Scampia tra Miss Italia e Gomorra
Eletta in ritardo causa pandemia, Miss Italia 2021 è Zeudi Di Palma, ventenne napoletana che studia sociologia, ha esperienza come modella ed è impegnata nel sociale con l’associazione creata dalla madre Maria Rosaria, operaia e consigliera dell’ottava municipalità cittadina. A fare notizia e discussione è stato proprio il quartiere in cui Zeudi vive: Scampia, periferia nord nota ai più per le Vele, gigantesche costruzioni che hanno fatto da set e da sfondo per vari film e serie tv, tra cui Gomorra.
Zeudi Gomorra non l’ha vista se non di sfuggita e non le interessa farlo. A domanda diretta del Corriere della Sera risponde che la serie Sky, ispirata all’omonimo best seller di Roberto Saviano, dà un’immagine del quartiere che non riconosce. Scampia, dice, è sì una realtà degradata in cui lo Stato dovrebbe essere più presente per aiutare i giovani, tuttavia questo «vale per tutte le realtà più complicate». Ma qual è la realtà complicata di Scampia? Davvero Gomorra, tra le varie sovrabbondanze tipiche delle narrazioni cinematografiche e televisive, non ne racconta una parte anche minima? Per una risposta completa, occorre andare indietro nel tempo fino agli anni Cinquanta, quando Scampia non esisteva se non come spianata agricola.
Il progetto della periferia
In quel periodo esisteva, invece, il tema progettuale della “casa per tutti”, intersecato con i principi architettonici della Bauhaus e dell’Existenzminimum: essenzialità, modernità, uniformità, funzionalità. In ambito urbanistico, a livello europeo si tende a preferire interventi su grande scala. Soprattutto nell’edilizia popolare, non si progettano o costruiscono semplici palazzi, ma interi quartieri che dovrebbero rispondere alle esigenze abitative funzionando da nuclei urbani autosufficienti.
Da est a ovest, a Napoli prendono così corpo il rione Stella polare, vari insediamenti a Ponticelli, il quartiere La Loggetta, il complesso Soccavo-Canzanella, il Cep del rione Traiano. La legge 167 del 1962 appare agli occhi di molti, tra cui Giulio De Luca, come uno “strumento di politica urbanistica per Napoli”. Nel 1965 viene disegnato quindi un nuovo, grande piano di sviluppo urbanistico della città che, racconta Sergio Stenti in La stagione delle case popolari a Napoli, concentra a nord tutta la previsione di case pubbliche e di case cooperative. Espropriando centinaia di ettari, si pianifica e approva l’edificazione di case per circa 60mila abitanti ai margini del quartiere Secondigliano, dove esiste già un insediamento in via Monte rosa. La periferia è quindi un vero e proprio progetto. Scampia nasce così e il suo destino si compie non tanto e non solo sulla carta, quanto nella effettiva realizzazione delle costruzioni.
Dalla carta alla realtà
Siamo nell’Italia del boom economico, nella Napoli amministrata prima da Achille Lauro, poi dalla Democrazia cristiana. Nuovi edifici trasformano il paesaggio cittadino punteggiandolo di casermoni dal centro storico al Vomero: è la speculazione edilizia raccontata da Francesco Rosi in Le mani sulla città, anno 1963. In periferia, intanto, i nuovi agglomerati di palazzi non riescono a farsi quartiere: in linea teorica, si collocano all’interno del più avanzato dibattito europeo su architettura, urbanistica e fenomeni sociali; nella pratica, devono fare subito i conti con la compromissione del progetto iniziale. Sulla carta ci sono grandi unità di vicinato, verde e spazi pubblici, attrezzature in grado di rispondere alle esigenze collettive di socialità e servizi, coerenza con il paesaggio e rispetto dell’ambiente; nella realtà, variazioni su variazioni per accogliere più case, scarsi controlli durante la realizzazione, utilizzo di materiali scadenti.
Incomplete e avulse alla stessa comunità che le vive, isolate o mal collegate al centro e ai servizi di base, prive dell’auspicata autosufficienza, queste aree diventano quasi subito eccessivamente affollate. Considerando che erano riservate a persone e famiglie dal reddito basso e/o in condizioni di povertà, ne deriva la concentrazione di disagio economico e sociale in una sola zona geograficamente separata dalla città. Succede, ad esempio, nella zona occidentale, al rione Traiano, inizialmente destinato ad accogliere i senzatetto del dopoguerra. A Scampia, poco più di 10 chilometri di distanza, si combinano invece più fattori: piani e progetti disattesi sono solo una parte del problema.
