Scisciano chiama Riace
Scisciano, paesino dell’entroterra napoletano ha realizzato una piccola grande esperienza che riconcilia col mondo. Due associazioni (Ya Basta e Nuova Koiné) un gruppo di persone giovani e socialmente impegnate che non confinano la propria attività nelle pratiche preziose di militanza ma le restituiscono al Paese anche attraverso momenti ludici e di incontro che tentano di coinvolgere la cittadinanza. Il Comune, il progetto Sai (Sistema accoglienza e integrazione), gli operatori delle associazioni hanno realizzato la nona edizione del “Sanacore folk festival” che si è tenuto dall’8 al 10 luglio. Determinante il ruolo di organizzatore dell’associazione “Restiamo umani”. Il lavoro di accoglienza, svolto soprattutto nelle famiglie, la costruzione di spazi di reale integrazione, si sono riversati in piazza, con concerti, dibattiti, momenti di festa e di mescolanza non solo fra culture ma fra generazioni. Una parte viva del paese ha potuto incontrare persone concretamente impegnate nella solidarietà verso i migranti come gli esponenti della ong spagnola Open Arms, che dal 2016 hanno salvato da morte certa o dal ritorno nei lager libici, decine di migliaia di uomini, donne e minori e poi ascoltare gruppi musicali come i Murga e i Pulcinella, la cui storia affonda negli anni Settanta.
L’ospite d’onore del festival è stato però Domenico (Mimmo) Lucano con cui la simbiosi è fortissima. La vicenda del comune calabrese, del suo sindaco e del tentativo – per ora solo interrotto – di provare a costruire un’esperienza di convivenza e di condivisione unica in Europa e quella di Scisciano, dove i ragazzi delle associazioni hanno ridato, insieme alle donne, uomini e, soprattutto, ragazzi, richiedenti asilo, vitalità ed energia al proprio paese, ormai da oltre 12 anni. «Questo è il festival dei mondi e delle culture subalterne che celebra l’alterità in ogni sua forma. A Scisciano stiamo sperimentando un altro mondo possibile dove la parola noi ha sostituito la parola io» così ha sintetizzato Francesco Evangelista, volontario e attivista dei progetti d’integrazione che vengono attuati nella piccola e dinamica cittadina nolana. Lucano si è sentito immediatamente a casa in questa dimensione, era la sua, era quella frutto di contaminazioni orizzontali, di un mondo in cui il voi e il noi spariscono di fronte ad un’idea priva di confini dell’umanità.
Il lungo confronto con quest’uomo divenuto, suo malgrado, simbolo della disobbedienza al potere, al cinismo della burocrazia ha colpito molto la folla radunata, nei locali di una scuola elementare, ad ascoltarlo. Un incontro profondamente politico anche se i termini utilizzati (umanità e disumanità, amore, occhi felici, sogno) sembrano attenere ad altre dimensioni. E a chi ancora domanda del “modello Riace”, “Mimì capatosta” risponde che il modello semplicemente non esiste e non è mai esistito. «Abbiamo fatto quello che c’era da fare quando arrivò una barca al largo dello Jonio, nei pressi delle nostre coste – ha raccontato ancora – Furono accolti dalla Caritas, ad aiutarli c’era solo un vescovo, monsignor Bregantini. Un tempo prete operaio giunto da Trento. Io andai a dare una mano. Glielo dissi che venivo dalla sinistra extraparlamentare, che partivamo da mondi diversi. Ma mentre la Chiesa ufficiale si girava dall’altra parte lui si prodigava per aiutare i fuggitivi e ci impegnammo fianco a fianco. Non ci siamo mai persi e quando è cominciato l’accanimento giudiziario nei miei confronti è tornato a testimoniare a mia difesa, a dire che si condannava me per “associazione a delinquere” lui era stato ed era orgogliosamente mio complice».
