Scienza e mass media: questioni di visibilità

 

La vignetta qui sopra ripropone, seppur scherzosamente, un esempio dei problemi e dei conflitti che quasi ogni giorno animano i rapporti tra scienza e società: energia nucleare, Ogm, biotecnologie e – più recentemente – vaccinazioni e cambiamento climatico sono solo alcuni casi ben noti che hanno occupato la scena pubblica.

Scienziati e illustri opinionisti tendono spesso a spiegare l’apparente distanza tra scienza e società con il basso livello di conoscenza scientifica dell’opinione pubblica italiana. Il senso comune, infatti, sembrerebbe suggerire che più è elevata la conoscenza dei contenuti scientifici, più si è predisposti a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti della ricerca scientifica; tant’è che, nonostante le ricerche nel settore della comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia (Public Communication of Science and Technology Studies) abbiano sollevato da tempo numerose obiezioni a questo presupposto, il livello di conoscenze scientifiche rimane un indicatore rilevante nell’analisi del rapporto tra scienza e società.

ITALIANI: IGNORANTI DI SCIENZA?
L’Osservatorio Scienza e Società di Observa Science In Society monitora, ormai da quasi vent’anni, il livello di «alfabetismo scientifico» degli italiani attraverso tre domande standardizzate anche su scala internazionale. Dopo la battuta d’arresto registrata nel 2017, nell’ultimo anno l’alfabetismo scientifico ha recuperato alcuni punti percentuali. Si tratta sostanzialmente, con l’eccezione della flessione registrata nell’anno precedente, di un trend di costante crescita che aveva raggiunto, nel 2016, un picco mai toccato prima. Nel 2018, quindi, si torna a riscontrare le conferme viste nel lungo periodo. Nell’ultima rilevazione condotta da Observa, la quota di cittadini che non sa rispondere correttamente a nessuna delle domande poste è del 14%, mentre quella di chi riesce a rispondere correttamente a tutte e tre le domande è pari al 27%.

Il 63% degli italiani, dunque, sa che il Sole non è un pianeta; più della metà riconosce correttamente la funzione degli antibiotici e sa che gli elettroni sono più piccoli degli atomi. Se guardiamo alle caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti vediamo che è tra gli italiani ultrasessantenni e con un basso titolo di studio che si trova la quota più alta di chi non sa rispondere a nessuna delle domande poste, mentre supera il 40% la percentuale di chi sa rispondere a tutte e tre le domande tra i giovani e i laureati.

Oltre alle tradizionali tre domande comunemente utilizzate a livello internazionale per monitorare l’alfabetismo scientifico, nella rilevazione del 2018 l’Osservatorio ha voluto introdurre due nuovi quesiti: ha chiesto ai cittadini se è vero che l’azoto è l’elemento più diffuso nell’aria e se il bit è l’unità di misura della quantità di informazione. La quota di italiani che risponde correttamente alla prima domanda è del 56,5% mentre quella di chi risponde correttamente alla seconda è pari solo al 47,5%. Per la domanda relativa al bit si registra la quota più alta di non risposte tra tutte e cinque le domande somministrate: più di un italiano su cinque preferisce infatti non rispondere, e questa quota supera il 50% tra i più anziani e i meno istruiti.

Quali considerazioni possiamo allora trarre da questi primi dati? L’analisi di oltre 10 anni di rilevazioni ci permettono di affermare che le conoscenze scientifiche aumentano all’aumentare del livello d’istruzione e tra coloro che si espongono più frequentemente a temi scientifico-tecnologici nei media, mentre raggiungono livelli più bassi tra i cittadini più anziani. L’andamento dell’alfabetismo scientifico in Italia permette in prima battuta di smentire quello stereotipo e quel giudizio, spesso presente nel dibattito pubblico, che vuole gli Italiani “ignoranti” in tema di scienza e tecnologia: se, infatti, permangono rilevanti lacune informative in una quota non trascurabile della popolazione, esse non possono essere attribuite alla scarsa informazione specifica sulla scienza ma, casomai, al più generale livello di istruzione della stessa.

IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA DELLA SCIENZA
In una piccola isola dell’Inghilterra di metà Seicento, nella località di Freshwater, c’è un bambino di nome Robert. Il bambino mostra da subito una curiosità particolare: non riesce a guardare niente senza che quella cosa che sta guardando si trasformi automaticamente in una domanda. Robert è curioso e si interessa di tutto. Crescendo, diventa uno studioso famoso e stimato, tanto da divenire il primo scienziato della storia a essere stipendiato per il lavoro di “sperimentatore” della Royal Society. A Robert Hooke (questo il suo nome completo) dobbiamo, per esempio, il termine “cellula” coniato durante l’osservazione al microscopio delle celle che compongono il sughero.

Fu durante queste sue numerose osservazioni al microscopio che Hooke ebbe l’idea di pubblicare un libro, Micrographia, contenente sessanta immagini di esseri viventi e loro parti, come un pidocchio, una pulce, la testa di una mosca o il pungiglione di un’ape. Il libro, che ebbe uno straordinario successo, ben rappresenta il ruolo centrale che la dimensione visuale ha svolto sin dalle origini della scienza moderna. Un ruolo che non si è mai sopito, tanto che recentemente una fotografa scientifica, Felice Frenkel, ha pubblicato un libro (Picturing Science and Engineering) in cui, oltre a offrire una guida per la realizzazione di immagini scientifiche accurate e sorprendentemente utili per le pubblicazioni specialistiche (Elsevier, uno dei più importanti gruppi editoriali di pubblicazioni scientifiche ricorda agli scienziati che vogliono pubblicare sulle sue riviste che “un’immagine vale mille parole”), spiega come l’uso di “belle” immagini aiuti a rendere la scienza più accessibile ai non specialisti.

Il crescente ruolo assunto dalle immagini si può riscontrare anche dai numerosi social media che sono sorti negli ultimi anni per permettere la condivisione di fotografie, disegni o altro materiale visual: si pensi al sempre più frequente utilizzo di social come Instagram, ma anche i più datati Pinterest o Flickr. Il livello di alfabetizzazione scientifica misurato attraverso le domande standardizzate sopra ricordate sembra invece trascurare il ruolo della componente visuale, che costituisce ormai un elemento chiave nella presentazione e diffusione di dati e temi scientifici.

Il 2019 si avvia a diventare, senza dubbio, l’anno delle immagini “impossibili”: dopo quella di un buco nero dello scorso aprile, a luglio un team di ricercatori dell’Università di Glasgow è riuscito a immortalare l’immagine di due particelle che si scambiano informazioni a distanza: si tratta del fenomeno noto come entanglement quantistico (o correlazione quantistica in italiano). Sono immagini importantissime per gli scienziati, ma che in poco tempo hanno occupato anche le pagine dei principali giornali di tutto il mondo.

Dal 2014, l’Osservatorio Scienza e Società ha quindi voluto rilevare anche il cosiddetto «», sottoponendo agli italiani intervistati una serie di immagini scientifiche diventate “storiche” ed emblematiche. Le immagini mostrate nella prima rilevazione erano: la rappresentazione grafica della struttura del DNA, presentata da Watson e Crick in un articolo pubblicato su Nature il 25 aprile del 1953; una delle fotografie scattate il 16 luglio 1945 durante il test nucleare Trinity, compiuto nell’ambito del progetto Manhattan e la fotografia della Terra realizzata la vigilia di Natale del 1968 durante la missione Apollo 8. Nel 2015 l’Osservatorio ha riproposto la prima rappresentazione grafica della struttura del DNA, ma ha sostituito le altre due immagini con lo schema dell’atomo di idrogeno, contenuto nella lezione tenuta da Niels Bohr in occasione del ricevimento del premio Nobel nel 1922 e la rappresentazione della fecondazione in vitro mediante iniezione intracitoplasmatica. Nel 2016 è stata riproposta quest’ultima immagine, oltre alla fotografia della superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko scattata durante la missione Rosetta, a cui sono state aggiunte tre immagini di scienziate e scienziati: Marie CurieAlbert Einstein e Fabiola Gianotti.

