Sedotti dalla rete
– Foto: fonte Eco di Bergamo –
Siamo in pieno caos comunicativo. E la colpa è anche dei social e dell’uso che se ne fa. Ognuno si sente autorizzato, tramite i social network (Facebook è il più frequentato con oltre due miliardi di iscritti ) e il supporto delle tecnologie digitali che accompagnano costantemente il nostro tempo quotidiano, ad esprimere ciò che pensa ovunque e dovunque. Via Facebook, via Whatsapp, via mail, via Hangouts ecc…Abbiamo tante vie online per comunicare. Meno, molte di meno quelle delle comunicazioni vis a vis. Nulla di strano nel comunicare tramite la rete. Ѐ una possibilità, un potenziamento che consente la libertà di opinione sancita anche dall’art. 21 della nostra Costituzione. La rete è sicuramente un facilitatore della comunicazione, perché taglia le attese, promuovendo il tempo reale. Ma quello che ci riporta nella barbarie e ci induce all’isolamento avviene sui social network e tocca negativamente vari aspetti della nostra vita sociale e privata: l’overdose del tempo trascorso online, la mole abnorme di commenti, spesso fuorvianti, sul tema iniziale e il bagaglio di informazioni che sono spesso dei fake e le fonti fittizie. In rete, generalmente, non ci si sofferma a leggere un articolo di approfondimento e non si perde tempo a verificare le fonti. Si fanno semplicemente scorrere le news e si pensa erroneamente di essere bene informati. Si memorizzano titoli a cui si dà credito per scontato. Bastano poche parole: “Uomo di colore uccide donna bianca” per scatenare la bagarre, il putiferio.
Appare nella rete la notizia del tragico evento, un femminicidio. Si scatena l’ira di dio. Si va oltre la tragedia, oltre il fatto in sé, su cui resta spesso alla ricerca di particolari morbosi chi si nutre di disgrazie altrui. Sulla cronaca e sulla ricerca della verità se ne scrive nei commenti solo sfiorando l’argomento, anche perché non si ha cura di leggere e di verificarne le fonti, e ci si divide immediatamente in più fazioni. Si apre una diatriba al massacro sull’uomo nero assassino. Ma nel commentare si va oltre, la rabbia non si ferma all’assassino. Si va avanti di commento in commento a colpi di click bifidi e velenosi, tutti tesi a colpire le diversità etniche. In particolare sulla questione spinosa dell’accoglienza al migrante e sulla colpevolezza atavica, dovuta all’etnia e al colore della pelle. “Ha ucciso perché Nero”, quindi tutti i Neri sono assassini, ma anche “solo i Neri sono assassini”. Un sillogismo che fa saltare tutte le regole della logica e della ragionevolezza. Da un titolo sparato in un link “Metropoli al collasso, per incuria degli amministratori capitolini” Si accende il delirio. Ѐ responsabilità dell’amministrazione attuale. No della precedente, anzi di quella del secolo scorso. Ognuno trova le colpe a seconda della sua esperienza personale o collettiva che sia. E fioriscono commenti da “sciocco del villaggio” , avrebbe detto Umberto Eco, che di comunicazione se ne intendeva.
Notizia nel dettaglio: “Strada sommersa da immondizia. Traboccano i cassonetti”, quindi si precisa che su UNA STRADA i cassonetti traboccano d’ immondizia. Con un altro crollo di logica si afferma che su tutte le strade del Paese i cassonetti traboccano d’immondizia. Rieccolo il balzano sillogismo. Ciò non toglie che i problemi di cattiva gestione delle risorse e incuria da parte delle amministrazioni siano reali, ma per creare la notizia si amplificano con un titolone d’effetto quantomeno fuorviante sulla realtà dei fatti. Se ne distorce il senso e la “sostanziale verità dei fatti”. Alla fine il fatto diverge dalla realtà e assume le sembianze piuttosto banali, ma strumentali, della menzogna.
Questi sillogismi, utilizzati spesso, nei media mainstream sono pane per le politiche populiste in atto. Fanno bene al potere, ma male, molto male a chi ne è vittima e succube. Specie al migrante,a cui sono addebitate tutte le colpe delle città al collasso. Lui viene preso in prestito per scatenare la guerra fra poveri. Ciò non fa altro che aumentare la febbre della confusione. Gli effetti più abietti del problema della xenofobia ossessiva si esplicitano anche nei commenti sul social network Facebook. Commenti che si trasformano spesso in alterchi violenti sull’argomento, fino all’offesa personale. Opinioni che non si connettono quasi mai al tema indicato nel post da cui il caos comunicativo ha origine. Si arriva allo scontro sul tema del razzismo, dove, in fondo, voleva che si arrivasse chi gestisce la cabina di comando del network in questione. Dietro quella cabina c’è il nostro comune nemico, il capitalismo, travestito da buon samaritano che tutti accoglie e anche gratis. L’accesso a Facebook è gratuito, chiediamoci il perché.
Il commentatore che trascende nel commentare, ignaro spesso dell’ingannevole e indotta scivolata, scarica lì la propria rabbia sociale, mentre l’obiettivo dovrebbero essere sempre e solo i palazzi del potere. Si arriva a dar giù all’occasionale amico, mai visto e conosciuto, virtuale appunto, che capita casualmente di contattare nel tempo di permanenza online. Facebook, per chi non sa gestirlo e se ne lascia catturare e sedurre è la damnatio comunicativa dei nostri tempi. Se ne può dedurre che il social network più gettonato è uno strumento di distrazione di massa, per non volgere l’attenzione sulla devastante realtà sociale in cui stiamo affogando, deprivati dello Stato di diritto, unica condizione che ci consentirebbe di vivere pienamente una positiva socialità reale. Uno strumento, ormai diventato fenomeno e oggetto di attenzione e studio di team di psicologi e psichiatri.