Le vicende giudiziarie di Mimmo, condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di fatto per “solidarietà”, hanno fatto inevitabilmente e continuamente capolino nel suo racconto forte, orgoglioso, di persona che non si arrende. È emerso quando si è parlato di Minniti e degli accordi da lui firmati con il regime libico, condannando ai lager coloro che tentavano di fuggire con l’appoggio anche economico italiano, perché è con quel governo che sono iniziate le ispezioni ai progetti di accoglienza, allora celebrati in tutto il mondo come esempio. L’ex sindaco ha sviscerato le tante contraddizioni contenute nei capi di accusa con cui lo si è condannato: le prefetture gli chiedevano di intervenire e, dopo che lo aveva fatto, veniva accusato di non aver rispettato i vincoli burocratici imposti dai progetti di accoglienza: «Sono colpevole – ha rivendicato – Sono colpevole perché ho detto no a chi mi chiedeva, dopo solo sei mesi, di mandare via le persone accolte lasciandole in mezzo ad una strada, sono colpevole perché ho rilasciato carte d’identità pagando di mia tasca le spese, non potevano stare senza documenti. Sono colpevole di aver cercato di trasformare anche quello che in Calabria è un business di solito in mano ad organizzazioni mafiose in un progetto eco compatibile e solidale, affidando direttamente la raccolta dei rifiuti a persone che giravano per i vicoli con gli asini. Costava infinitamente di meno e ridava umanità al mio Paese. Sono colpevole di essermi opposto alle speculazioni edilizie che si volevano realizzare sulla parte marina del nostro paese perché il bene o è collettivo o non è».
Le notizie giunte dal processo che hanno portato alla riapertura dell’istruttoria – nell’emettere la condanna in prima istanza non si è tenuto conto di alcune delle invasive intercettazioni subite dall’allora sindaco – sembrano aprire a nuovi scenari: «Molte cose devono ancora uscire – ha ripetuto più volte Lucano – Lo stesso giudice che mi ha condannato è sembrato, durante le udienze, partire da una visione molto diversa da quelli che risultavano essere i capi di imputazione a me ascritti. Anzi non mancava mai di rilevare come ogni accusa cozzava col fatto che io né ho tratto profitto personale dai progetti di accoglienza né, tantomeno, ho fatto ricadere spese sul bilancio comunale». Ma Mimmo vola alto e sembra volersi allontanare da un mondo di accuse fatto proprio da chi ha eretto la logica del rifiuto, della disumanizzazione, del razzismo e dei porti chiusi a chi fugge, a propria identità. Rilancia, sentendo forte la solidarietà che gli è giunta da Scisciano e che continua ad arrivargli da tutta Italia, ma non solo, la volontà carica di utopie di voler realizzare un mondo diverso, si considera ancora parte attiva dei tanti e delle tante che non hanno rinunciato a cambiare il mondo.
La Calabria che racconta, quella dei piccoli borghi che potrebbero ritrovare vita, prospettiva di sviluppo, nuova linfa vitale e crescita demografica sono in fondo la metafora del cambiamento possibile. Non risponde con parole all’eterna domanda sulla possibilità di modificare lo stato di cose esistente, prova ancora a farlo, con ogni mezzo, contaminando e lasciandosi contaminare da realtà vive come quella di Scisciano. E della sua vicenda personale parla esplicitando un concetto semplice e provocatorio: “mi dichiaro colpevole”. Ma i reati di cui si dichiara responsabile sono quelli che ognuna/o di noi, di quel vasto mondo democratico, antifascista, internazionalista e solidale, commette o commetterebbe ogni giorno. L’augurio rivolto a Mimmo Lucano da Scisciano e non solo è quello di vederlo un giorno “assolto per i reati di cui è colpevole”. Una contraddizione? No, sarebbe solo il segnale che questo Paese inizia davvero a cambiare nel profondo.
Stefano Galieni
13/7/2022 https://transform-italia.it
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