si assottiglia. Le poche risorse reperibili spulciando fra i miseri margini che l’Europa delle banche ci concede, vengono destinate a mance elettorali, anziché ai servizi pubblici. Oppure, peggio ancora, se ne vanno in aerei da guerra, armamenti e salvataggi delle banche decotte.
Intanto che fa il nuovo astro nascente nazionale della a-sinistra, Enrico Rossi, nella sua Toscana? Chiude i piccoli ospedali, penalizza i servizi sanitari dei territori svantaggiati, conferma la fiducia ai superpagati e inconcludenti supermanager, che sanno solo a tagliare sui servizi e non sugli sprechi e sull’eccessiva burocrazia, allontanando sempre più gli utenti dal servizio sanitario nazionale e consentendo invece agli specialisti dipendenti dei servizi pubblici di operare anche privatamente e con criteri di massima concorrenzialità.
Di questo passo il servizio pubblico si ridurrà al minimo, si elogeranno le virtù del privato e chi non avrà i mezzi per curarsi dovrà portare pazienza.
Ascanio Bernardeschi
2/12/2017 www.lacittafutura.it
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