Se mancano il senso del ridicolo e la buona fede.

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Nel corso della mia esistenza, così come durante i lunghi anni di attività sindacale, ho cercato di non dimenticare mai quello che, una volta – credo fossi ancora tredicenne -mia nonna, “La tedesca”, come la chiamavamo (di nascosto) noi nipoti, sentenziò: ”La donna onesta può marciare con cento soldati!”.

Guai anche quando, più tardi, qualcuno tra noi – più sfrontato e reso ardimentoso dall’inesorabile trascorrere del tempo – osava replicarle: ”Chi pratica lo zoppo, impara a zoppicare!”.

Quello della donna onesta, in così numerosa compagnia, rappresentava, ai suoi occhi, un principio categorico – che mi sono sforzato di seguire sempre – cui, inderogabilmente, seguiva: ”L’abito non fa il monaco!”.

Oggi, alla soglia sei settanta, nonostante continui a credere che non sia automatico imparare a zoppicare o a rubare – solo perché si frequenta un soggetto avvezzo a farlo -l’esperienza mi ha insegnato che, rispetto alla signora cui si riferiva la nonna, la certezza è opportuno limitarla esclusivamente alle sue doti “podistiche”.

In effetti, sono stato costretto a prendere atto che, abbastanza frequentemente, non è, purtroppo, azzardato dare anche credito a quell’antico adagio secondo il quale sarebbe possibile conoscere una persona valutando le sue frequentazioni.

Mi veniva in mente il famoso: ”Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, appena qualche giorno fa, nel leggere, tra le News di Pietro Ichino, un articolo firmato da Franco Debenedetti, fratello maggiore di quel Carlo che, nel 1976, dopo appena quattro mesi dalla nomina ad Amministratore delegato della Fiat, si dimise a causa di “divergenze strategiche” con la proprietà. Solo dopo molti anni, nel 2009, dichiarò (fonte: Wikipedia) che le dimissioni erano state dettate dall’indisponibilità della famiglia Agnelli a ridurre in modo considerevole il numero degli addetti agli stabilimenti della Casa torinese.

Quello stesso Carlo successivamente (fonte: Wikipedia) condannato, in primo grado e in appello, a otto anni e sei mesi per concorso in bancarotta fraudolenta, salvo annullamento della sentenza da parte della Cassazione (fonte: Wikipedia).

Pesantemente coinvolto nella bufera di Tangentopoli del 1993; reo confesso (fonte: Wikipedia) di aver pagato una tangente da dieci miliardi per l’ottenimento di una commessa da parte di Poste Italiane. Nonché condannato (fonte: Wikipedia), in primo grado, a cinque anni e due mesi di reclusione, per le morti d’amianto della Olivetti; quest’ultima condanna, condivisa (fonte Wikipedia) con il fratello Franco.

L’articolo dell’ospite di Ichino, verteva su uno dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil; la richiesta di abolizione dei voucher.

Le argomentazioni di Franco Debenedetti a sostegno del “No” erano di natura poliedrica.

Richiamavano, infatti: a) un mercato del lavoro italiano ridotto al livello di quello risalente – ma, in realtà, mai esistito – addirittura alla preistoria dell’Albania di Enver Hoxha, b) una strumentale sottovalutazione delle distorsioni che hanno sin qui caratterizzato l’uso troppo disinvolto dei buoni-lavoro e c) il patetico tentativo – pari al rapporto esistente tra cavoli e merenda – di assimilazione dei voucher ai mini jobs tedeschi.

In effetti, se la materia del contendere non fosse così seria, ci sarebbe solo da ridere o, meglio, piangere, rispetto agli “espedienti” cui ricorre Franco Debenedetti per disinformare l’opinione pubblica.

Invero, in ossequio alle paure ancestrali che, strumentalmente, vengono, di volta in volta, alimentate – ieri l’altro, l’assalto albanese alle nostre coste, poi l’invasione da parte di legioni di rumeni e zingari, oggi l’orda di extracomunitari, che, in effetti, tutto desiderano meno che restare in Italia, nei gulag di raccolta – si ricorre, finanche, allo spettro del più bieco comunismo degli anni ’50.

Quale altro significato altrimenti assegnare, ad affermazioni secondo le quali un eventuale ritorno, all’art. 18 dello Statuto, riporterebbe, addirittura, l’Italia al livello dell’Albania pre-89? Che senso hanno “cretinate” di questa portata, se non quello di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla realtà dei fatti e alimentare, invece, un inutile e ridicolo allarmismo?

Perché cercare di far credere nella concreta possibilità d’impedire e facilmente sanzionare gli eventuali abusi commessi attraverso l’utilizzo dei voucher, senza avvertire il dovere morale e civile di affermare che nel nostro Paese i controlli sono diventati sempre meno frequenti e le sanzioni – quando previste – restano, di norma, semplici dichiarazioni di principio?

Piuttosto, perché Debenedetti & company non denunciano – per stima e a sostegno degli imprenditori rispettosi delle norme – che “La campagna di delegittimazione e di denigrazione dello strumento dei voucher è stata velenosa” solo ed esclusivamente in conseguenza dell’uso fraudolento degli stessi, da parte di farabutti travestiti da datori di lavoro?

Per quale recondito motivo, infine, “mentire sapendo di mentire” – perché escludo una non conoscenza dei due diversissimi strumenti – cercando di contrabbandare un’inesistente conformità tra i voucher e i mini-jobs?

Oppure dobbiamo prendere atto che tra i grandi manager o presunti tali, del nostro Paese, figurano anche soggetti che ignorano che i mini jobs tedeschi – che prevedono la maturazione delle ferie e malattie pagate – non hanno nulla da spartire con i nostri famigerati buoni-lavoro?

Termino rilevando che la già triste situazione appare in tutta la sua desolante realtà quando – alla sistematica opera di disinformazione – si aggiungono bizzarre elucubrazioni; capaci di giungere, a mio avviso, a inconcepibili forme di sproloquio.

E’ il caso di Simone Ferro, un ex collaboratore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, capace, addirittura – attraverso “lavoce.info” del 24 c.m. – di arrivare a chiedersi quali sarebbero, in definitiva, i vantaggi prodotti dall’emersione del sommerso attraverso il ricorso ai voucher.

A suo parere, considerato: a) il lavoro accessorio esente da imposizione fiscale, b) l’assenza, per l’erario, di qualsiasi introito, c) il mancato diritto del lavoratore ad accedere ai c.d. ammortizzatori sociali, d) l’assenza del diritto alle ferie e al riconoscimento della malattia, e) l’assoluta irrilevanza dell’eventuale trattamento pensionistico e, per finire in gloria, f) la mancanza di alcuna garanzia sulla continuità del rapporto lavorativo; “L’unico vantaggio dell’emersione di questo <nero> finirebbe per essere rappresentato dalle quote previste a favore dell’Inail. Cosa importante ma non sufficiente per il lavoratore!”.

Secondo queste anticonformistiche considerazioni, quindi, l’emersione di “Questa  piccola quota di sommerso” – coma la definisce Ferro – rappresenterebbe, in definitiva, per i lavoratori, un’operazione di scarso rilievo; quasi insignificante.

Lungi dal porsi, evidentemente, alcun problema circa l’inderogabile esigenza che ogni forma di lavoro – anche se solo di carattere occasionale – sia, comunque prevista dalle vigenti disposizioni, legittima e adeguatamente tutelata; sempre!

Renato Fioretti

Esperto di Diritto del Lavoro

Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

26/1/2017

 

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