Le Vele di Franz Di Salvo, simili all’ex villaggio olimpico di Montreal e alla marina baie des Anges in Costa Azzurra, ispirate alle Unités d’habitation di Le Corbusier e alle strutture “a cavalletto” di Kenzo Tange – famoso a Napoli per aver progettato il Centro Direzionale, altra opera non del tutto compiuta – vogliono replicare la struttura dei vicoli napoletani favorendo il senso di comunità e creando in un solo edificio una città modello.
Sulla carta, ogni Vela è alta 14 piani e ben distanziata dall’altra. I blocchi paralleli che la compongono hanno ballatoi ampi per consentire riservatezza e illuminazione. Ogni sei piani ci sono attrezzature domestiche di comunità e alla base negozi, servizi per la collettività, verde pubblico, aree destinate ai bambini, scuole e asilo, centri culturali, sanitari, religiosi, il tutto in un contesto urbanistico con adeguati sistemi pedonali, sviluppato come un omaggio al movimento partigiano lungo il viale della Resistenza.
Purtroppo, nella realtà, le cose vanno diversamente: il primo corpo realizzato secondo progetto è ritenuto eccessivamente costoso e dunque demolito. Degli otto edifici ne vengono realizzati sette (oggi ne restano in piedi tre), volendo però mantenere le stesse quantità di alloggi. Gli spazi tra i blocchi diventano minimi mentre gli ascensori non sono mai entrati in funzione o si guastano subito. Sin dall’inizio non vi è manutenzione né pulizia sistematica delle parti condominiali e pubbliche. Mancano aree per bambini o per chiunque altro, negozi, infrastrutture per la vita quotidiana. Difettano servizi primari, gli allacciamenti ai servizi pubblici (acquedotto e fognatura comunale, gas, luce), i collegamenti verso la città. Purtroppo, non c’è neppure il tempo per rimediare: con il terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980 esplode l’emergenza casa e saltano anche le graduatorie per l’assegnazione degli appartamenti, rispettate solo in minima parte nel maggio precedente.
Tutto è casa
A Napoli cade un solo palazzo provocando oltre 50 morti. Si tratta di una torre di nove piani in via Stadera, altra edilizia popolare degli anni Cinquanta; i senzatetto, spiega il sindaco Maurizio Valenzi ai giornalisti, passano da 10mila a 30, 40, forse 50mila. Sono, in realtà, molti di più: le persone sfollate a causa dell’inagibilità della propria abitazione, gli sfollati a causa del bradisismo nell’area flegrea, i senzatetto storici. In pieno inverno, un esercito di persone si ritrova quindi a vivere nelle strade, nelle auto, nei container, nelle navi, nei vagoni ferroviari, negli autobus. Il primo dicembre cominciano a occupare le case vuote in tutta la città, arrivando ovviamente anche nel nuovo mega-quartiere con strade senza un lampione e senza una farmacia. Si abitano non solo gli alloggi, ma i piani porticati, i ballatoi, gli scantinati: tutto è casa.
Il Mattino racconta le condizioni drammatiche di quasi 18mila persone: vivono in appartamenti privi di ogni cosa, a volte anche di porte e finestre. Non hanno riscaldamento né da mangiare visto che gli enti che gestiscono le case popolari non autorizzano gli allacciamenti. Scampia è raccontata come “un alveare umano dove ogni giorno si lotta per la sopravvivenza”. Nella primavera 1981 è approvata la legge 219 per la costruzione di nuove case e le necessarie opere di urbanizzazione. Al contempo, per velocizzare le procedure, si ricorre all’istituto della concessione: in quel momento, da un lato permette di superare lungaggini burocratiche, dall’altro dà il via a nuove speculazioni. È il “Piano Napoli”: nascono nuovi quartieri, si ingigantiscono quelli esistenti.
