Se dopo 40 anni il SSN non è più uguale per tutti.
I princìpi base del Servizio sanitario nazionale sono tre: universalità, uguaglianza, equità. Oggi la Sanità li nega tutti e tre ad alcuni milioni di italiani. Le fondamenta del Ssn reggono bene, anche molto bene, solo in poche zone del Paese. In altre mostrano lesioni strutturali, che possono essere riparate. In alcune aree invece, soprattutto del Sud, sono a rischio di crollo. Per celebrare i quarant’anni del Ssn – come accade domattina al ministero della Salute, con il presidente della Repubblica – è importante iniziare da qui, scattando una “fotografia” che sia la più obiettiva, e la più onesta, possibile nei confronti dei cittadini, evitando toni enfatici e trionfalistici sullo stato delle cose.
Da qualche anno il termine più ricorrente è “disuguaglianza”. Era centrale nel rapporto CENSIS di alcuni giorni fa, lo è nel rapporto Pit-Salute di Cittadinanzattiva, presentato oggi. Ma in realtà è una parola usata da parecchio tempo dagli esperti del settore. E in particolare da Michael Marmot (presidente della World Medical Association), che due anni fa ha pubblicato “La salute disuguale” (Pensiero Scientifico Editore). Con questo testo, Marmot ha rafforzato la sua immagine di medico/studioso di riferimento mondiale, cresciuta anche grazie ai suoi studi epidemiologici e sociali. Lui analizza ogni situazione sotto un unico profilo, sostenendo che “il bene della buona salute è distribuito in maniera molto diseguale. In alcuni paesi la condizione di salute è assimilabile a quella descritta da Dickens. Attualmente, il paese con la peggiore salute al mondo ha un’aspettativa di vita di quasi quarant’anni inferiore a quella del paese che vanta le migliori condizioni di salute…Le disuguaglianze stanno crescendo anche all’interno dei singoli paesi, la salute dei benestanti sta aumentando più rapidamente di quella dei poveri…”.
Il ragionamento di Marmot si può applicare alla realtà italiana? In parte sì, perché pur non registrando i divari abissali che lui cita, è vero che l’aspettativa di vita a Napoli è di circa tre anni inferiore rispetto a quella registrata nelle Regioni del Nord. Come è vero che le porte della Salute sono chiuse a tanti, troppi italiani (4 milioni di persone non hanno accesso alle strutture, ma è un dato approssimativo), mentre altri, chiamiamoli “benestanti”, per curarsi spendono di tasca propria miliardi di euro, per un totale che supera i due punti del Prodotto interno lordo. Ognuno dunque pensa a se stesso, perché, come ricordava il rapporto CENSIS numero 52, “il difficile accesso alla Sanità genera costi aggiuntivi e una crescente sensazione di disuguaglianze e ingiustizie…Tre i fattori che incidono: l’offerta del territorio di appartenenza, la condizione socio economica e l’età delle persone”.
Ciò che emerge, leggendo studi e ricerche compiute dagli enti più vari, è la convergenza analitica. Dallo studio di Pit-Salute, realizzato durante l’intero 2017, “intervistando” 20.163 persone, risulta che la parola uguaglianza non è più all’ordine del giorno: oltre un cittadino su tre (37,3 per cento, 6 punti in più rispetto all’anno precedente) sostiene di non poter accedere ai servizi sanitari; le liste di attesa si allungano (in media 15 mesi per una cataratta, 13 mesi per una mammografia, 12 mesi per una risonanza magnetica, 10 per una Tac e per una protesi d’anca, 9 mesi per un ecodoppler e 7 per una protesi al ginocchio); e inoltre aumentano i costi a carico dei cittadini per ticket, farmaci e prestazioni in intramoenia.
Spesso, su questo spazio, segnalo i “buchi neri” dell’assistenza sanitaria. E purtroppo, anche se non sempre, devo constatare che la volontà politica, amministrativa non va di pari passo con le necessità di un settore fondamentale per la salute e il benessere di 60 milioni di persone. E poi va preso atto che le scelte dei partiti di governo non combaciano con le lotte e le critiche fatte quando erano all’opposizione. Perché pur tralasciando la giravolta sui vaccini – M5S e Lega avevano condotto una campagna durissima sull’obbligo, che al momento viene confermato – resta da capire perché la Sanità non sia ai primi posti nelle scelte giallo-verdi. Sostenere – come fa la ministra Giulia Grillo – che nella manovra c’è un miliardo di euro aggiuntivo nel Fondo sanitario è corretto, però non rappresenta un passo in più rispetto al passato, perché conferma quanto era stato stanziato dal governo Gentiloni. Rinviare l’abolizione del super ticket è una promessa non mantenuta, perché si sostiene che bisogna prima trovare i soldi per colmare i buchi di bilancio (anche se in Emilia Romagna lo ha hanno appena tolto su farmaci, esami e visite per i redditi familiari fino 100 mila euro). Va anche detto che sono stati stanziati 350 milioni per abbattere le liste di attesa: buona decisione, se però non si faranno assunzioni mirate il problema resterà.
Tralascio altri aspetti seri e gravi come la corruzione, la mala sanità, gli sprechi, le condizioni di lavoro del personale, le assunzioni. E nonostante tutto sono convinto che i necessari aggiustamenti siano a portata di governo e di ministra. Purché non si aggravi la situazione oggettiva della Sanità, già oggi preoccupante per milioni di persone, perché se passerà la proposta di autonomia differenziata in tre Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), possiamo essere certi che le disuguaglianze territoriali si faranno drammatiche.
E comunque per celebrare degnamente i 40 del Ssn va ricordato che la legge 833 non fu una operazione di vertice politico dell’epoca (anche se fortemente sostenuta dalla compianta ministra Tina Anselmi), bensì la conseguenza delle lotte sociali e sindacali che portarono notevoli cambiamenti, anche sull’interruzione di gravidanza e sulla chiusura dei manicomi. Era un periodo di riformismo concreto, che nel campo della salute si ispirava alla Costituzione, abolendo le mutue e istituendo il Servizio sanitario nazionale per tutti, uguale ed equo.
Però adesso nel governo c’è qualcuno che se sente la parola Costituzione mette mano alla pistola. La solita iperbole? Non proprio, perché questa azione rischia di diventare reale, e su ampia scala, se verrà concesso l’uso delle armi agli italiani. Ed è possibile che un giorno non lontano medici e infermieri non saranno aggrediti soltanto da coltellate ingiuste (crimini troppo frequenti adesso), ma dalle pistolettate di chi si vorrà vendicare di un presunto torto medico/sanitario subìto in ospedale. Nel qual caso, seguiranno copiose lacrime di coccodrillo…
Guglielmo Pepe
dal blog pepe.blogautore.
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