Scuola e università: fare sindacato nell’emergenza e oltre l’emergenza
[qui in pdf] All’inizio di questa settimana avevamo sottolineato da una parte il profilo dell’emergenza sanitaria in corso, dall’altra la necessità di non metter l’attività sindacale in quarantena.
La diffusione dell’epidemia ha portato il governo, nel solito modo confuso e pasticciato, prima con il DPCM del 4 marzo a sospendere l’attività didattica in tutte le scuole e le università. Poi, con tempistiche e modalità ancor più confuse e pasticciate, con il DPCM del 8 marzo ad istituire una grande area arancione di attenzione nel nord Italia (Lombardia e 14 province). Il nuovo decreto cancella anche i due precedenti del 1 e del 4 marzo, ricomprendendone largamente le misure nel nuovo testo.
Scuola e università non chiudono, sia nelle zone di attenzione sia nel resto del paese, ma sospendono le proprie attività didattiche (le università oltretutto non tutte, essendo escluse quelle di dottorato e quelle relative ai corsi sanitari post-laurea). Secondo il DPCM dell’8 marzo, nelle zone di attenzione sino al 3 aprile, nel resto di Italia sino al 15 marzo 2020.
Sorge spontaneo chiedersi perché, almeno nelle zone arancione di attenzione, per scuole e università (come per tutti gli uffici pubblici non coinvolti nella gestione dell’emergenza) non sia stato disposto un funzionamento essenziale: oltre alle disposizioni sul lavoro agile, si darebbe così facoltà ed indicazione alle relative direzioni di congedare straordinariamente il personale non indispensabile (totalmente o parzialmente, prevedendo anche riduzioni delle giornate settimanali di lavoro ed opportune turnazioni), permettendo così di ridurre ulteriormente i movimenti sul territorio [mentre si è invece raccomandato ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere nelle grande zona “di attenzione” (art 1, comma 1, lettera e) e “favorire” nel resto d’Italia (art 2, comma 1, lettera s) la fruizioni di congedi o ferie, scaricando così sul lavoro il costo dell’emergenza].
La logica generale del contenimento dell’epidemia rende possibile l’estensione delle zone di attenzione anche ad altri territori e probabile il proseguimento di alcune di queste misure (come la sospensione delle attività di scuola e università) anche oltre i tempi ora previsti dal DPCM (3 aprile per le zone di attenzione, 15 marzo per il resto d’Italia). Forse fino a fine marzo, forse fino alla pausa pasquale, forse [in estrema ratio] anche oltre. La dinamica dell’epidemia nei prossimi giorni dovrebbe permettere di capire meglio le prossime evoluzioni.
Come sindacato diventa allora fondamentale, anche nella gestione dell’emergenza, agire per la difesa dei diritti del lavoro e di quelli universali. Come abbiamo sottolineato, tutte le dinamiche emergenziali possono infatti esser occasione di attacco ai diritti, di ulteriore comando sull’organizzazione del lavoro, di intensificazione dei ritmi e compressione dei salari. Particolarmente, in una stagione come l’attuale, c’è il pericolo che proprio l’incipiente pandemia possa innescare un’estesa recessione mondiale e che il prezzo della crisi sia pagato ancora una volta solo dalle lavoratrici e dai lavoratori, che hanno già pagato un prezzo altissimo per le politiche imposte dall’UE, nel nome di una crisi prodotta e sostenuta nel nome del capitale e intensificata a partire dal 2008/09.
Sia il Ministero dell’Istruzione (MI) sia il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), infatti, hanno gestito questa emergenza rilanciando politiche antisindacali. Il governo ha infatti tracciato nel DPCM del 4 marzo (e poi confermato in quello dell’8 marzo) un ruolo determinante dei DS nella didattica a distanza (i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza), facendo sparire nella versione finale due cruciali incisi presenti nelle bozze: sentito il collegio dei docenti e ove possibile. [Anche se poi la Nota congiunta del 6 marzo del Dipartimento Risorse Umane e Sistema Educativo ha più prosaicamente reintrodotto la dizione in tutte le situazioni ove ciò sia possibile, oltre che più in generale la raccomandazione di coinvolgere RSU e l’intera comunicante educante, senza prevedere poteri di indirizzo dei DS sulle specifiche attività didattiche].
