Sanità pubblica, primo argine alle disuguaglianze
“La legge 833 che ha istituito il Sistema sanitario nazionale nel 1978 dice una cosa molto semplice: si tutela la salute in maniera universale, perché ciascuno la finanzia secondo le proprie possibilità e ciascuno ne usufruisce secondo il proprio bisogno, non in base a ciò che ha pagato, ai contributi che ha versato, men che meno alle assicurazioni. È un principio scontato e banale? Non so se possiamo permetterci di affermarlo oggi, se chi ha vinto le elezioni lo ha fatto proponendo non un sistema fiscale universale, ma la flat tax. Eppure, solo un fisco progressivo può assicurare sistemi universalistici di welfare. Tutto si tiene nel disegno della nostra Costituzione che abbiamo ripetutamente voluto difendere”. È uno dei passaggi fondamentali della lectio magistralis sui quarant’anni della riforma sanitaria tenuta da Rosy Bindi al congresso della Cgil.
Un intervento ricco di contenuti e riflessioni, quello di Rosy Bindi, che non si è limitata a ripercorrere la storia di quella riforma, ma ha voluto fare spesso riferimenti al presente che mette a rischio il disegno di una riforma così importante per il nostro Paese. “Oggi – ha detto – si introducono forme che rischiano di far aumentare le disuguaglianze, soprattutto in un tempo di crisi, perché se c’è un settore che non dovrebbe mai essere sottofinanziato è proprio quello che prede in carico la salute della persona”. Una battaglia che vede da sempre la Cgil in prima linea. “So bene – ha sottolineato – che la legge 833 non sarebbe mai stata varata senza il dialogo, il confronto e l’impegno del movimento sindacale, in particolare della Cgil”, dalla quale la stessa Bindi questa mattina ha ricevuto la tessera onoraria per mano del segretario generale Susanna Camusso. “C’è un motivo importante per il quale ho accolto con gioia la tessera che mi avete conferito: io credo che questo sia il tempo per rafforzare le formazioni sociali e la grande funzione dell’intermediazione, e di contrastare la deriva populista e sovranista preparata dalla delegittimazione dei corpi intermedi, del sindacato, delle associazioni”. Perché il rischio è “trasformare il ‘popolo sovrano’ nel ‘popolo del sovrano’, noi invece vogliamo dare voce a tutte le idee”.
Tornando a parlare della riforma sanitaria del 1978, “è bene riflettere insieme – ha osservato Bindi – su una delle opere pubbliche più importanti realizzate in Italia a partire dalla fine degli anni Settanta, averne consapevolezza per rilanciarla, ma soprattutto per combattere l’indifferenza e il disimpegno di coloro che pensano di poter provvedere da soli alla propria salute”. Dobbiamo combattere anche, ha sottolineato, “contro la rassegnazione di troppi utenti che di fronte a perduranti difficoltà, alla limitazione di accesso ai servizi, percepiscono il servizio sanitario nazionale non più come un bene comune da preservare”. Nell’epoca dei cambiamenti che vanno di moda, “essere innovatori significa quindi ritornare alle fondamenta della nostra vita democratica, alla nostra Costituzione, perché da lì è partito quarant’anni fa il servizio sanitario nazionale in un periodo storico ben preciso di grandi riforme”.
Eccole allora snoccociate da Rosy Bindi le riforme di quel decennio 68-78: la legge sul referendum, sul divorzio, la nuova legge sulla casa e il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, l’istituzione degli organi collegiali nella scuola, la riforma fiscale, il nuovo diritto di famiglia, il voto ai diciottenni, l’istituzione dei consultori familiari, la legge sulle tossicodipendenze, l’istituzione delle circoscrizioni, la depenalizzazione dell’aborto, la tutela della maternità, il superamento dei manicomi con la legge 180 e, infine, a dicembre del 1978, la legge 833 “frutto di una stagione sociale di grande partecipazione, quando la politica sapeva ascoltare la voce dei cittadini organizzati e rispondere con principi universali alle tante domande che le venivano poste”.
Maurizio Minnucci
23/1/2019 www.rassegna.it
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