Se a scuola “civica” vuol dire “individualista”
Nelle nuove Linee guida dell’Educazione Civica emanate dal Ministero presieduto da Valditara (in settimana è atteso il decreto), fra conferme e novità, manca qualcosa? Grande assente l’insegnamento contro ogni forma di discriminazione e violenza di genere, oltre che della reale tutela dell’ambiente. Per dirla come Gioachino Rossini al giovane compositore che gli proponeva speranzoso degli spartiti: “c’è del nuovo e c’è del bello, ma ciò che è nuovo non è bello, e ciò che è bello non è nuovo”. E soprattutto niente coerenza con lo spirito della Costituzione
La prendo “alla lontana”, come dicono gli anziani dalle mie parti. Perché, come tutti sanno – anche gli anziani delle mie parti – per agire sull’attualità è necessario conoscere da dove si arriva, come condizione che permette alle persone serie – come gli anziani delle mie parti – di capire dove andare.
Nessun esercizio di storia, tantomeno nozionistico, ma una conoscenza di base dei percorsi sui cui inserire proposte. E se tutto questo diventa normale per qualsiasi questione che riguarda le diverse esigenze che interessano la vita delle persone, assume carattere ancora più determinante quando si tratta di tematiche che riguardano la crescita culturale delle giovani generazioni che sono, insieme, le protagoniste del tempo che vivono e le protagoniste della costruzione del futuro. L’importanza sale in misura esponenziale, quando questi temi assumono carattere politico, istituzionale e costituzionale.
Parto dall’inizio. Per inizio intendo la genesi del percorso che porta l’Italia fuori dalla dittatura fascista verso la costruzione di quella democrazia per cui – come gli anziani delle mie parti sanno – non è sufficiente vincere le elezioni per definirsi democratici, ma bisogna avere una storia che permette di realizzare la democrazia.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale e la vittoria della Resistenza sul nazifascismo, il Governo guidato da Ferruccio Parri comincia a tratteggiare la via per portare l’Italia fuori dal declino morale e materiale in cui l’ha lasciata la dittatura. Con decreto luogotenenziale 31 luglio 1945, n. 435, approvato dal Consiglio dei ministri del 12 luglio 1945, viene istituito il Ministero per la Costituente al quale è affidato il compito, come cita l’articolo 2, “di preparare la convocazione dell’Assemblea costituente (…) e di predisporre gli elementi per lo studio della nuova costituzione che dovrà determinare l’aspetto politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e sociale”.
Furono costituiti un Ufficio legislativo, un Ufficio affari generali, una Commissione economica (presieduta dall’economista Giovanni Demaria), una Commissione per gli studi relativi alla riorganizzazione dello Stato (presieduta dal giurista Ugo Forti) e una Commissione per lo studio dei problemi del lavoro (presieduta dall’economista esponente del PCI Antonio Pesenti). Questi organismi mettevano capo al Ministero presieduto da Pietro Nenni, che dichiarò: “nel breve volgere di un anno il Ministero per la Costituente adempì a tutti i compiti ad esso connessi”. Vennero, infatti, preparati diversi documenti che servivano a coadiuvare il lavoro dei costituenti: statistiche elettorali (dal 1848 al 1934), i testi di 11 costituzioni, alcuni esempi di meccanismo elettorale. Vennero prodotte, inoltre, delle Linee guida alla Costituente che affrontavano diverse questioni: il significato della Costituzione, il rapporto fra Assemblea costituente e Costituzione, la questione industriale, agraria e bancaria, il sistema tributario, le autonomie locali e il problema della scuola.
Per entrare nello specifico, riproduco di seguito la parte introduttiva del documento sulla scuola, intitolato appunto “Scuola e Società”.
È ben noto che il carattere e la fisionomia della scuola sono legati alla struttura della società, nella quale la scuola stessa opera. La scuola esprime, infatti, direttamente l’ambiente culturale di una data società, il quale a sua volta è in stretta connessione con le caratteristiche di organizzazione stessa che definiscono la società. E, inoltre, sulla scuola, non si riflettono soltanto gli orientamenti spirituali che la società esprime dal suo seno (e che pertanto della società stessa portano le impronte), ma anche i bisogni e gli interessi più immediati, di tecnica, di lavoro della società stessa.