La ministra Azzolina ha poi imposto la gestione della mobilità per il prossimo anno scolastico con un’ordinanza unilaterale, cancellando d’imperio l’usuale contrattazione prevista sul tema per imporre il vincolo di permanenza per cinque anni nelle istituzioni scolastiche, fortissimamente voluto per i neoassunti (prendendo a schiaffi tutte le organizzazioni sindacali, oggi nell’emergenza come nelle settimane precedenti sulla stabilizzazione del precariato).
Il ministro Manfredi ha ribadito la logica dell’autonomia rafforzata degli atenei nella circolare di accompagnamento al DPCM del 4 marzo aprendo ad una gestione diversificata dell’emergenza sia in relazione al personale sia in relazione ai servizi offerti, in piena continuità con lo scompaginamento in corso da anni nel sistema universitario (coerentemente con l’improvvisa esclusione della stabilizzazione prevista dalla Madia in tutte le strutture di ricerca, introdotta nella versione definitiva del decreto di sdoppiamento del MIUR).
Un atteggiamento antisindacale che si somma a quello della Commissione di Garanzia, che come abbiamo sottolineato con un atto grave ha intimato la sospensione degli scioperi sino al 31 marzo anche al di là delle strutture coinvolte nell’emergenza (come quelle sanitarie): se è comprensibile la necessità di garantire il pieno funzionamento di ospedali e servizi di emergenza, se è comprensibile limitare manifestazioni e assembramenti, non si vede come possa esser sospeso il diritto costituzionale di sciopero nei settori privati e in quelli pubblici non coinvolti nell’emergenza, se non in una logica autoritaria di soffocamento delle diverse voci collettive e, al fondo, di sostanziale subordinazione agli interessi dell’impresa.
Proprio in questa fase di emergenza, è quindi fondamentale che tutte le strutture sindacali non deflettano dal loro ruolo, difendendo l’autonomia del lavoro e delle sue organizzazioni sia dal padronato sia dal governo. Nello specifico, è quindi importante muoversi con indicazioni chiare e azioni conseguenti, tenendo ben presente che una situazione di emergenza non sospende né il contratto nazionale né i diritti di lavoratori e lavoratrici.
NELLA SCUOLA E NELL’UNIVERSITA’. Nonostante le notevoli diversità di settore, alcune condizioni sono trasversali a tutti i settori della conoscenza, ed è quindi importante precisare alcuni elementi generali.
- Garantire i precari temporanei, negli appalti e nei servizi integrativi. Sia nella scuola sia nell’università in questi anni si sono diffuse diverse forme di precariato strutturale e temporaneo. Nella scuola per i supplenti temporanei, docenti e personale ATA, è previsto l’istituto della conferma e/o della proroga (secondo le specifiche indicate nelle Linee generali unitarie), ma ci sono anche ex LSU, educatori di sostegno e per attività extracurriculari, servizi assistenza in mensa, operatori di mensa e quant’altro. Nelle università è oramai significativa l’impiego di queste figure in vigilanza, portinerie, biblioteche, pulizie, servizi informatici e specifiche attività amministrative, ecc. L’azione sindacale deve quindi esser in primo luogo diretta a proteggere questi/e lavoratori e lavoratrici, contrattualmente e socialmente più fragili, cercando di confermare in ogni caso la loro permanenza in servizio (senza nessuna messa in libertà o licenziamento, come sta effettivamente avvenendo ad esempio in alcuni atenei) anche a fronte della sospensione didattica e in ogni caso ogni possibile copertura dei loro stipendi.
