Sanità: nuovi LEA maggiori spazi alla privatizzazione
La definizione dei nuovi livelli essenziali di assistenza ( LEA), ovvero delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale dovrà garantire a cittadine e cittadini, è stata comunicativamente enfatizzata come un’ importante novità per il riconoscimento di alcuni diritti sociali. Ma sarà vero o si tratta di demagogia sulla nostra pelle?
La prima riflessione, amara, è che sono occorsi oltre 15 anni (dal 2001) per aggiornare i Lea, se ci fosse stata una reale sensibilità rivolta al riconoscimento di diritti negati o mai riconosciuti fino ad oggi, non sarebbe stata possibile una procedura semplice e urgente?
Il diritto alla salute, quale fondamentale diritto sociale, è stato gradualmente approcciato, dopo la prima fase della “riforma sanitaria” con una logica sempre più da “diritto civile”, ovvero un riconoscimento come espressione di un principio di “civiltà”, anziché da un carattere di universalità in un’ ottica di equità sociale.
Non è casuale che molte prestazioni ricomprese oggi nel testo di decreto dei Lea fossero in realtà già offerte dal SSN, ovviamente senza quel carattere di universalità e gratuità che sarebbe necessario ma piuttosto dietro il pagamento di una prestazione rispondente alla logica di aziendalizzazione e mercificazione del diritto alla salute.
Questa logica ha imposto alle strutture sanitarie, che si finanziano in buona parte con il pagamento delle prestazioni, il pareggio di bilancio e il contenimento delle spese attraverso la cosiddetta spending review (e non solo)
Oggi il governo, rivedendo i Lea, agisce semplicemente a posteriori, utilizza le esperienze maturate dai diversi sistemi sanitari regionali che già riconoscevano le prestazioni, i costi delle quali tuttavia sono stati per anni scaricati su cittadini/cittadine con forme compartecipazione attraverso i tickets. Sfruttare competenze e capacità acquisite nelle prestazioni sanitarie per ridurre al minimo le risorse messe in campo con la legge di Bilancio ( 800 milioni) alzando al contempo al massimo il messaggio mediatico legato al nuovo decreto sui Lea, questo sembra essere l’ atteggiamento preferito dal Ministero per la Salute.
Come dire, definire le regole in ritardo giova al Governo, che così, impiegando solo un quarto degli oltre 3 miliardi necessari, scarica ogni ulteriore rischio sulle Regioni, le quali a loro volta ,nonostante l’intesa, sembrano molto scettiche e giudicano insufficienti le risorse stanziate per garantire il nuovo pacchetto di prestazioni .
Una cosa è certa: nel caso dei Lea, trattandosi di cure e prestazioni garantite ai cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, sappiamo verso quali scelte si orienteranno gli enti locali e regionali per scaricarne a catena gli effetti.
Sicuramente, il primo banco di prova in ordine all’ accertamento della sostenibilità dei Lea sarà rappresentato dalla verifica se il loro riconoscimento effettivo, e i conseguenti impegni assunti, potranno essere garantiti con l’attuale entità del FSN.
Non vorremmo che i conti siano stati fatti semplificando senza tener conto delle implicazioni organizzative ed occupazionali.
Se non si è tenuto conto, per esempio, delle risorse necessarie a garantire il rinnovo dei CCNL del comparto Sanità e delle convenzioni ma anche a garantire un programma assunzionale straordinario capace di compensare gli effetti del turn over e superare le condizioni di precarietà in cui si trovano migliaia di operatori sanitari.
Affermare, ma attenzione solo in astratto, il diritto sociale alla salute per poi negarlo gradualmente scaricandone i costi su cittadine e cittadine considerati alla stregua di “consumatori” sembra essere una costante abitudine dei governi nazionali e locali.
Analizzando gli effetti per gli aspetti di programmazione degli obiettivi non vi è infatti alcuna certezza che la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza comporti una maggiore gratuità di prestazioni per le classi sociali meno abbienti. Gli scenari possibili potrebbero essere invece ben altri, limitare l’ integrazione fra socio-sanitario territoriale e sanità pubblica favorendo le strutture private e depontenziando le strutture ospedaliere e sanitarie pubbliche.
E’ infatti innegabile che i nuovi Lea possano anche essere utilizzati in forma distorta quale strumento per un passaggio da prestazioni rese con ricovero ospedaliero a day hospital e da day hospital a prestazioni ambulatoriali rese dietro pagamento, ovvero erogate in strutture del socio sanitario e quindi a carico delle comunità locali.
Nel caso si verifichi questo, verrebbe meno la condizione di garantire alle persone assistenza e cure adeguate sul territorio ma al contempo si continuerà invece a incentivare la privatizzazione di un bene comune inalienabile come la salute.
Non possiamo neppure ignorare le implicazioni organizzative che costituiscono la condizione di effettiva erogabilità, in quanto l’ appropriatezza e la qualità delle prestazioni rese non possono essere separate da adeguati livelli di organizzazione e di dotazioni organiche di personale.
Un Governo non in grado di assicurare la stessa qualità delle cure su tutto il territorio nazionale, in termini di organizzazione del sistema e di qualificazione del personale sanitario, renderà debole ogni riconoscimento di maggiori prestazioni a garanzia del diritto alla salute.
Se poi a questo aggiungiamo l’ incertezza determinatasi anche per il comparto Sanità in conseguenza del mancato rinnovo ormai da otto anni dei contratti pubblici, che il protocollo d’intesa nella sua vaga indeterminatezza non ha per niente risolto, risulta del tutto evidente come l’ allargamento dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza sia al momento, una enunciazione mediatica priva di certezze ed effetti in termini di prestazioni reali che siano riconoscimento effettivo di diritti sociali, quali quello alla salute, in un’ ottica di una maggiore equità sociale che la crisi ha reso ancor più indiferribile.
Roberto Cerretini
Federico Giusti
17/1/2017 www.controlacrisi.org
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