Sciopero 1984. La sconfitta dei minatori inglesi
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U.K. miners’ strikes rappresentò la lotta dell’Unione Nazionale dei Minatori di Arthur Scargill, una lotta che voleva impedire la chiusura di venti giacimenti carboniferi del Regno Unito e che avrebbe portato il licenziamento di circa 20000 lavoratori.
Lo sciopero ebbe inizio il 6 marzo 1984. Durò oltre un anno in seguito all’annuncio della chiusura della miniera di carbone di Cortonwood nello Yorkshire per contrastare il disegno del Primo Ministro Margareth Thatcher di diminuire il numero e la produzione dei pozzi di estrazione del carbone.
Nell’ambito della sua politica industriale e sindacale la Thatcher mise all’opera un programma ben definito: 1) un piano energetico nazionale per diminuire l’uso del carbone, troppo costoso da estrarre e fuori mercato. 2) adozione di norme per limitare il diritto di sciopero, soprattutto riguardo alla pratica “illegale” dei picchetti.
Il 18 giugno 1984, nello Yorkshire scozzese, ebbe luogo quella che passerà alla storia come “la battaglia di Olgreave” l’evento più drammatico del lungo sciopero in corso. Quel giorno l’immagine che gli inglesi avevano dei loro governanti cambiò improvvisamente. Fu una battaglia, una guerra mossa dal governo contro il suo stesso popolo.
Un sacco di uomini si erano tolti le magliette e le avevano messe nelle loro tasche. E certamente questo non è il genere di cose che faresti quando stai organizzando un attacco alle forze di polizia seriamente equipaggiata con caschi, scudi e manganelli.
Non affronti una polizia come quella con null’altro che un paio di jeans e scarpe da ginnastica. Perciò categoricamente affermo che non ci fu la minima intenzione da parte dei minatori di attaccare la polizia.Io stessa, con molti altri, fui costretta a scappare e a cercare riparo.
(Da una testimonianza di Lesley Boulton (attivista e partecipante della manifestazione)
Circa 5000 minatori erano giunti fin lì con lo scopo di interrompere la fornitura di carbone raffinato alla cockerie, quando migliaia di poliziotti confluirono da ogni parte della nazione. La cavalleria fu spedita al galoppo e fece irruzione
nel luogo del raduno. Una macelleria umana. In pieno assetto militare picchiò selvaggiamente i minatori e proseguì l’opera devastando case e villaggi.
Naturalmente la TV nazionale mandò in onda le immagini dei lavoratori impegnati a difendersi e non la carica della polizia, invertendo i violenti della situazione.
Una grande catena di solidarietà alla lotta dei minatori inglesi giunse all’inizio dai dirigenti dei sindacati ferrovieri, trasportatori, scaricatori, siderurgici, fino a estendersi a sindacati di altri paesi tra cui Francia, Belgio, Svizzera, Germania e Polonia, a quello dei giovani del movimento operaio e a diverse organizzazioni che collegarono le loro battaglie a quelle dei minatori.
Le donne svolsero un ruolo molto importante perché non si adoperarono soltanto per organizzare la raccolta fondi e la distribuzione di viveri, ma convinsero molti indecisi a partecipare alla lotta.
E quando Scargill ordinò di marciare verso le miniere lo fecero tutti, o quasi. Per l’ultima volta. Il governo dei conservatori voleva la loro resa. Negli occhi di ognuno di loro il dramma di un addio, di un mondo che sarebbe finito per sempre.
E l’immagine del padre di Billy Elliot, personaggio di un film di Stephen Daldry, in cui Billy, ragazzino di undici anni sogna di diventare ballerino classico. Questo suo grande sogno è in contrasto con la fatidica realtà, quando si rivolge al padre, minatore in sciopero. manifestando la sua paura in quell’ultima marcia e la risposta rivela tutta l’amarezza di una sconfitta sindacale e politica, ma soprattutto perché quei fatti cambieranno il cammino del paese. “non ti preoccupare, non sei il solo, siamo tutti spaventati.”
Il sindacato dei minatori inglesi guidato da King Arthur Scargill, capo carismatico e di ispirazione marxista decise la fine di uno sciopero durato un anno, con 98 voti contro 91.
Quando la Thatcher mise mano alla parte del suo programma che riguardava la lotta ai sindacati nominò il manager americano di origini scozzesi McGregor che aveva già guidato la società britannica per l’acciaio, una garanzia per guidare il piano energetico nazionale che riducesse l’utilizzo del carbone con conseguente taglio occupazionale.
Fu proprio McGregor ad annunciare in quel fatidico mese di marzo 1984 la chiusura dei primi venti pozzi con il taglio di 20000 unità lavorative.
La reazione dei lavoratori fu immediata e compatta. Da una parte 165000 lavoratori contro 60000 unità di forze di polizia in assetto di guerra.
Tutto questo lo troviamo nel libro GB 1984 di David Peace che racconta queste cinquantatre settimane di guerra civile con picchetti, arresti, violenze e intimidazioni, famiglie disperate, crumiri, corruttori e corrotti.
A combattere questa battaglia che dilaniava interamente il paese, ci furono uomini come Terry Winters, braccio destro del dispotico leader del sindacato che doveva farsi carico del destino di migliaia di lavoratori, come l’ebreo, un mediatore senza scrupoli deciso a spezzare lo sciopero con ogni mezzo e che reclutava neonazisti da sguinzagliare contro i picchettatori, che manipolava gli organi di informazione e faceva in modo che i cameramen della televisione inquadrassero soltanto il lancio di sassi da parte dei minatori e non le cariche violente e le manganellate della polizia.
La volontà di vincere ad ogni costo della classe dominante, la violenza delle forze dell’ordine, l’incapacità degli uomini del sindacato sempre più apparato. Una vera e cruda rappresentazione della realtà dove Margareth Thatcher comparve una sola volta con nome e cognome è sempre, a volte, “La Lady di ferro” o “La Troia di Ferro” per i minatori. Una rappresentazione dove non c’era il tempo di tirare il fiato perché tra le due parti, come nella realtà, c’erano delatori, ruffiani, spie che stavano dentro questo ingranaggio dove si rischiava di rimanere stritolati.
Il libro di David Peace affonda i tentacoli nella realtà di un paese che sta pagando le conseguenze di quei fatti ancora adesso e la visione di quelle famiglie costrette a vivere con gli spiccioli distribuiti dal sindacato mentre il Ministero della Sanità aveva tagliato i sussidi e allora ecco che la fiction fotocopia il vero quando si racconta di famiglie rimaste senza un mobile in casa a causa del pignoramento, di bambini che muoiono sotto le scorie mentre setacciano un po’ di carbone per ricavare qualcosa, donne che litigano per un pezzo di salsiccia o che rovistano tra i cumuli di vestiti usati.
E sono realtà, pagina dopo pagina, le violenze della polizia a cavallo, manganellate, calci e pugni, arresti immotivati, lavoratori barbaramente feriti e lasciati a terra senza nessun soccorso.
La terza guerra civile della Gran Bretagna. Una sconfitta che sa di fiele. Una pagina nera nel mondo del lavoro con una nazione che volta le spalle. Un grosso focolaio per l’Europa intera sotto la brutalizzazione di quel mostro senza testa chiamato neoliberismo. Segnali terribili di un tempo che cominciò a cambiare in peggio.
Giorgio Bona
Scrittore. Collaboratore redazione di Lavoro e Salute
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