Una città nella città
Le Vele, contrassegnate con lettere dalla A alla H, fanno ora parte di un nucleo abitativo assai più ampio, spacchettato in lotti di terreno distinti da altre lettere, in cui gli abitanti arrivano a ondate e si muovono cercando di orientarsi, dando nomi a volte pittoreschi a palazzoni anonimi, collegati tra loro da ampi assi viari a scorrimento veloce: i Sette palazzi, la Cianfa di cavallo, le Case dei puffi, le Case celesti. Vivono qui gli assegnatari degli alloggi pubblici, i proprietari degli alloggi di cooperative residenziali, gli occupanti abusivi di alloggi e altri vani negli edifici di edilizia pubblica, anche non completati. La popolazione è giovane, le famiglie sono numerose, vi è un alto tasso di disoccupazione e l’età non fa la differenza. L’area concentra ormai circa 50mila abitanti, una città come Mantova, in poco più di 4 chilometri quadrati senza servizi. Vicinissimi all’abitato, però, coesistono sia la struttura sanitaria che somministra il metadone e richiama tossicodipendenti dalla città e dalla provincia, sia il nuovo carcere di Secondigliano, previsto sin dal piano regolatore del 1972 e inaugurato nel 1992. Il commissariato si è insediato nel 1987. Tre anni dopo, nel 1990, quando Papa Giovanni Paolo II fa visita agli abitanti, tiene questo discorso:
La mancanza di case obbliga tanti di voi a vivere in alloggi di estrema precarietà, in condizioni che non favoriscono certamente il dovuto rispetto della dignità dell’uomo. Sempre più acuta diventa la crisi dell’occupazione con le negative conseguenze legate al lavoro nero e a quello minorile. Troppi ragazzi, poi, abbandonano la scuola senz’altra prospettiva che la strada, spesso solo palestra di delinquenza e di devianza sociale. A ciò si assommano il diffondersi del vizio, il dilagare della tossicodipendenza e dell’alcol, l’acuirsi del fenomeno della criminalità e della violenza anche di stampo camorristico.
Molto prima del racconto di Gomorra, la presenza di organizzazioni criminali sul territorio di Scampia è quindi argomento pubblico e nel 1991 viene definito “quartiere lager” a seguito della visita del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il pericolo è quello delineato da Attilio Iannuzzo in Napoli in guerra: “Centinaia di famiglie ammassate come polli in batteria (…) La privacy non esiste. Metti un camorrista in queste gabbie e tutto il quartiere viene controllato”.
La rinascita del quartiere
Eppure, tra molti distinguo e spaccature, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, il quartiere si fa più attivo e vivace ed è finalmente possibile socializzare, conoscersi, unirsi, lottare insieme e insieme costruire alternative e coscienza civile. Le Vele diventano simbolo di un fallimento e nel 1997 con una delibera dell’amministrazione Bassolino viene finalmente avviato un progetto annunciato più volte: la rivalutazione dell’area con l’abbattimento di tre costruzioni. La prima è la Vela F con i 284 panetti di dinamite che fanno il lavoro solo a metà, segue la Vela G. Viene anche inaugurata la stazione della metropolitana collinare che finalmente collega il quartiere con il centro. Scampia diventa nota all’opinione pubblica per le rivendicazioni dei residenti e del Comitato di Lotta delle Vele, le attività del GRIDAS di Felice Pignataro con il bellissimo Carnevale (il 27 febbraio la 40esima edizione), l’associazione Chi Rom e …Chi no , la cooperativa “L’uomo e il legno” e tantissime altre realtà come quella del centro sportivo di Gianni Maddaloni (la sua storia meriterà una serie Rai con Beppe Fiorello).
Nel 2002, nell’ambito del progetto NEHOM (Neighbourhood housing models), Giovanni Laino e Daniela De Leo raccolsero dati e realizzarono interviste. Muovendo dal programma di riqualificazione delle Vele, delinearono i principali atteggiamenti della popolazione rispetto ai problemi del quartiere: emerse il “rivendicazionismo” verso uno Stato che deve qualcosa, a volte condito dall’opportunismo e dalle richieste al mediatore politico di turno; la disillusione mista allo scetticismo; la fiducia contenuta di quelli che, pur sperando nel progresso, restavano in attesa di sviluppi e cambiamenti visibili; l’impegno di altri, più o meno intenso e diretto, in attività di volontariato civico e religioso per costruire direttamente opportunità di cittadinanza attiva e miglioramento della vivibilità.
Quando nasce e muove i primi passi Miss Italia 2021, Scampia è quindi un grande quartiere non solo per gli spazi ampissimi, per i palazzi giganteschi, per le migliaia di persone che ci vivono, ma perché ci sono problemi e difficoltà immense da cui si sta emergendo con fatica ma anche con speranza grazie a tantissime iniziative: molte vengono dal pubblico, molte dal terzo settore, molte da semplici cittadini. Poi, a partire dal 2004, succede qualcosa. Succede quello che racconta proprio Gomorra: la prima e la seconda faida di camorra per il controllo del territorio a nord di Napoli.
