“Se conquisti l’immaginario collettivo, le regole del gioco cambiano”: ecco perché ci servono nuove narrative sul clima
Molte cose stanno accadendo, sia meravigliose che terribili, e come le raccontiamo è importante. Non possiamo ignorare le brutte notizie, ma non considerare ciò che c’è di buono può solo generare indifferenza o disperazione.
Di Rebecca Solnit
Ogni crisi è in parte narrativa, e questo vale anche per il caos climatico. Siamo accerchiati da narrative che ci precludono dal vedere, credere, o agire in base alle possibilità del cambiamento. Alcune sono consuetudini mentali, altre vera e propria propaganda di settore. A volte la situazione è cambiata ma le narrative no, e le persone seguono versioni vecchie, come mappe obsolete, fino a trovarsi in un vicolo cieco. Dobbiamo lasciarci alle spalle l’era dei combustibili fossili, velocemente e con decisione. Ma ciò che guida le nostre macchine non cambierà finché non cambierà ciò che guida le nostre idee. L’organizzatrice visionaria Adrienne Maree Brown non molto tempo fa scrisse che esiste un elemento di fantascienza nell’azione climatica: “Stiamo plasmando il futuro che vogliamo e che non abbiamo ancora vissuto. Credo che siamo in una battaglia d’immaginazione”.
Per fare ciò che la crisi climatica ci chiede, dobbiamo trovare delle narrative di un futuro vivibile, di potere al popolo, storie che motivino le persone ad agire per creare il mondo di cui abbiamo bisogno. Forse dobbiamo anche ascoltare meglio e assumere un atteggiamento più critico, dobbiamo essere più attenti a ciò che assimiliamo e a chi lo sta dicendo, a ciò che crediamo e ripetiamo, perché le narrazioni possono dare potere – o toglierlo. Cambiare la nostra relazione con il mondo che ci circonda – porre fine a questa era di consumo sfrenato di pochi che ha conseguenze per molti – significa cambiare come pensiamo a moltissime cose: ricchezza, potere, gioia, tempo, spazio, natura, valori, cosa costituisce una buona vita, cosa conta davvero, come il cambiamento stesso avviene. Come scrive la giornalista climatica Mary Heglar, non siamo a corto di idee innovative. “Abbiamo una miriade di idee sui pannelli solari e sulle micro-reti elettriche. Ma anche se abbiamo tutti questi pezzi del puzzle, non abbiamo un’immagine chiara di come effettivamente possano incastrarsi per creare un nuovo mondo. Per troppo tempo la lotta climatica è stata limitata solo agli scienziati e agli esperti di policy. Abbiamo sicuramente bisogno delle loro competenze, ma anche di molto di più. Quando sondo il terreno, mi è sempre più chiaro che ciò di cui abbiamo un disperato bisogno nella lotta climatica sono più artisti”.
Cos’è la crisi climatica, cosa si può fare a riguardo e che tipo di mondo possiamo costruire dipendono interamente dalle storie che raccontiamo e da quelle che decidiamo di ascoltare. La narrazione stessa del cambiamento climatico fu totalmente ignorata quando iniziò a essere diffusa dai mass media più di trent’anni fa. Anche solo una dozzina di anni fa, si pensava che la crisi sarebbe avvenuta molto lentamente e in un futuro lontano. Si faceva spesso riferimento al “periodo dei nostri nipoti”. Era un concetto difficile da comprendere – questo problema globale, disperso, incrementale, atmosferico e invisibile, con cause e manifestazioni molteplici, le cui soluzioni sono altrettanto disperse e varie. Le voci che sentiamo dal movimento sul cambiamento climatico sono riuscite finalmente a farsi sentire dalla maggioranza, appassionando molte persone, e questa potrebbe essere la vittoria più grande del movimento stesso. Perché quando hai conquistato l’immaginario collettivo, hai cambiato le regole del gioco e i suoi possibili risultati. Ma questo è stato un processo lento, lungo ed arduo, tuttora pieno di concezioni erronee.