Dal 2017, però, l’Osservatorio ha testato due modi diversi di porre le domande per rilevare l’alfabetismo scientifico visuale. Come negli anni precedenti, ha proposto agli intervistati le immagini della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, della Tavola periodica degli elementi, di Marie Curie e di Louis Pasteur, chiedendo di scegliere chi o che cosa rappresentassero tra tre possibilità indicate, ma ha anche testato la capacità di riconoscere le immagini della prima rappresentazione grafica della struttura del DNA e della fecondazione in vitro, sottoponendo agli intervistati anziché tre possibilità tra cui scegliere, tre immagini tra cui farlo.

Nel corso dell’ultima indagine condotta dall’Osservatorio Scienza e Società di Observa, sono state riproposte entrambe le tecniche di somministrazione, proponendo nuovamente agli intervistati una delle fotografie scattate durante il Trinity test e l’immagine della Tavola periodica degli elementi. Come nel 2017, più dell’80% degli intervistati riconosce la Tavola periodica degli elementi, nonostante alcuni elementi dell’immagine siano stati occultati, e la stessa percentuale sa che la fotografia mostrata è una di quelle scattate il 16 luglio 1945 durante il primo test nucleare.

GLI SCIENZIATI PIÙ FAMOSI SONO GLI “SCIENZIATI VISIBILI”
Un saggio di Rae Goodell del 1977 introdusse la definizione di «scienziati visibili» (visible scientists), ovvero personalità della ricerca soggette a una forte esposizione mediatica. Molti scienziati e molte scienziate, grazie alla loro partecipazione a eventi pubblici o alla loro presenza sui media, sono diventate delle vere e proprie icone pop.

Per queste ragioni, nel 2018, è stato chiesto agli italiani di riconoscere personalità come Margherita Hack e Stephen Hawking tra tre nomi possibili, e di riconoscere Carlo Rubbia e Fabiola Gianotti fra tre fotografie mostrate. Più di quattro italiani su cinque non confondono i volti di Margherita Hack né con quella di Marie Curie né con quella di Rosalind Franklin e solo il 6% crede che l’immagine mostrata sia quella di Craig Venter anziché quella di Stephen Hawking. La fotografia dello scienziato britannico viene riconosciuta dalla stessa quota di cittadini che in passato aveva riconosciuto la fotografia di Albert Einstein, indubbiamente la celebrità scientifica per eccellenza del Novecento. Meno noti al grande pubblico, invece, risultano i volti di Carlo Rubbia e Fabiola Gianotti: solo poco più del 48% dei cittadini riesce a individuare le loro fotografie tra quelle mostrate.

L’Osservatorio ha elencato anche i nomi di alcuni scienziati e ha cercato di capire se gli italiani li conoscono e/o sono interessati al loro lavoro. In Italia, una superstar internazionale della scienza come Craig Venter e l’astrofisica Marica Branchesi, inserita dalla rivista Time tra le cento personalità più influenti, sono conosciuti da meno di tre cittadini su dieci, ma due intervistati su cinque sanno chi sono Fabiola Giannotti e Ilaria Capua, e a più della metà sono noti Carlo Rubbia e Stephen Hawking. Tra gli italiani che conoscono lo scienziato recentemente scomparso, il 24,5% ha letto o visto sue interviste e il 10% ha dichiarato di essere interessato/a tutto ciò che lo riguarda.

La conoscenza degli «scienziati visibili» indicati cresce all’aumentare del titolo di studio, del livello di alfabetismo scientifico e di esposizione alla scienza nei media, mentre ha andamenti diversi per età a seconda della personalità proposta. È interessante notare che tra i più giovani la conoscenza di Stephen Hawking arriva all’85%, mentre quella di Carlo Rubbia si ferma al 32% ed è inferiore di 40 punti percentuali alla conoscenza dichiarata dai più anziani.

Alla luce di questi risultati, la pervasività delle immagini nella cultura contemporanea si offre dunque come un’ampia opportunità da esplorare per la comunicazione pubblica della scienza.

Andrea Rubin

10/11/2019 www.rivistamicron.it

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