La camorra oltre lo schermo
Fare una cronistoria delle vicende, degli ammazzamenti, delle vittime innocenti come Gelsomina Verde, prenderebbe ancora tantissimo spazio. Basti sapere che la guerra comincia nell’ottobre 2004 con una scissione all’interno del potente clan Di Lauro e che il conflitto vede una polverizzazione estendendosi a gruppi e sottogruppi almeno fino al 2018.
La camorra è oggi definita dalla Direzione investigativa antimafia come un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale: le diverse organizzazioni sono tra loro autonome, ma connotate da una forte “interpenetrazione” con il tessuto sociale. Alleanze e conflittualità sono dettate di volta in volta da strategie e interessi, con clan egemoni che prediligono l’affarismo imprenditoriale, una pletora di gruppi-satellite minori, e bande – composte anche da giovanissimi – con una forte teatralità che si rivelano pericolose soprattutto per le forme di gangsterismo urbano: un repertorio di agguati, stese e caroselli armati. Questo però avviene in tutta la città. E in molti quartieri della città sono state realizzate le riprese di Gomorra, da Fuorigrotta a Ponticelli ai Ponti Rossi: l’identificazione con Scampia deriva dunque da una sovrapposizione tra rappresentazione scenica e storia recente della criminalità, sublimata nell’impatto visivo delle Vele.
Riscatto (sociale) e pregiudizio
Ma quanto male e quanto bene ha fatto a Scampia l’esser tanto riconoscibile? Senza il libro di Saviano, il film di Garrone e la serie Sky, sarebbe oggi fattibile dirsi semplicemente e orgogliosamente altro rispetto a Genny Savastano e Ciro l’immortale? Se Miss Italia fosse nata e cresciuta al rione Conocal di Ponticelli o al Vasto, qualcuno avrebbe parlato di riscatto sociale? E se, per assurdo, fosse nata e cresciuta a Posillipo, le avremmo domandato se ha mai visto Un posto al sole e se le vicende di palazzo Palladini rappresentano o meno la vita quotidiana delle persone che risiedono nell’area?
Se da un lato è comprensibile e necessario smarcarsi dallo stereotipo e dal pregiudizio, dall’altro occorrerebbe ammettere che difficoltà simili a quelle di Scampia – incuria e degrado urbano, incostanza dell’azione politica e amministrativa, presenza di organizzazioni criminali – sono realtà per molti altri quartieri cittadini che però conoscono in pochi e vedono ancor meno attenzione.
Dall’inizio dell’anno, a Scampia si è protestato per la scarsa pulizia e la presenza di siringhe in prossimità di scuole, asilo e altre attività dedicate ai bambini e ai ragazzi, oltre che per la chiusura dell’ufficio postale. A fine gennaio, al confine con il quartiere Miano, un duplice omicidio in pieno giorno ha fatto tornare la paura tra i residenti. Intanto il Comune di Napoli ha presentato un nuovo progetto da 70 milioni di euro, da finanziare con i fondi del PNRR, e il nuovo sindaco Gaetano Manfredi ha incontrato i rappresentanti del Comitato di Lotta delle Vele per l’ennesimo confronto sul completamento del progetto Restart Scampia. Sul tema, verrà insediato un tavolo.
Intanto, il 22 febbraio, Zeudi Di Palma è stata ricevuta prima dal governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che l’ha salutata come orgoglio di Napoli e modello di impegno, e poi dal nuovo sindaco Gaetano Manfredi in una cerimonia al Maschio Angioino, sede storica del Consiglio Comunale e simbolo della città. In quella sede, Patrizia Mirigliani, patron di Miss Italia, ha proposto di portare la finale del concorso di bellezza a Scampia “per lanciare un messaggio positivo e di rilancio delle periferie” (la risposta di Manfredi è stata: ci penseremo, dobbiamo valutare). Poche ore dopo questi eventi, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna, coordinati dalla DDA di Napoli, hanno arrestato Ciro Di Lauro, figlio del capo dell’omonimo clan. Gli inquirenti gli contestano, insieme ad altre tre persone, un duplice omicidio maturato nel corso della prima “faida di Scampia”, avvenuto nel novembre 2004 e che fece anche una vittima innocente.
Raffaella Ferrè
24/2/2022 https://www.valigiablu.it
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