Molte persone non sanno che abbiamo praticamente vinto la battaglia per la consapevolezza e la sensibilizzazione delle persone. L’anno scorso, su LA Times è stato pubblicato un editoriale che, seppur con buone intenzioni, parla di come alla maggior parte degli americani non interessi il collasso climatico. Questo era vero tempo fa, ma non è più così. Un sondaggio della Pew Research nel 2020 è giunto alla conclusione che due terzi degli americani vorrebbe azioni governative più dirette, ma, l’estate scorsa, uno studio della rivista scientifica Nature ha dimostrato che la maggior parte degli americani crede che solo una minoranza (37-43%) supporti l’azione climatica, quando in realtà questo vale per la stragrande maggioranza (66-80%). Il divario tra il sostegno percepito e quello effettivo mina la motivazione e la fiducia delle persone. Abbiamo bisogno di narrative migliori, e a volte migliori significa semplicemente più aggiornate.
Il negazionismo climatico – la vecchia storia per cui il cambiamento climatico non esiste – è stato reso obsoleto (al di fuori dei social media) da catastrofi di origine climatica in tutto il mondo e dall’ottimo lavoro degli attivisti e giornalisti climatici. Il Greenwashing – pratica messa in atto dalle aziende produttrici di combustibili fossili e altri soggetti per dipingersi dalla parte dell’ambiente mentre perseverano nella sua distruzione solo per i propri profitti – è dilagante. È più difficile riconoscere un falso amico invece che un nemico onesto, e le loro finte soluzioni, le loro tattiche dilatorie e le loro false promesse possono confondere il cittadino comune, non esperto di clima.
Fortunatamente, con la diversificazione del movimento climatico, è sorta una nuova organizzazione, Clean Creatives, che si occupa principalmente di fare pressione sulle agenzie pubblicitarie e di pubbliche relazioni affinché smettano di fare il lavoro sporco del settore dei combustibili fossili. Altrettanto importanti sono i giornalisti che denunciano come l’industria del settore usi i suoi fondi per sponsorizzare opposizioni pseudo-ambientali contro le pale eoliche off-shore.
(Come Antonia Juhasz, attivista climatica e analista di politiche petrolifere, mi disse recentemente, il movimento climatico si sta ora scagliando su ogni aspetto dell’industria dei combustibili fossili, inclusi i fondi ricevuti dalle banche, e, attraverso il movimento di disinvestimento, le azioni detenute dagli investitori, le donazioni ai politici, le assicurazioni, i permessi per l’estrazione, il trasporto, la raffinazione, le emissioni, principalmente attraverso cause legali riguardanti il loro impatto, la chiusura delle centrali elettriche a carbone, nonché la spinta per una rapida transizione verso l’elettrificazione.)
Ma ancora abbiamo delle narrative sul clima viste senza il loro contesto. Per esempio, molte persone denunciano l’estrazione mineraria, principalmente di litio e cobalto, che sarà una parte inevitabile nella costruzione di nuove rinnovabili – turbine, batterie, pannelli solari e macchinari elettrici – apparentemente ignare degli impatti ben maggiori dell’estrazione di combustibili fossili. Se siete preoccupati per quanto riguarda l’estrazione in terre indigene, per il suo impatto locale e per le condizioni dei lavoratori, ecco le più grandi operazioni minerarie mai intraprese: per il petrolio, il gas e il carbone, e le voraci macchine che devono consumarli costantemente.