Potremmo dire che la scuola, è il termometro della situazione culturale della società, ma dobbiamo subito aggiungere che è un termometro «sui generis». Esso infatti non solo misura, ma influisce su ciò che misura. Se infatti la società agisce sulla scuola, è vero d’altra parte anche che la scuola agisce sulla società. Esse influiscono l’una sull’altra in un’interazione che è vitale per l’una e per l’altra. Infatti, se è evidente che la scuola non è concepibile staccata da una società che la alimenti del suo contenuto culturale, dei suoi interessi vivi e concreti, è altrettanto evidente che la società non potrebbe né mantenersi in vita né tanto meno svilupparsi, se attraverso la scuola, non istruisse e educasse i suoi membri. È a causa di questa interazione vitale che il problema della riforma della scuola non può essere disgiunto da quello della riforma della società. Da ciò segue che il problema della scuola difficilmente potrebbe pensarsi come fine a sé stesso.
Se oggi ci poniamo il problema della scuola, lo facciamo perché sentiamo che la vecchia scuola è inadeguata a divenire elemento di sviluppo della nuova società che noi auspichiamo sorga dalle rovine di quella crollata sotto i nostri occhi. Ci troviamo quindi contemporaneamente di fronte ai problemi della nuova società e della nuova scuola (fonte: sito storico Camera dei deputati).
Cosa ci consegna, ancora oggi, questa riflessione del 1945–46? Balzerà subito all’occhio che il testo (salvo l’ultimo capoverso che contestualizza alla perfezione il periodo storico), potrebbe essere taggato democrazia #formazione #educazione #coscienza civile. L’attualità è imbarazzante.
Il testo ci esorta, ancora oggi, a considerare che la democrazia è una conquista e che educare il cittadino alla democrazia significa prima di tutto eliminare i residui della ideologia fascista e di certe abitudini alla passività, allo spirito servile, all’individualismo tipiche del ventennio. Ma non vi è solo questo aspetto negativo, cioè la necessità di liquidare il passato fascista per formare la coscienza democratica, civile. C’è anche un aspetto positivo, costruttivo: la capacità del singolo cittadino di agire come membro di un corpo sociale, al cui benessere, insieme a tutti gli altri cittadini, deve contribuire. In questo senso si può parlare di formazione di una coscienza democratica o, se vogliamo, di una coscienza civile. La scuola deve dunque dotarsi degli strumenti indispensabili ad analizzare e interpretare la complessità della realtà sociale al fine di formare un cittadino consapevole. Tutto ciò richiede una direzione della “cosa pubblica” che non obbedisca a interessi esclusivi, a singole appartenenze o a bisogni individualistici, ma che esprima gli interessi di tutta la società o – per dirla come gli anziani delle mie parti – di tutto il popolo. Se ciò avviene, la questione della scuola e la questione sociale possono sintetizzarsi con una formula: educazione civica.
L’educazione civica è una materia scolastica fondamentale. Il suo obiettivo è quello di promuovere il senso civico e formare cittadini consapevoli, responsabili, critici e informati sui propri diritti e doveri. Cittadini attivamente coinvolti nella vita della comunità, capaci di contribuire positivamente alla crescita di una società sempre più complessa e interconnessa. Cittadini, infine, in grado di convivere pur avendo idee, ambizioni e prospettive diverse. E tutto ciò, inevitabilmente, richiama l’attualità della Costituzione come testo a cui il legislatore e, di conseguenza, le istituzioni democratiche devono fare riferimento, evitando appropriazioni di parte o ad personam.
