Schiavitù. L’Italia esempio negativo europeo

Schiavitù. L’Italia esempio negativo europeo

Da anni i politici parlano di democrazia, di diritti civili e di diritti umani (specie quando si parla di migranti). La verità però è ben diversa. La schiavitù è ancora diffusa e spesso viene praticata anche nei paesi più “evoluti”. Ad affermarlo è il rapporto Global Slavery Index presentato dalla   Walk Free Foundation, che analizza l’incidenza della schiavitù nelle nazioni del mondo.

Complessivamente, al mondo sono oltre 48 milioni le persone ridotte in schiavitù. Al primo posto per percentuale di schiavi rispetto alla popolazione c’è la Corea del Nord, con il 4,37 per cento. In termini assoluti, invece, è l’India il paese con il maggior numero di schiavi (18,35 milioni), seguita dalla Cina (3,39 milioni), Pakistan (2,13 milioni), Bangladesh (1,53 milioni) e Uzbekistan (1,23 milioni). Anche sotto questo punto di vista, deludente la performance dell’Italia: il Bel Paese e al vertice della classifica per schiavitù in Europa (secondo solo alla Polonia). Duro anche il giudizio a livello mondiale: su 167 paesi, l’Italia si colloca al 49esimo posto. Ben diversa la performance di altri paesi europei come la Germania (al 117esimo con 14.500 persone ridotte in schiavitù), la Francia (124esima con 12.000 schiavi), la Gran Bretagna (127esima con 11.700) o la Spagna (al 134esimo con 8.400). Nel vecchio continente sono oltre un milione gli schiavi (1.243.400), circa il 2,7 per cento della popolazione. La percentuale più elevata di vittime della tratta umana è di sesso femminile (circa l’80 per cento del totale). Spesso si tratta di donne oggetto di sfruttamento sessuale a fini commerciali. Provengono dalla Romania ma anche dall’Africa sub-sahariana (in questo caso molti sono anche i casi di schiavitù “domestica”). La maggior parte proviene dalla Nigeria: secondo il National Referral del Regno Unito, la Nigeria resta uno dei paesi di origine più comunemente registrati per le vittime nel loro sistema di registrazione traffico di esseri umani. Le vittime raggiungono l’Europa attraverso una serie reti complesse via terra, mare o aria ben organizzate e collaudate. Lo dimostra il fatto che questo traffico è continuato anche dopo l’arresto, nel 2015, di uno dei leader di questo traffico di schiavi un a Barcellona, in ​​Spagna.

Questo fenomeno si lega a filo doppio anche con il problema dei migranti: non è un caso se, dove maggiori sono i migranti – non profughi e rifugiati, si badi bene – maggiore è anche il problema della schiavitù. Nel 2015-2016, la crisi migranti europea ha politicamente, economicamente e socialmente dimostrato la vulnerabilità dell’UE a questo fenomeno: nella classifica il punteggio è stato molto basso, 27,1 su 100. Nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa, spesso i richiedenti asilo e i migranti si sono rivolti a trafficanti di esseri umani. Grave, secondo i ricercatori, il livello di efficienza dei sistemi adottati: sebbene esista un tavolo nazionale che include le ONG e le autorità nazionali per affrontare il problema, dal primo  Giugno 2014 al 31 Agosto 2015, gli incontri sono stati pochissimi. La conseguenza è che non esiste un piano d’azione nazionale né un gruppo d’azione per sostenere le vittime di schiavitù (Milestone 1, 4.2.1). In altre parole il governo del fare non avrebbe fatto quasi niente per combattere questo fenomeno.

A questo si aggiunge il problema dei minori: si stima che in Europa siano almeno 10.000 i bambini registrati come rifugiati e ora dispersi. E, di questi, ben 5.000 l’ultima volta che sono stati visti si trovavano in Italia. In tutta Europa, molti dei nuovi schiavi diventano manodopera a basso costo nell’agricoltura, nella silvicoltura, nella pesca, nell’edilizia, nella ristorazione, nell’industria tessile, nel lavoro domestico e in altri settori. Nel 2015 nel Regno Unito, sono stati ben 3.266 le vittime di schiavitù identificate, e di queste 1.183 erano legati a sfruttamento del lavoro. In Polonia, i lavoratori vietnamiti hanno riferito di sfruttamento da parte loro datore di lavoro polacco, che ha trattenuto il passaporto, confiscato i loro telefoni cellulari e li ha costretti a lavorare 12-13 ore al giorno.

In questo panorama oscuro, la posizione dell’Italia la vede tra Guatemala e Malesia, e la situazione rilevata dai ricercatori appare essere peggiore anche di quella di buona parte dei paesi del Terzo Mondo. Basti pensare che, sopra la soglia dei 100 mila schiavi, dopo l’Italia, si sono classificati paesi come il Niger, la Somalia, il Malawi, il Mali, lo Zambia, Haiti, la Repubblica Dominicana e il Ghana.

Dati di cui certamente non essere orgogliosi e che, stando al numero di migranti che dopo essere stati prelevati nel Mediterraneo o essere finiti in Italia non ne sono più usciti, non potranno che aumentare.

 

5/9/2016 www.dazebaonews.it

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