- Garantire le stesse condizioni salariali. La situazione d’emergenza, le flessibilità e il lavoro agile (poi articolati nella scuola e nell’università) sono adottati come condizione temporanea e straordinaria: non devono pertanto alterare il trattamento economico e retributivo in godimento, come i diritti riconosciuti (a solo titolo di esempio, il buono mensa), rappresentando una sospensione delle attività imposta da cause di forza maggiore o una mera variazione del luogo di lavoro. In questo quadro, il tempo di malattia o quarantena dovuta al COVID 19 è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e la trattenuta prevista per le assenze di malattia fino a 10 giorni non si applica in questo caso.
- Garantire il rinvio dei bandi di concorso e di tutte le scadenze che interessano il settore. Proprio le prossime settimane sono interessate da tutte una serie di impegni e scadenze che riguardano le diverse articolazioni e componenti dell’istruzione e della ricerca: l’avvio delle procedure di mobilità per il prossimo anno scolastico, le selezioni per i corsi TFA di sostegno (3/4 aprile), la definizione e l’emanazione dei bandi di concorso per i docenti (a partire da quello straordinario per i precari storici), ecc; le amministrazioni sono inoltre tenute a produrre una serie di documenti e relazioni (performance, trasparenza, anticorruzione, trasmissione flussi all’INPS, certificazioni fiscali, ecc); infine, nelle università gli studenti sono soggetti ad una serie di scadenze in relazione al diritto allo studio ed i relativi benefici. E’ quindi necessario prevedere il relativo spostamento di tutti questi impegni e queste scadenze, evitando che la situazione di emergenza in corso determini ingolfamenti e ulteriori danni ad alcuni soggetti, in particolare quelli più deboli.
NELLA SCUOLA. Dopo alcune titubanze e confusioni, sono uscite alcune indicazioni unitarie delle principali organizzazioni sindacali, a cui si rimanda per diversi dettagli. Ancora parzialmente ambigue, anche perché in alcuni punti tacitamente ma evidentemente in contrasto con quanto prevede il DPCM del 4 marzo (e confermato nel DPCM dell’8 marzo). Rispetto alla situazione anarchica che si sta sviluppando, in cui ogni Dirigente Scolastico è da una parte lasciato solo e dall’altra incentivato dal Ministero ha muoversi liberamente, è comunque bene precisare alcuni elementi.
- Quotidianamente in servizio sono DS e personale ATA. Le scuole infatti rimangono aperte (eccetto che nelle zone rosse), in primo luogo per la necessaria continuità amministrativa (pratiche e procedure che non posso esser sospese). La logica di questa emergenza sanitaria, in ogni caso, suggerisce l’opportunità di ridurre i contatti ed i rischi di diffusione del virus, limitando le attività all’indispensabile (e quindi i movimenti ed i contatti del personale). A questo scopo, è quindi opportuno chiedere flessibilità per tutti i lavoratori e le lavoratrici, a partire dagli orari (facilitando l’assenza nei mezzi pubblici in orari di punta come la gestione delle problematiche familiari in questa situazione di crisi), con la definizione di apposte turnazioni e l’adozione di forme di lavoro agile, secondo le modalità semplificate previste dal DPCM del 4 marzo (confermate in quello dell’8 marzo). Modalità e strumenti che, proprio secondo il DPCM, possono valere per tutto il personale e che devono esser fatti valere prioritariamente per chi ha figli minori, utilizza i messi pubblici per raggiungere la sede di lavoro, ha patologie pregresse o è immunodepresso, ha familiari da assistere o anche solo è anziano (condizione a rischio come esplicitamente prevista dall’art. 2 lett. B, tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita: di solito si definisce l’anzianità a partire dai 65 anni, ma in una logica prudenziale sarebbe opportuno porre oggi attenzione dai 60 anni).