A partire dall’anno scolastico 2024/2025 entreranno in vigore le nuove linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Il testo sostituirà le linee guida precedenti, con l’aggiunta di ulteriori contenuti, e ridefinirà traguardi e obiettivi di apprendimento a livello nazionale. “Coerentemente con il nostro dettato costituzionale, le Nuove Linee Guida promuovono l’educazione al rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali”, dichiara Valditara, “valorizzando principi quali la responsabilità individuale e la solidarietà, la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale, dando valore al lavoro e all’iniziativa privata come strumento di crescita economica per creare benessere e vincere le sacche di povertà, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita”. “Ispirandosi al concetto di ‘scuola costituzionale’, il documento conferisce centralità alla persona dello studente e punta a favorire l’inclusione, a partire dall’attenzione mirata a tutte le forme di disabilità e di marginalità sociale. Le nuove Linee guida”, prosegue Valditara, “vogliono essere uno strumento di supporto e di guida per tutti i docenti e educatori chiamati ad affrontare, nel quotidiano lavoro di classe, le sfide e le emergenze di una società in costante evoluzione e di cui gli studenti saranno protagonisti. La scuola si conferma pilastro del futuro del nostro Paese” (fonte: sito Ministero Istruzione e Merito).
Bisognerebbe fare attenzione, quando si parla di Costituzione, a non avanzare letture condizionate da visioni di parte, come, ad esempio, la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale. Era prevedibile che l’On. Valditara inserisse questo argomento nelle nuove linee guida dell’educazione civica? Era necessario, indispensabile? Forse sì, forse no. Nelle nuove linee guida si legge anche: si promuove la formazione alla coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia. Di conseguenza, viene evidenziato il nesso tra senso civico e sentimento di appartenenza alla comunità nazionale definita Patria, concetto espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione. L’uso ridondante dei termini patria, nazione, comunità nazionale e identità italiana sembrerebbe voler marcare il territorio. La Costituzione, nei Principi Fondamentali, delinea con chiarezza la carta d’identità del popolo italiano. Una carta di identità che poggia sul principio della sovranità popolare, che proclama l’universalità dei diritti (art. 2), il dovere dell’accoglienza (art. 10); che ripudia la guerra e dunque rifiuta il nazionalismo che ne è spesso all’origine, (art. 11); che intende la solidarietà in primo luogo come rispetto dell’essere umano, indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla condizione sociale, dalle inclinazioni individuali; che esalta la dignità della persona invece del culto dell’individuo (art. 3); che riconosce il lavoro come fondamento della Repubblica democratica (art. 1) e strumento del progresso sia individuale che collettivo (art. 4); che decentra perché l’organizzazione dello Stato deve rappresentare l’unità e l’universalità delle possibilità (art. 5); che riconosce le diversità culturali (art. 6) e le libertà religiose (artt. 7 e 8); che definisce la vera ricchezza del nostro popolo (art. 9) e che vede nella bandiera (art. 12), il riferimento a quel patriottismo costituzionale, che è riferito ai valori espressi nei principi Costituzionali. Questi sono i fondamenti dell’appartenenza alla comunità nazionale definita Patria.
Nelle nuove Linee guida si legge ancora: valorizzare i territori e la conoscenza delle culture e delle storie locali promuovendo una più ampia e autentica consapevolezza della cultura e della storia nazionale. In questo contesto, l’appartenenza all’Unione Europea è coerente con lo spirito originario del trattato fondativo, volto a favorire la collaborazione fra Paesi che hanno valori e interessi generali comuni. Come già notato, si parte da un orizzonte ampio per rinchiudersi nella ridotta identitaria. Promuovere la conoscenza e la valorizzazione dei patrimoni territoriali è evidentemente importante anche ai fini dell’integrazione con culture diverse. È risaputo e provato, infatti, che uno dei canali migliori di integrazione è la conoscenza delle peculiarità territoriali (storia, tradizioni, usi e costumi), ma come opportunità, non come modello da imporre. Se ciò comincia dalla scuola, sono proprio gli studenti, compresi quelli che arrivano da altre realtà, a essere veicolo di integrazione anche all’interno delle loro famiglie, così promuovendo scambi e confronti che si rivelano determinanti per la convivenza nelle comunità locali. Inquieta che tutto questo stia nella stessa frase che fa riferimento all’Europa e che vuole favorire la collaborazione con paesi che hanno valori e interessi generali in comune. Sul sito https://european–union.europa.eu/principles–countries–history/principles–and–values_it sono definiti principi, valori e obiettivi dell’Unione Europea, validi sia dentro che fuori i confini. L’Unione Europea si realizza nel rapporto col resto del mondo, non solo “in casa propria”. Dunque, come si fa a chiedere di rappresentare una cittadinanza europea che ci vede in relazione solo con chi è presumibilmente affine a noi? Su quali presunte basi e con quali caratteristiche? Sembrerebbe che la valorizzazione della cultura locale definisca il metro di misura per intrattenere relazioni col resto del mondo.