Estrarre materiale che verrà bruciato crea un circolo incessante di consumo su cui il settore dei combustibili fossili si è paurosamente arricchito. Crea caos climatico, oltreché distruzione e contaminazione in ogni fase del processo. Globalmente, 9 milioni di persone muoiono ogni anno per il nostro consumo di combustibili fossili, un dato superiore a qualsiasi guerra recente. Ma questo bilancio di vittime è largamente ignorato per via della mancanza di storie avvincenti al riguardo. Ogni tipo di estrazione deve essere eseguita nel rispetto della terra e delle persone che vivono nelle vicinanze, ma l’impatto dell’estrazione di minerali per le rinnovabili deve essere soppesato rispetto al ben più devastante impatto dell’estrazione e del consumo di combustibili fossili. La corsa contro il tempo per trovare materiali per batterie più disponibili e meno dannose del litio e del cobalto sta dando risultati promettenti. L’estate scorsa il Massachusetts Institute of Technology ha annunciato la progettazione di una batteria a base di alluminio e zolfo, mentre una compagnia americana ne sta sviluppando una che immagazzina elettricità attraverso il ferro – chiamata anche batteria “ferro-aria”. Sforzi per estrarre materiale utile dai residui a lungo termine dell’utilizzo di carbone in West Virginia sono alcuni di quelli in corso. E l´Inflation Reduction Act include finanziamenti per la ricerca di materiali migliori per la produzione di batterie e di migliori fonti energetiche nazionali.
Altre storie di sconfitta prematura sono fin troppo comuni. Nella marcia per il clima nel 2014 a New York City, dove parteciparono 400.000 persone, una sezione ha marciato dietro un enorme striscione che dichiarava “NOI ABBIAMO LE SOLUZIONI” – ma molte persone credono ancora che non sia così. Le nostre soluzioni sono il solare e l’eolico; dobbiamo solo metterle in pratica per una transizione ecologica, e in fretta. Cercare di risolvere il problema attraverso il sequestro di carbonio, altamente inefficace, ed altre tecnologie sottosviluppate, come se fossero soluzioni efficaci al nostro problema, è come ignorare delle scialuppe di salvataggio a portata di mano, sperando che delle altre, nuove e lussuose, arrivino mentre la nave sta affondando, quando la rapidità è cruciale.
Una narrativa che incontro spesso inquadra le possibilità in termini assoluti: o vinciamo del tutto, o perderemo tutto. Ci sono tante storie funeste su come la civiltà, l’umanità, persino la vita stessa, siano destinate a estinguersi. Questo modo di pensare apocalittico è dovuto a un altro fallimento narrativo: l’incapacità di immaginare un mondo diverso da quello attuale.
Le persone prive di senso storico immaginano il mondo come statico. Pensano che se l’ordine attuale sta fallendo, allora il sistema sta crollando e non c’è alternativa. Un’immaginazione storica permette di capire invece che il cambiamento è inarrestabile. Basta guardare al passato per vedere un mondo decisamente diverso già mezzo secolo fa, se non incredibilmente diverso un secolo fa. Il Regno Unito, ad esempio, fino agli anni Sessanta era quasi interamente alimentato a carbone e se si fosse detto allora che avrebbe dovuto abbandonare tale fonte energetica, molti avrebbero visto la cosa come un crollo totale del sistema energetico, non una sua trasformazione. Ancora nel 2008, osserva l’organizzazione Carbon Brief, “quattro quinti dell’elettricità del Regno Unito provenivano da combustibili fossili”. Da allora, il Regno Unito ha ripulito le sue fonti di elettricità più velocemente di qualsiasi altra grande economia mondiale. L’energia a carbone è praticamente scomparsa e anche l’uso del gas è diminuito di un quarto. Al contrario, il Paese ora ottiene più della metà della sua elettricità da fonti a bassa emissione di carbonio, come l’energia solare, eolica e nucleare”. La Scozia genera già quasi tutta l’elettricità di cui ha bisogno da fonti rinnovabili.