Perché frequentiamo così assiduamente la rete e i social network? Ѐ plausibile pensare che in rete possiamo tenere sotto controllo le relazioni virtuali, come non riusciamo e non possiamo fare nei nostri rapporti reali. Gli effetti collaterali ci sono però. Rancori sopiti verso il partner, il collega, la politica e il governo o con il compagno di lotte che tradisce, spesso si scaricano sul malcapitato in cui ci imbattiamo sulla rete che viene investito della funzione di capro espiatorio di tutte le nostre insoddisfazioni. Perché lì possiamo. Nessuno ci caccia di casa o ci licenzia o ci allontana da un qualsivoglia contesto sociale. Sulla rete svanisce la paura di perdere qualcosa che ci appartiene, perché in realtà lì non possediamo nulla, tranne il pc che ci permette l’accesso. Forti di questo potere di non avere nulla da perdere, qualcuno alza alto il capino. Fioriscono così sulla rete i mostri virtuali, che sovente nella vita reale non sono altro che defilati lacchè, vittime del sistema di potere. Da vittime nella realtà a prepotenti nella rete, forti dell’anonimato delle tecnologie online. Il passo è brevissimo. Con un click si accede alla prima euforia di avere tanti contatti, pensando impropriamente che si sono conquistati tanti amici, così come li indica il sistema del social network “Amici”.
Poi si passa alla seconda euforia, quella di stabilire una comunicazione che non si sa che verso prenda. Scatta la terza cinica euforia, quella dell’assalto, generalmente riservato ai troll che di mestiere si infiltrano e spostano la comunicazione sull’affronto personale e sul litigio collettivo. Sono bravissimi ad innescare la miccia ed è da lì che traggono la convinzione, per loro vitale, di sentirsi adeguati e vincenti. Per i troll, che generalmente nella vita reale sono degli sfigati, qualsiasi contatto è utile allo scopo. Il click in ogni caso resta lo strumento effettivo di potere. Se si può far sparire qualcuno con un click e tutti possono far sparire qualcuno con un click, l’assunto è che nel virtuale esistiamo (ci accendiamo) o cessiamo di vivere (ci spegniamo) per un click. Se ne potrebbe dedurre anche che almeno sui social ci sono le pari opportunità. Tutti possiamo farlo, ergo abbiamo lo stesso potere, perché non c’è un click più potente di un altro.
Dove e verso chi canalizziamo il nostro fittizio potere in rete? Ogni post è adatto allo scopo, basta avere più contatti ed essere sufficientemente carichi di livore verso il prossimo e la società, gestita da una vergognosa e truffaldina malapolitica che nulla offre e tutto toglie. Questo è il presupposto. Facebook non è adatto ad euforizzare la vita dei riservati, dei silenziosi, degli introversi, dei pacifici, di quelli che “va tutto ok”, che al limite stanno in platea e osservano. Per i più, a caccia di emozioni e di sfoghi, diventa sempre più frequente esprimersi con epiteti tranchant, da cui certo non fioriscono viole. Se s’imbattono nel fine dicitore, forse li ignorerà finché regge. Al limite della sopportazione neanche un principe del foro riuscirà a tacere e sparerà cartucce in vernacolo come “Er Monnezza”. Anche perché rispondere con un verso poetico ad un attacco su un commento che si esplicita più o meno così “Ao, ma che te sei bevuto er cervello?”è roba da Sant’Agostino.
Certo con un click è fatta. Ma non illudiamoci, non è finita. Di disturbatori ne nascono contemporaneamente altri cento, mille, diecimila al nanosecondo. Allora il problema della mala educacion nella comunicazione online viene favorita dalla costante presenza sui social e quindi se ne dovrebbe gestire meglio l’uso? O il vero problema è che si è radicato una sistema sociale reale che emargina e relega le persone ad un piccolo, troppo angusto spazio di socialità e le costringe a privatizzarsi e a chiudersi a lumachina, fino a desiderare di gettarsi full time nella rete per vivere una socialità virtuale e rischiare di diventarne dipendenti?
Il forte rischio è quanto si analizzava sopra, La rete è assai seduttiva ed è pronta ad accoglierci come la più tenera e sensuale delle amanti. Accarezza e coccola le nostre fragilità, fino a generare dipendenza. Ѐ un inganno. Lo scopo finale è quello di non farci più uscire di casa, di rubarci l’identità e di trasformarci in mostri virtuali che conducono una vita a doppio binario fra il reale e il virtuale e confonderle. Per capire come molti internauti permanenti arrivino a pensare e a credere impropriamente alla falsità che la comunicazione in rete sia l’unica possibile a potenziare le relazioni e a moltiplicarle all’ennesima potenza, solo perché avviene alla velocità di un click, occorrerebbe un tutor esperto in semiotica dei media, di concerto con uno psicologo terapeuta degli abusi delle tecnologie che accompagnino meticolosamente chi sta per essere affetto da Iad (Internet addiction disorder ) o ne è già pienamente colpito.
Per sfiorare appena il problema della comunicazione online delle organizzazioni politiche, si può affermare che in questo importante campo di comunicazione si scatena la vera guerra virtuale. Funziona anche qui a colpi di click micidiali fra i diversi e concorrenti schieramenti politici, che hanno stabilito nelle corrispondenti pagine dei social il loro quartier generale. L’assoluta ed estrema barbarie politica si realizza quando le stilettate da click avvengono fra militanti dello stesso partito. Neanche Caino e Abele.
Alba Vastano
Giornalista
Collaboratrice redazionale del periodico Lavoro e Salute
6/12/2018
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