Ma ci sono altre “novità” che lasciano perplessi, in rapporto sia alla Costituzione sia alle stesse opportunità educative.
Nelle nuove linee guida si legge: da questo deriva anche la funzionalità della società allo sviluppo di ogni individuo (e non viceversa) e il primato dell’essere umano su ogni concezione ideologica. Pare si voglia teorizzare l’individualismo; quel e non viceversa fra parentesi sembra voler rimandare a una ideologia in cui l’individuo viene prima dello Stato e sta sopra di esso, come dichiarano le costituzioni liberali (vedi quella americana). Fu la prima donna premier inglese (perché in Inghilterra il premierato esiste, da noi no), a sostenere che “non esiste la società. Esistono solo individui e famiglie”. La nostra Costituzione insegna ai cittadini l’importanza dell’impegno individuale anche ai fini della cittadinanza attiva, che non si esaurisce con la segretezza del voto ma che si realizza anche nell’impegno nelle formazioni sociali di cui ci si trova a – o si sceglie di – far parte. Le formazioni sociali sono organizzazioni umane poste tra lo Stato e il singolo individuo, cioè corpi intermedi tra le istituzioni e il cittadino: la famiglia, la scuola, i partiti, i sindacati, il volontariato nelle sue diverse forme, gli enti privati (con o senza scopo di lucro), le confessioni religiose. Fu Giorgio La Pira, durante i lavori dell’Assemblea costituente, a sostenere che “i diritti della persona umana non sono integralmente tutelati se non sono tutelati anche i diritti delle comunità nelle quali la persona umana si espande in cui si organizza il corpo sociale. I cittadini, dunque, sono protagonisti del cambiamento sociale in quanto parte e membri della società stessa di cui fanno parte”. Non andrebbe dato impulso a questo concetto se si vuole costruire la società delineata dalla Costituzione?
Proseguendo nella lettura delle nuove linee guida si legge inoltre: l’importanza di sviluppare anche una cultura dei doveri rende necessario insegnare il rispetto per le regole che sono alla base di una società ordinata, al fine di favorire la convivenza civile, per far prevalere il diritto e non l’arbitrio. Da qui l’importanza fondamentale della responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale. In linea col punto precedente, anche se edulcorato dal sacrosanto concetto di responsabilità individuale, sembra emergere il tentativo di indebolire il concetto di società a favore di una prospettiva individualista. La convivenza civile contiene l’aspetto dei conflitti interpersonali, e non può essere garantita soltanto da regole e punizioni. Un’educazione civica al passo coi tempi dovrebbe dare strumenti per comporre i conflitti interpersonali che inevitabilmente derivano dalle diversità di cui la società civile è espressione.
Nelle nuove Linee guida si legge infine: promozione della cultura d’impresa che, oltre a essere espressione di un sentimento di autodeterminazione, è sempre più richiesta per affrontare le sfide e le trasformazioni sociali attuali. Parallelamente, si valorizzano per la prima volta l’iniziativa economica privata e la proprietà privata che, come ben definisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è un elemento essenziale della libertà individuale. Inoltre: promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, dell’educazione al risparmio e alla pianificazione previdenziale, anche come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato. Sembra che l’autodeterminazione del cittadino, cioè la facoltà di scegliere liberamente, sia legata al possesso di una cultura d’impresa, alla conoscenza delle dinamiche di mercato: siamo quasi all’apoteosi dell’homo oeconomicus, a una dimensione” (avrebbe detto Marcuse). Certo è importante affrontare il tema dell’economia (anche alla primaria!?), ma perché non affrontarlo come suggerisce l’articolo 47 della Costituzione? Nell’articolo viene trattato il risparmio popolare, che ha come obiettivo di assicurare tutela al risparmio dei lavoratori, anche incoraggiandone la difesa da ingiuste riduzioni o dall’inflazione. Cioè, si tutela l’accantonamento derivante da lavoro subordinato, artigianale o professionale, che è il più esposto, anche in senso negativo, alle logiche della finanza. Fermo restando che il lavoro ha anche come obiettivo quello di migliorare la propria situazione iniziale, non tutti potranno diventare imprenditori e non tutti potranno affidarsi a forme private di assicurazione. Bisognerebbe prospettare, se si vuole parlare di economia nell’educazione civica, strumenti sul diritto a un tenore di vita adeguato, cioè la comprensione del significato del risparmio e la capacità di valutare le reali possibilità di spesa o investimento.
