SE MESSENIA PIANGE, SPARTA NON RIDE
Sarà forse l’effetto psichedelico prodotto dal gioco dei colori tra giallo, arancione e rosso cui siamo incessantemente sottoposti da oltre un anno, ma certo è che tra, quelle circolanti in Italia, la più aggressiva delle “varianti”, in termini di “indice di contagio”, è la c.d. “draghite”!
Non si spiegherebbe altrimenti quel senso di soddisfazione e di quasi entusiasmo con il quale le maggiori Confederazioni sindacali hanno presentato e, con più 1 o meno enfasi, commentato un documento programmatico firmato insieme al Premier e al Ministro della P.A. in data 10 marzo.
In effetti, le otto paginette del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” costituiscono un documento in cui nella prima parte sono riportate quelle che possono sostanzialmente definirsi semplici dichiarazioni di principio e nella seconda vengono illustrati sei “punti” sui quali si dichiara di “concordare”.
In questo senso, essere d’accordo sul particolare che “il ruolo della P.A. come motore di sviluppo è centrale” oppure rispetto al fatto che la crisi innestata dal Covid-19 “rappresenta un’occasione di cambiamento per migliorare, tra l’altro, i servizi a famiglie e imprese”, equivale a scoprire che “a infilare le dita nell’acqua bollente ci si ustiona”!
Su questo punto però, rilevo che le esperienze negative, così come le ustioni, dovrebbero sempre indurci alla massima cautela.
Di conseguenza, nel ritrovare nel corpo della prima parte del documento l’intenzione di “attenuare le disparità storiche e il dualismo tra settore pubblico e settore privato” associata alla capacità di “adattarsi a scenari mutevoli con una flessibilità che riguarda tre variabili” e tra queste c’è il lavoro, nel senso della “gestione delle risorse umane”, riscopro lucubri presagi.
Intendo dire che non è tutto oro ciò che luccica.
Torno quindi a tutto ciò che paventavo e a quanto è stato purtroppo realizzato nel corso degli ultimi 15/20 anni in termini di erosione dei diritti e delle tutele dei lavoratori in nome di parole d’ordine quali; “flessibilità”, “dualismo del mondo del lavoro”, differenze tra “inside e outside” e disparità di trattamento tra lavoratori “garantiti” e “paria” del settore privato.
Al riguardo, evito di ripercorrere la storia della legge 30/2003 che tanti, strumentalmente, continuano a richiamare quale “legge Biagi” e del d. Lgs. 276/2003 (che produsse l’attuale supermarket delle tipologie contrattuali) per ricordare soltanto che è alla traduzione in norme di legge delle teorie del giuslavorista Pietro Ichino 2 che si devono la sostanziale cancellazione dell’art. 18 dello Statuto e la sostituzione del vecchio contratto di lavoro a tempo indeterminato con il c.d. “Contratto a tutele crescenti”.
Tra l’altro, non sfugga che, ancora nella prima parte, si legge “anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati”.
Cosa significherà nei fatti? Si prospetta il superamento della norma costituzionale che prevede – salvo i (pochi) casi previsti dalla legge – l’accesso nella P.A. limitato all’istituto del concorso oppure, quale altra soluzione si prospetta al fine di evitare le lunghissime attese?
In questa prospettiva dunque è nell’angusto spazio tra il piangere, piuttosto che non ridere, che può essere compresa l’essenza di ciò che si paventa possa essere il futuro dei lavoratori del settore pubblico.
Altrettante perplessità destano alcuni tra i sei “punti” rispetto ai quali si sostiene che il Governo e le Confederazioni sindacali “concordano”.
Al riguardo e in estrema sintesi, rilevo la sensazione che il “Patto” appena siglato, prospettando la parificazione del settore pubblico a quello privato, presenti una visione iper produttivistica dell’azione della P.A.
In sostanza, il timore è che s’intenda procedere al superamento dell’ennesimo 3 “dualismo” adottando lo stesso modello “al ribasso” che ha già arrecato consistenti danni, temo irreversibili, ai lavoratori privati.
Non convince, infatti la trasposizione, con tutte le negatività già scontate nel privato, di un modello organizzativo di gestione contrattuale e del c.d. “capitale umano” che pare prevedere differenti modelli retributivi, nuovi criteri per selezione e assunzione del personale, contrattazione integrativa e decentrata “in deroga”, previdenza complementare e, dulcis in fundo, welfare contrattuale.
Rispetto a quest’ultimo punto, come già ampiamente illustrato e documentato in altre occasioni 4 ritengo opportuno rilevare che la previdenza integrativa e più ancora la sanità, rappresentano già un business nel quale sono presenti ingenti investimenti da parte di privati e multinazionali.
A parte questo non insignificante particolare, aggiungo di continuare a considerare una iattura lo scambio tra salario e previdenza/sanità integrativa, sebbene la cosa possa apparire interessante agli occhi dei lavoratori e, perché no, allettante per le “compiacenti” OO. SS.
A mio parere, in definitiva, esiste il concreto rischio che, attraverso il ricorso allo strumento del welfare aziendale, si miri, in sostanza, alla contrazione se non al drastico ridimensionamento di quei diritti universali che dovrebbero essere garantiti a tutti, anche al di fuori del rapporto di lavoro.
In effetti, si concorda circa l’esigenza di più stato sociale, più sanità e più servizi ma lo Stato, più che produrli e distribuirli, li delega ai privati, con sempre maggiori oneri a carico dei cittadini, prima ancora che dei lavoratori.
Se a questo aggiungiamo le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal Presidente di Confindustria e le pressioni al Premier che provengono dal fronte padronale: dal superamento dei (residui) vincoli sulle assunzioni a termine al vero e proprio ossimoro secondo il quale sarebbe indispensabile sbloccare i licenziamenti al fine di consentire alle imprese di assumere, ci sono seri motivi di preoccupazione!
NOTE
- La Cisl in particolare: se attraverso il suo Segretario generale avverte già l’esigenza di ringraziare Draghi e Brunetta di averli ricevuti nella sala Verde di Palazzo Ghigi e dichiara grande soddisfazione per una serie di semplici dichiarazioni di principio cui nessuno sano di mente potrebbe – a priori – dichiararsi contrario; con il Segretario generale della funzione pubblica, si entusiasma fino al punto di definire (avventatamente a mio parere) le otto paginette dell’accordo addirittura quale “moderno piano industriale per la Pubblica Amministrazione”.
- Pietro Ichino, alias “Il Licenziatore”, che in nome del superamento di ciò che definiva “il dualismo del mercato del lavoro – tra inside e outside” e tra “garantiti” (con art.18 dello Statuto) e “paria” – si rilevò il più accanito e strenuo teorico delle controriforme operate dai governi Monti e Renzi.
- Ieri tra garantiti e paria; oggi tra settore pubblico e privato.
- Fonte: “Welfare aziendale, questo sconosciuto”; su “Micromegablog” del 21/3/2018 e 11/4/2018.
Renato Fioretti
Esperto Diritti del Lavoro
Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute
22/3/2021
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