Sebbene spesso si senta affermare con disinvoltura che il nostro mondo è ormai condannato, nessuno scienziato rispettabile fa affermazioni del genere. La maggior parte della comunità scientifica è profondamente preoccupata, ma tutt’altro che disperata. Ci sono già perdite ingenti, ma sarà il nostro agire o non agire a determinare quante altre perdite si verificheranno, e su chi andranno a pesare. A tutto ciò è possibile porre rimedio. Uno sforzo sufficiente per ridurre la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera potrebbe abbassare le temperature e invertire alcuni aspetti della crisi climatica. Anche il giornalista David Wallace-Wells, diventato famoso con un libro profondamente pessimista sul clima qualche anno fa, ha cambiato opinione. Attualmente descrive un futuro a metà tra il migliore e il peggiore degli scenari, un futuro “in cui le previsioni più terrificanti sono rese improbabili dalla decarbonizzazione e quelle più ottimistiche sono di fatto precluse da un tragico ritardo”. La forbice dei possibili futuri climatici si sta restringendo e, di conseguenza, abbiamo un’idea più chiara di ciò che ci aspetta: un nuovo mondo, pieno di perturbazioni…ma fortunatamente lontano da una vera e propria apocalisse climatica”.
Una narrazione sul clima di cui abbiamo urgentemente bisogno è quella che mette in luce chi è effettivamente responsabile del caos climatico. È stato detto che siamo tutti responsabili, ma Oxfam riporta che negli ultimi 25 anni l’impatto delle emissioni di carbonio dell’1% degli esseri umani più ricchi è stato il doppio di quello del 50% meno abbiente, quindi la responsabilità dell’impatto e la capacità di apportare un cambiamento è attualmente distribuita in modo molto diseguale.
Dicendo che “siamo tutti responsabili” chiudiamo gli occhi di fronte al fatto che la maggioranza globale di noi non deve cambiare molto, mentre una minoranza deve cambiare parecchio. Questo ci ricorda anche che l’idea che dobbiamo rinunciare ai nostri lussi e vivere in modo più semplice non si applica realmente alla maggioranza degli esseri umani al di fuori di quello che potremmo definire il mondo sovrasviluppato. Ciò che è vero per Beverly Hills non è vero per la maggioranza del mondo, dal Bangladesh alla Bolivia.
Quando si parla di chi sta nuocendo al clima, si è anche preferito concentrare l’attenzione sul contributo delle singole persone. L’industria dei combustibili fossili promuove la narrazione della responsabilità personale per continuare a farci giudicare noi stessi e gli altri, piuttosto che loro. Hanno promosso il concetto di impronta climatica come un modo per mantenere l’attenzione su di noi e non su di loro, e ha funzionato. Di solito, se chiedo alle persone cosa stanno facendo per affrontare l’emergenza climatica, la maggior parte mi parla di ciò che non consumano o non fanno, ma questi piccoli gesti non saranno mai sufficienti per raggiungere il cambiamento rapido e massiccio che serve per modificare il sistema.
Uno degli obiettivi è proprio quello di andare al di là della virtù del singolo. Così come non è più necessario scegliere di acquistare un’auto con le cinture di sicurezza o chiedere per la sezione non fumatori sul treno o al ristorante, a un certo punto, nel prossimo futuro, non sarà più necessario scegliere di viaggiare in un’auto o in un autobus elettrico, o di vivere o lavorare in edifici completamente elettrici. L’elettrificazione avverrà grazie all’azione collettiva che si concretizzerà in politiche e normative.
L’anno scorso, il veterano ambientalista Bill McKibben ha scritto una brillante analisi sottolineando che se si hanno soldi in una delle banche che finanziano i combustibili fossili – in particolare, negli Stati Uniti, Wells Fargo, Chase, Citi e Bank of America – i propri fondi pensione o i propri conti di risparmio potrebbero avere un’impronta climatica molto più grande della singola persona. L’impatto della dieta e del mezzo con cui ci si reca al lavoro impallidisce rispetto all’impatto del proprio denaro in banca. Un vegano in bicicletta può comunque contribuire al caos climatico se i suoi risparmi di una vita sono in una banca che presta il suo denaro all’industria dei combustibili fossili.