- Gli assistenti (Aec e assistenti specialistici), che affiancano gli insegnanti di sostegno per l’integrazione delle persone con disabilità, sono le figure più colpite in questa fase. Essendo il servizio esternalizzato, queste lavoratrici e lavoratori sono stati semplicemente mandati a casa senza stipendio per tutto il periodo della sospensione, ed in alcuni casi (gli Aec di Roma ad esempio) reimpiegati per l’assistenza domiciliare, costringendoli a svolgere mansioni completamente diverse da quelle normalmente svolte e mettendoli a rischio di contagio. Il sindacato deve chiedere fermamente che le retribuzioni degli assistenti siano tutelate, e cominciare da subito una battaglia per la completa re-internalizzazione del servizio.
- Il personale docente non è tenuto a presentarsi nel suo orario di servizio (riducendo così la mobilità sul territorio), se non per riunioni e attività non didattiche (programmazione, consigli, dipartimenti, ecc) che devono comunque esser previste nel relativo monte orario complessivo e convocate secondo le usuali prassi normative e contrattuali (con tempi specifici anche per le convocazioni d’urgenza). E che, ovviamente, devono potersi svolgersi rispettando rigorosamente le indicazioni sanitarie del DPCM (a partire dalla distanza di un metro tra i partecipanti). Da questo punto di vista, sono da considerarsi illegittime e devono esser contestate tutte le convocazioni quotidiane o nelle proprie ore di servizio presso le strutture scolastiche, in funzione dell’erogazione della didattica a distanza o, come in alcuni casi, per il semplice presidio dell’istituzione.
- La didattica a distanza. Il DPCM prevede l’indicazione di istituire in tutte le scuole forme di didattica a distanza. È importante che sia chiesto con forza al DS una condivisione con le RSU ed il pieno rispetto dell’autonomia e della libertà di insegnamento dei docenti. La didattica a distanza, in ogni caso, può esser attivata in questo periodo di emergenza solo ed esclusivamente come strumento temporaneo e straordinario, con una consapevolezza pubblica della sua parzialità (comportando evidenti limitazioni sia allo sviluppo di una comunità educante nel suo complesso, sia in particolare ai fondamentali processi di apprendimento cooperativo che caratterizzano la scuola). È importante inoltre che nella loro programmazione e attivazione, siano tenute prioritariamente in considerazione le diseguaglianze nell’accesso e nella fruibilità (per condizioni sociali, famigliari e personali).
NELLE UNIVERSITA’. Dopo uno sbandamento iniziale, la FLC è uscita con alcune linee guida, rivolte a tutte le componenti del settore (pta, policlinici, docenti, studenti, ecc), a cui si rimanda per diversi dettagli. Ogni ateneo sta comunque procedendo, nel solco della circolare ministeriale, per li fatti suoi. È quindi importante anche qui precisare alcuni elementi, volti in particolare a garantire una gestione omogenea nei diversi territori e nei diversi atenei.
- Flessibilità nella gestione e riduzione delle attività. Diversamente dalle scuole che sono focalizzate sull’attività educativa, le università rimangono aperte per le attività di ricerca e anche per qualcuna di alta formazione (dottorati, corsi postuniversitari di area sanitaria, ecc), oltre che per la continuità amministrativa (pratiche e procedure che non posso esser sospese). La logica generale di questa emergenza, in ogni caso, suggerisce l’opportunità di ridurre i contatti ed i rischi di diffusione del virus, limitando per tutte le strutture le attività all’indispensabile. Anche qui, è quindi opportuno chiedere flessibilità per tutti i lavoratori e le lavoratrici, a partire dall’orario (facilitando l’assenza nei mezzi pubblici in orari di punta come la gestione delle problematiche familiari in questa situazione di crisi), con la definizione di apposte turnazioni e l’adozione di forme di lavoro agile, secondo le modalità semplificate previste dal DPCM del 4 marzo (confermate in quello dell’8 marzo). Modalità e strumenti che, proprio secondo il DPCM, possono valere per tutto il personale e che devono evitare, come si sta verificando in alcuni atenei, l’imposizione di limiti temporali (con l’obbligo di presenza alcuni giorni alla settimana) o di percentuali fisse sull’organico: le condizioni infatti devono esser valutate per i singoli servizi, tenendo in conto secondo il DPCM le priorità per chi ha figli minori, utilizza i messi pubblici per raggiungere la sede di lavoro, ha patologie pregresse o è immunodepresso, ha familiari da assistere o anche solo è anziano (condizione a rischio come esplicitamente prevista dall’art. 2 lett. B, tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita: di solito si definisce l’anzianità a partire dai 65 anni, ma in una logica prudenziale sarebbe opportuno porre oggi attenzione dai 60 anni).