Uno dei fenomeni che mettono in difficoltà le famiglie è l’uso “sconsiderato” dei mutui: si accendono per cose necessarie (la casa, l’automobile), ma anche per cose non fondamentali (il televisore…): un adeguamento al meccanismo finanziario che gli americani chiamano indice di indebitamento, per cui più ci si indebita, più si contribuisce a sviluppare il mercato. Se l’economia deve diventare “educativa”, è necessario che non si creino false illusioni. Forse è da inserire nelle linee guida dell’educazione civica, quando si parla di economia e di valorizzare la cultura del lavoro, il rispetto delle diversità dei lavori e dei lavoratori. Perché tutti, con ruoli e responsabilità diverse, contribuiscono alla crescita della società. Il lavoro è dignitoso sempre e non esiste un lavoro più importante di un altro. Esistono lavori di diverse specie, ma l’imprenditore è importante esattamente come l’operaio che fa le pulizie nel suo ufficio. Questo aspetto sì, si può affrontare anche nella scuola primaria.
Ma nelle Linee guida ci sono anche grandi assenze. Un primo tema: l’educazione all’affettività e alla sessualità. Da anni esperti e società civile propongono l’educazione sessuale come primo passo per arginare femminicidi e discriminazioni, ma l’argomento non è trattato. Affrontare l’affettività, la diversità sessuale e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili dovrebbe far parte dei curricula scolastici italiani, non basta dire in una sola riga che “si rafforza e si promuove la cultura del rispetto verso la donna”.
Un secondo tema: l’importanza dell’ambiente. Tutti, ma proprio tutti, hanno votato l’integrazione all’articolo 9 della Costituzione con una formula che, alla luce dei fatti, denuncia tutta la sua inefficacia: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. E dunque, “anche nell’interesse delle future generazioni” (come se la Costituzione del 1948 non fosse già rivolta al futuro e quindi anche alle generazioni che si susseguono… ma tant’è), non si ritiene argomento fondamentale dell’educazione civica il tema dell’aria che respiriamo, della terra dove camminiamo e dei mari che ci circondano come luoghi di vita. Come tali, da tutelare e salvaguardare anche dal mercimonio che l’economia continua a fare. Un terzo tema: l’analisi e la comprensione dei fenomeni del patriarcato, del razzismo, delle diverse fobie legate alle diverse sessualità, dell’odio per il diverso di cui, ogni giorno, si hanno notizie da cronaca nera e che minano la convivenza nella società.
“La scuola si conferma pilastro del futuro del nostro Paese”, sostiene il Ministro. Ma quale idea di futuro? L’inserimento nelle Linee guida degli aspetti richiamati e l’esclusione di altri sembrano disegnare una società diversa da quella reale, mascherando il tutto dietro la Costituzione che, tuttavia, non è la coperta sotto la quale inserire gli interessi di parte, ma è un “progetto di società” che guarda al futuro, non al passato. Ecco perché si parla di senso civico, ecco perché l’educazione civica a scuola è un termometro della società e viceversa. Il futuro descritto nella Costituzione va costruito. La costruzione del futuro chiede alla politica realismo e visione, ai cittadini l’impegno ad essere protagonisti. Opposta alla costruzione del futuro c’è l’ineluttabilità degli eventi che si chiama destino, ciò che capita. Ma – come dicono gli anziani delle mie parti, che conoscono a memoria anche le arie di Gioachino Rossini – è meglio andare avanti, non indietro.
Paolo Papotti, responsabile Formazione Anpi nazionale, componente Comitato nazionale Anpi
3/9/2024 https://www.patriaindipendente.it
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