L’impatto individuale, a eccezione degli ultraricchi, conta soprattutto a livello aggregato. E solo aggregati possiamo cambiare le cose. Il 21 marzo Bill McKibben, attraverso il suo nuovo gruppo climatico Third Act (del cui comitato consultivo faccio parte), e decine di altri gruppi climatici organizzeranno proteste da parte di persone che hanno soldi o carte di credito nelle principali banche statunitensi, per cercare di costringere queste istituzioni a smettere di finanziare i combustibili fossili. Il nostro potere più grande risiede nel nostro ruolo di cittadini, non di consumatori, quando possiamo unirci per cambiare insieme come funziona il nostro mondo.
Diverse campagne in tutto il mondo si sono concentrate sulla finanza fossile, con successi significativi alle spalle e molti traguardi ancora all’orizzonte. Negli ultimi anni il movimento per il clima è diventato molto più sofisticato e preciso nei suoi obiettivi. Sta facendo un ottimo lavoro; ha solo bisogno di un numero sufficiente di persone e risorse per diventare più potente dello status quo.
Lo scorso anno ho portato tre attivisti membri del Sunrise Movement, associazione giovanile che si batte per far fronte alla crisi climatica, a vedere il film Terminator 2 del 1991 al cinema. Il film è stato fantastico come lo ricordavo, soprattutto perché la protagonista Linda Hamilton, che interpreta un’efferata giovane madre, sceglie come motto “il futuro non è scritto. L’unico destino è quello che ci creiamo con le nostre mani”.
Nel film il futuro inizia a interferire con il presente attraverso tecnologie fantascientifiche che consentono di viaggiare nel tempo, e terminator mezzi robot e mezzi guerrieri. Vediamo come le azioni del presente plasmano il futuro attraverso violente battaglie proprio su come quel futuro sarà. Naturalmente, questo avviene anche nella vita reale, con la differenza che, nonostante non abbiamo terminator e altri viaggiatori temporali a dirci quali saranno le conseguenze delle nostre azioni, queste conseguenze ci sono comunque. Viene vietato l’utilizzo dell’insetticida DDT? Si arresta la scomparsa di tante specie di uccelli. Vengono vietati i clorofluorocarburi? Si arresta la crescita del buco dell’ozono.
Da un altro punto di vista, Terminator 2 non è molto utile per riflettere sulla crisi climatica. Infatti, rientra in quelle narrazioni convenzionali tipiche dei film – e di vignette, di romanzi, di fumetti e di fin troppe narrative giornalistiche – che ci dicono che il mondo può essere salvato solo da individui eccezionali, spesso solitari, dotati solitamente dell’abilità di infliggere e di sopportare violenza estrema. Linda Hamilton e il co-protagonista Arnold Schwarzenegger sparano, picchiano, distruggono, seminano e combattono tutto quello che si scaglia loro contro, e queste sono le loro abilità che vengono osannate, insieme a un po’ di umorismo secco. Umorismo a parte, tutto questo ha ben poco a che vedere con il modo in cui si cambia realmente il mondo il più delle volte. Le abilità di un supereroe del mondo reale sono solidarietà, strategia, pazienza, perseveranza, prospettiva, e la capacità di instillare speranza negli altri.
Gli eroi di cui abbiamo bisogno non sono quasi mai individui, ma collettivi – movimenti, coalizioni, campagne, società civile. Tra questi gruppi magari c’è qualcuno dotato di straordinarie capacità motivazionali, ma anche il più grande direttore al mondo ha bisogno di un’orchestra. Una persona sola non può fare molto; un movimento può invece rovesciare un regime. Purtroppo mancano storie in cui sono le azioni collettive o la paziente determinazione di chi le organizza a cambiare il mondo. Un’altra caratteristica tipica dei film e delle fiction è l’aspettativa di avere una sola soluzione e una chiara risoluzione per i nostri problemi: una vittoria istantanea, seguita da un festeggiamento, e il problema è risolto. Ma la crisi climatica non rientra facilmente in questo schema. Smettere di estrarre e bruciare combustibili fossili è essenziale, ma non è l’unica soluzione. Proteggere torbiere, foreste e praterie che stoccano il carbonio è altrettanto importante; così come trasformare materiali a elevato impatto come il cemento, implementare una migliore progettazione degli edifici, dei trasporti e delle città, e far fronte alla conservazione del suolo, all’agricoltura e alla produzione e al consumo del cibo.