- Didattica a distanza. Nelle università l’esperienza di didattica a distanza è consolidata, nel quadro di un particolare segmento della formazione superiore che non ha compiti educativi. Come sottolineato nelle prime indicazioni FLC, è comunque importante sottolineare che la didattica a distanza non è la semplice videoregistrazione più o meno in streaming di una lezione universitaria: da una parte serve una specifica progettazione (tenendo conto dell’assenza dell’interazione non verbale e le diversità modalità di relazione di un’ambiente virtuale), dall’altra presenta limiti nei processi di apprendimento (tant’è che nelle esperienze di MOOC e atenei telematici sono accompagnate da attività di tutoraggio e verifica, anche con discussioni in chat collettive per supportare i processi attentivi e attivare quelli di apprendimento relazionale). In questo quadro, considerando una loro temporanea attivazione straordinaria ed emergenziale, anche in forma incompleta, è bene precisare che tutte le attività di didattica a distanza devono esser volontarie (nel quadro della libertà di docenza che caratterizza l’università italiana anche costituzionalmente).
Se questa situazione, come è probabile, si protrarrà ancora a lungo (nelle prossime settimane se non per il prossimo aprile), si arriverà in prossimità della pausa estiva (tenendo anche conto dell’eventuale necessità nella scuola di provare a saturare i tempi rimasti o, nelle università, recuperarli parzialmente prolungando la durata del semestre). In questo quadro, è evidente il rischio che sia stravolta tutta la dinamica rivendicativa di questa stagione.
Non è una conseguenza secondaria di questa emergenza, perché questa stagione vede al centro del confronto sindacale alcune partite determinanti per la tenuta dei servizi universali di istruzione e ricerca pubblica: il rinnovo del contratto (sospeso per quasi dieci anni, rinnovato nel 2018 all’ultimo momento e con aumenti minimi, che ad oggi sarà nuovamente rinnovato in scadenza e sotto i minimi di tenuta stipendiale), sulle risorse del sistema (dopo dieci anni di tagli e contenimenti), sul precariato (che affligge strutturalmente sia la scuola, sia l’università, sia la ricerca), sull’autonomia differenziata (che rischia di smantellare i sistemi nazionali).
Proprio l’emergenza di queste settimane ha comunque reso evidente l’importanza di un sistema di diritti e servizi universali. Ha reso cioè evidente l’importanza del pubblico, di risorse adeguate, di avere personale stabile e preparato, di imprimere cioè una netta inversione di rotta dopo decenni di politiche liberiste.
Nel quadro di una probabile incipiente recessione del paese e forse mondiale, è allora sempre più impellente imporre una diversa gestione della crisi come sindacato e come mondo del lavoro. È necessario cioè rompere con la subordinazione agli interessi delle imprese e con le logiche asfittiche di questo sistema di produzione. In questo quadro, la FLC e tutto il sindacato dovrà saper recuperare la sua autonomia con una politica sindacale davvero indipendente definendo una nuova strategia e rinnovando la propria azione per conquistare investimenti pubblici, salvaguardia dei diritti, aumenti dei salari uguali per tutti e rigettando tutte le controriforme liberiste. L’emergenza di oggi, una sua gestione non schiacciata dalla parte del governo e delle imprese, deve quindi preparare anche una nuova stagione di rivendicazioni e rilancio dell’iniziativa e della conflittualità sindacale.
Luca Scacchi
8/3/2020
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