Se 700mila firme vi sembran poche
Più di 750mila firme in tre settimane a sostegno del referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata sono un risultato che va al di là delle più rosee previsioni, e in ogni caso senza precedenti nella nostra storia istituzionale. Eppure è quel che sta accadendo. Certo vi ha contribuito in maniera massiccia la possibilità, in passato inesistente, di raccogliere le firme online (nel caso specifico 460mila dal 26 luglio al momento in cui scrivo: https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/500020); epperò è significativo che gli altri referendum per cui è in corso la raccolta restino in gran parte fermi, nello stesso arco di tempo, sotto le 10mila, con due soli picchi intorno alle 30mila. Ma anche la raccolta nei banchetti sta procedendo con grande intensità (la sola Cgil ha da tempo superato le 150mila) e producendo un interesse diffuso. Il già avvenuto raggiungimento del numero di firme necessarie per indire il referendum è solo la prima tappa. Per raggiungere l’obiettivo dell’abrogazione della legge Calderoli dovranno seguire il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale e poi, tra il 15 aprile e il 15 giugno dell’anno prossimo, il voto di almeno il 50 per cento di cittadini e cittadine e la prevalenza del sì. La strada è, dunque, lunga e occorre evitare qualunque trionfalismo, ma questo inizio folgorante è di buon auspicio e consente almeno un paio di considerazioni.
Anzitutto. Per la prima volta dopo le elezioni 2022si avvertono, a destra, degli scricchiolii. Limitati ma evidenti. Nel consenso e nella coesione. Quanto al consenso, la narrazione di un Paese in crescita permanente e di servizi sempre più efficienti, segno distintivo di questa prima fase di governo, comincia a mostrare la corda. Si può continuare a ripetere all’infinito che tutto va bene, che le liste d’attesa nella sanità si riducono, che il lavoro aumenta, che la povertà diminuisce e che i problemi sono solo eredità dei governi precedenti, ma il racconto perde di credibilità quando i fatti e l’esperienza di ciascuno dimostrano il contrario. Il boom delle firme contro la prima delle riforme istituzionali tese a “cambiare il Paese” è lì a dimostrarlo. A chi soffre di un impoverimento costante è suonata come un’offesa la prospettiva di una ulteriore esaltazione, insita nell’autonomia differenziata, delle disuguaglianze tra regioni ricche e regioni povere (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/07/19/autonomia-differenziata-e-premierato-unidea-reazionaria-di-paese/), destinata a portare con sé un fenomeno analogo anche all’interno delle regioni ricche (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/07/15/perche-lautonomia-differenziata-nuoce-anche-al-nord/). Di qui la reazione di rigetto che sta attraversando il Paese. Una reazione analoga a quella confluita nella raccolta di ben quattro milioni di firme per i referendum sul lavoro proposti dalla Cgil (https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/quattro-milioni-di-grazie-xvtv2e3w) per ripristinare il diritto alla reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, per cancellare il tetto all’indennizzo in caso di licenziamento, per abrogare le norme che hanno liberalizzato l’utilizzo dei contratti a termine e per estendere la responsabilità alle imprese appaltanti in caso di infortunio. Le “riforme” oggetto di quei referendum non sono state introdotte – lo so bene – dall’attuale maggioranza. Al contrario sono il portato di governi precedenti anche di centrosinistra. Ma, oggi, sono la chiave di volta della concezione del lavoro e dei lavoratori propria della destra (che, non a caso, non sente ragione né sul salario minimo né sulla riduzione del tempo di lavoro: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/07/25/lavorare-meno-fa-bene/). Di fronte a questi segnali di reazione il consenso della destra subisce colpi significativi: permane – come ha dimostrato il voto delle elezioni europee e come confermano, per quel che servono, i sondaggi – ma presenta, appunto, delle incrinature, indicative di una partita che si può riaprire. Ciò, com’è inevitabile, non resta senza effetti sulla coesione della maggioranza, già scossa dalle divaricazioni intervenute nelle elezioni europee e nelle conseguenti scelte per le istituzioni comunitarie. L’imprevisto boom nella raccolta di firme contro l’autonomia differenziata sta suscitando rallentamenti nella attuazione della stessa, prese di distanza da parte di Forza Italia (a livello locale e nazionale), silenzi imbarazzati del partito della premier ed evidente nervosismo nella Lega, rimasta in qualche modo – come si usa dire – con il cerino in mano.
In secondo luogo. La risposta dei cittadini e delle cittadine è anche il frutto di una mobilitazione, inedita negli ultimi anni, di sindacati, forze politiche, associazioni grandi e piccole, comitati: una mobilitazione che mostra, finalmente, un’opposizione intenzionata a fare il suo mestiere, con parole d’ordine chiare e comprensibili. Ciò impone alcuni approfondimenti. Primo. Per perseguire in maniera proficua e convincente un’alternativa alla destra e un’egemonia culturale (prima ancora che politica) servono progetti e scelte chiari eradicali, non tentennamenti, accordi al ribasso, mezze misure. Queste ultime hanno caratterizzato l’attuale stagione politica e permangono, per esempio, nell’atteggiamento delle regioni di centro sinistra (che affiancano alla proposta di abrogazione totale della legge Calderoli quella più moderata di una abrogazione parziale: https://volerelaluna.it/controcanto/2024/07/18/la-legge-sullautonomia-differenziata-e-le-ambiguita-delle-regioni/) ma vanno abbandonate. Secondo. Il coinvolgimento nella campagna referendaria di un ampio arco di forze politiche e sociali è un fatto importante e potenzialmente decisivo per il successo del referendum, ma occorre evitare forzature nella direzione di una sua traduzione meccanica in un progetto di governo del Paese: la campagna referendaria tollera (o meglio, esige) il concorso di forze eterogenee e portatrici di interessi diversi, un progetto di governo richiede, al contrario, un alto livello di omogeneità, oggi inesistente, tra le componenti che lo perseguono. Il successo referendario sarebbe una grande spallata al governo e alla maggioranza, ma la strada per la costruzione di nuovi soggetti politici è altra (pur presentando incroci con questa). Terzo. La mobilitazione per la raccolta delle firme, la diffusione dell’informazione, l’apertura di banchetti nelle piazze e nei mercati, lungi dal diminuire, devono intensificarsi. Le firme raccolte sono già oggi sufficienti per indire il referendum ma l’obiettivo deve essere quello di raddoppiarle e anche più: perché ciò contribuisce ad aumentare il consenso sugli obiettivi, ad acuire le incrinature nella destra, a pesare sulla Corte costituzionale per l’ammissione del referendum (contrastando le pressioni in senso contrario che saranno fortissime e cercheranno in ogni modo di condizionare la Corte), a preparare il percorso di informazione e di convinzione necessario nei prossimi mesi per arrivare in posizione di forza al referendum. In ogni caso è il modo – l’unico modo, oggi – per far tornare protagonisti i cittadini e le cittadini e per rafforzare la democrazia, che può essere consolidata e difesa solo se praticata.
Livio Pepino
7/8/2024 https://volerelaluna.it/
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