Ci sono tappe fondamentali e traguardi importanti, ma il lieto fine hollywoodiano a cui siamo abituati – taglia il traguardo e fine della storia – non rispecchia questa realtà. Il cambiamento spesso funziona più come una staffetta, con nuovi protagonisti che riprendono da dove i precedenti avevano lasciato. Nel 2019 una consigliera comunale di Berkeley decise di proporre il divieto di ricorrere ai combustibili fossili come fonti energetiche nei nuovi edifici, che fu approvato dal Consiglio all’unanimità. L’impegno di questa piccola cittadina di costruire nuove strutture alimentate completamente ad energia elettrica potrebbe sembrare insignificante, ma più di 50 Comuni californiani hanno seguito l’idea, così come la città di New York. Nello Stato di New York, invece, una misura simile non è stata approvata, mentre nello Stato di Washington ha riscosso successo, e l’idea che i nuovi edifici non debbano includere alimentazione a gas si è diffusa a livello globale.
Le campagne per i diritti umani da tempo funzionano proprio come le staffette: una buona protesta, una campagna, o anche un atto legislativo possono lanciare nuove idee che si diffondono su scala mondiale. Persino delle campagne fallimentari possono spianare la strada per cambiamenti futuri. Il Green New Deal non è stato approvato dal Senato statunitense, ma è diventato il modello per la legislazione sul clima dell’amministrazione Biden e ha rimodulato il dibattito sulle azioni che possono essere intraprese contro il cambiamento climatico. Ha spianato la strada all’Inflation Reduction Act, il più importante disegno di legge sul clima mai approvato negli Stati Uniti. Gli oppositori dell’azione climatica sostengono spesso che causi la perdita di posti di lavoro; il Green New Deal ha fatto tanto per cambiare quella narrativa dimostrando invece che l’azione climatica genera posti di lavoro.
Riconoscere l’esistenza della crisi climatica equivale a riconoscere l’interconnessione di tutte le cose. Questa connessione comporta un impegno: a rispettare la natura, a elaborare normative nazionali e trattati internazionali volti a proteggere ciò che è necessario, a limitare la libertà del singolo in favore del benessere della collettività. Naturalmente questa è una visione del mondo in netto contrasto con l’integralismo del libero mercato e il libertarismo. Persino i dati della scienza climatica risultano ideologicamente offensivi per le persone che professano la libertà dell’individuo senza responsabilità, per non parlare delle richieste poste da trattati e normative. Responsabilità e impegno sono parole deprimenti nella cultura tradizionale, per cui magari ci saranno altre narrative che riconoscono questo processo come reciprocità e relazione, in cui restituiamo, sotto forma di gratitudine e rispetto, tutto quello che la Terra ci offre. Anche se non è così, possiamo confermare che abbiamo un interesse personale nel mantenere in piedi il sistema dal quale dipende la vita.
Se le notizie di attualità riportano quello che è appena accaduto, abbiamo bisogno di distaccarci dal singolo evento, per vedere il contesto di come questo si sia verificato. Se ci raccontiamo soltanto storie a breve termine, tutto diventa un po’ insignificante. Martin Luther King Jr disse: “l’arco dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia”. L’abbiamo visto piegarsi in diversi modi in questi ultimi anni, verso e lontano dalla giustizia, ma ci vuole tempo per vederlo piegarsi del tutto. Ci servono parametri di riferimento o anche ricordi di com’erano un tempo le cose per riuscire a vedere il minimo cambiamento, compreso il cambiamento climatico.
L’attivista per il clima e poeta del Pacifico meridionale Julian Aguon ha recentemente affermato che i popoli indigeni “hanno una capacità singolare di resistere alla disperazione attraverso la connessione alla memoria collettiva, e questa può essere la nostra più grande speranza per costruire un nuovo mondo fondato sulla reciprocità e il rispetto – della terra e del prossimo”. Quell’enfasi sulla memoria collettiva suggerisce che avere un forte senso del passato permette di avere un forte senso del futuro, che ricordare difficoltà e trasformazioni ci fornisce gli strumenti per affrontarle di nuovo.
Una delle cose che mi rincuora è il lungo arco di cambiamento nella tecnologia delle rinnovabili. Quasi tutto quello che si vede al notiziario riguardo alle rinnovabili è relativo al breve periodo: notizie sull’ultimissimo calo dei prezzi, o sulla diffusione del solare ed eolico nell’ultimo anno o due. Se si espande il quadro temporale, si nota che quei cambiamenti annuali corrispondono a un incredibile crollo dei prezzi e un aumento dell’efficienza e dell’uso a livello mondiale, il tutto unito a innovazioni in termini di materiali e stoccaggio. Vent’anni fa non avevamo modi effettivi per lasciarci alle spalle l’era dei combustibili fossili. Adesso sì. E le soluzioni continuano a migliorare. Nel 2021 l’organizzazione Carbon Tracker ha rilasciato un report che mostrava che la tecnologia attuale potrebbe produrre elettricità derivata dal solare e dall’eolico in quantità 100 volte superiori rispetto alla domanda mondiale attuale. Il report conclude: “le barriere tecniche ed economiche sono state superate e l’unico ostacolo al cambiamento è di tipo politico”. Alla fine dello scorso millennio, quelle barriere sembravano invalicabili. Il cambiamento era rivoluzionario, ma la rivoluzione era troppo lenta per essere vista dai più.
Il report continua: “stando ai livelli di crescita attuali del solare e dell’eolico pari al 15-20%, si stima che i combustibili fossili saranno estromessi dal settore elettrico entro la metà degli anni 2030 e dall’approvvigionamento energetico totale entro il 2050. Sfruttare le riserve energetiche 100 volte superiori all’attuale domanda genera nuove possibilità di avere energia a meno prezzo e più posti di lavoro locali in un mondo più equo, con molto meno stress ambientale”. Solitamente pensiamo che le utopie siano irrealizzabili, ma questo è un think tank lucido incentrato sul clima e su politiche energetiche. Il report non ha avuto un grande impatto sul pubblico generale. Dal momento che la rivoluzione energetica è stata graduale, non c’è stato un punto di svolta in particolare; eppure, tutto porta a un’incoraggiante se non sorprendente narrativa. Ciononostante, le persone ritengono le narrative drammatiche fin troppo credibili, che siano supportate dai fatti o meno non fa differenza. Siamo ancora inondati da storie sul clima e sul futuro pericolose, oltreché false. Le profezie possono autoavverarsi: se ci si fissa sul fatto che non si possa vincere, ci si mette contro la possibilità di vittoria e le persone che cercano di raggiungerla.
C’è ancora un’altra narrazione che è perdurata, a partire almeno dall’invenzione delle lampadine fluorescenti compatte e della Toyota Prius: che dobbiamo rinunciare all’abbondanza ed entrare in un’epoca di austerità. Sta tutto nel modo in cui si racconta la storia. Per considerare la nostra un’era dell’abbondanza, bisogna tenere conto solo delle cose accumulate e ignorare come esse siano distribuite. Vale a dire: viviamo in un’epoca caratterizzata dalla ricchezza estrema di pochi, e dalla disperazione dei molti. Ma ci sono altri criteri per quantificare ricchezza e abbondanza – come la speranza per il futuro, la sicurezza e la fiducia pubblica, il benessere psicologico, l’amore, l’amicizia e le relazioni sociali forti, un lavoro significativo e delle vite con uno scopo, uguaglianza, giustizia e inclusione.
All’inizio ci hanno detto che le rinnovabili erano molto costose – questo era parte della narrazione dell’austerità, o una scusa per non mettere in atto alcuna transizione. Ma i miglioramenti nella progettazione e nelle economie di scala sono tra i fattori che le rendono la tipologia più economica di elettricità quasi ovunque nel mondo. Non c’è ragione di pensare che le innovazioni nella progettazione e i progressi economici siano ormai alle nostre spalle; io sospetto che siano per lo più davanti a noi.
Saul Griffith, ingegnere ed esperto di energia, recentemente ha scritto: “la maggior parte delle persone crede che un futuro a energia pulita richiederà a ognuno di accontentarsi di poco, ma in realtà significa che possiamo avere cose migliori.” La vecchia narrazione diceva che non potevamo permetterci di fare quello che l’emergenza climatica richiedeva. La nuova dice che non farlo sarebbe non solo disastroso sul piano ecologico, ma anche più costoso. Le rinnovabili sono in procinto di essere più convenienti dei combustibili fossili; in molti posti, lo sono già. Texas e Iowa ottengono gran parte della loro elettricità dall’eolico perché ha senso dal punto di vista economico, non perché questi stati repubblicani abbiano a cuore la lotta alla crisi climatica. Nell’arco della loro vita, le auto elettriche risultano essere più economiche delle auto a combustione interna perché ricaricarle e mantenerle costa meno. E, ovviamente, questi due esempi non prendono in considerazione gli effetti indiretti che bruciare combustibili fossili provoca sulla salute umana e sul clima.
Molte persone tendono a valutare l’azione climatica in termini di grandi eventi di cronaca nazionale e internazionale, ma il cambiamento che conta avviene spesso a livelli diversi: locale o regionale o altro. Un’università toglie i suoi investimenti; uno Stato fissa una data per porre fine alle vendite di nuove macchine a benzina; una città approva una misura che impone l’uso di energia totalmente elettrica per i nuovi edifici; si inaugura il cantiere per un grande impianto fotovoltaico; uno Stato o un Paese stabilisce un nuovo record per la percentuale di energia eolica nel suo mix energetico; un gasdotto o un terminale di gas o un sito di trivellazione vengono soppressi; una foresta o una torbiera che cattura il carbonio diventa zona protetta; una centrale a carbone viene chiusa. Tutto questo non cancella le brutte notizie riguardo al continuo collasso degli ecosistemi, al prezzo che questo ha sulle vite umane e al suo impatto su un futuro vivibile, ma le contestualizza come crisi a cui possiamo rispondere, se vogliamo. Stanno accadendo tante cose, sia meravigliose sia terribili, e si accumulano molte più storie di quante ognuno possa comprendere. Ma il contesto generale in cui noi le riceviamo è importante, come sono importanti gli strumenti critici per riconoscere, scegliere e cambiare queste storie.
La crisi climatica è un problema che non ha un’unica soluzione, ma tante, esattamente come nella battaglia non c’è un solo eroe, ma tanti protagonisti. Nel 2019, l’attivista climatica svedese Greta Thunberg ha detto che dovremmo adottare un “pensiero da cattedrale”, aggiungendo: “dobbiamo gettare le fondamenta in un momento in cui potremmo non sapere con esattezza come costruire il tetto.” La scrittrice di teorie speculative Octavia Butler, in uno dei suoi saggi, scrisse questo passaggio:
“OK,” disse il giovane con aria di sfida. “Allora qual è la risposta?”
“Non c’è,” gli dissi.
“Nessuna risposta? Intendi che siamo semplicemente condannati?”. Sorrise, come se pensasse che potesse essere uno scherzo.
“No,” dissi. “Intendo che non c’è una sola risposta che risolva tutti i nostri problemi futuri. Non c’è la bacchetta magica. Invece, ci sono – come minimo – migliaia di risposte. Tu puoi essere una di queste, se lo vuoi.”
(Questa è una versione modificata di un discorso pronunciato all’Università di Princeton nel novembre 2022. Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian. Tradotto e revisionato da Diego Vidale, Chiara Schirato, Chiara Orlando, Sarah De Sanctis, Alessio Marras Sitzia e Claudia Isoli, volontari del WG Traduzioni di Fridays For Future Italia).
24/3/2023 https://fridaysforfutureitalia.it
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