Settimo rapporto Gimbe sulla sanità: un po’ di cipria su molti disastri

Foto Claudio Furlan – LaPresse, murale a Quarto Oggiaro realizzato da Cosimo Cheone e dedicato al sanitario dell’ospedale Sacco di Milano

Se mettessimo in fila i sei rapporti della fondazione Gimbe (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, associazione fondata nel 1996) sullo stato della Sanità Nazionale la prima sincera reazione sarebbe quella di  protestare contro un accanimento terapeutico, non dettato da tentativi forzosi e reiterati di animare il sistema pubblico ma dal progressivo abbandono, dai tagli di bilancio, uno strisciante svuotamento di quello che negli anni 80, all’indomani della legge 833/78,era un fiore all’occhiello apprezzato in Europa.

Se pensate che il settimo rapporto Gimbe, presentato il 4 ottobre alla Camera dei deputati, registri una inversione di tendenza dopo la dura prova del covid e il canto delle sirene del PNRR le vostre attese sono pari a quelle delle centinaia di persone che quotidianamente richiedono la data per esami fondamentali per la propria salute.

I dati che si dipanano in poco meno di 200 pagine tracciano una linea di confine vicina al tracollo. Tra il 2010 e il 2019 la sanità pubblica ha una contrazione dei finanziamenti di oltre € 37 miliardi, con un l’aumento del FSN che è stato di soli € 8,2 miliardi in 10 anni pari a una crescita media dello 0,9% annuo, al di sotto dell’inflazione media annua del 1,15%. Nel triennio legato alla pandemia (2020-2022) il FSN è cresciuto sì di € 11,6 miliardi, oltre ad altri 11 milioni di euro per l’emergenza sanitaria, ma questi incrementi sono stati indirizzati alla risposta pandemica. La legge di bilancio del 2023 ha previsto un incremento del FSN di € 2.150 milioni nel 2023 (di cui € 1.400 milioni destinati alla copertura dei maggiori costi energetici), € 2.300 milioni nel 2024 e € 2.600 milioni nel 2025. In buona sostanza il Piano Strutturale di Bilancio per gli anni 2025-2029 prospetta un quadro tendenziale del rapporto spesa sanitaria/PIL negativo, passando dal 6,3% del biennio 2024-2025 al 6,2% nel periodo 2026- 2027eclusi tassi di inflazione (in Europa la media è del 6,9%)

Tutto questo a fronte di un piano PNRR che vede piani di investimento come mai se ne sono visti in Italia dal dopo guerra. Il piano 6, dopo le rimodulazioni presentate dal governo, ha lasciata la somma destinata ferma ai 15,63 miliardi. Il rapporto Gimbe pone l’accento sul fatto che “Le rimodulazioni quantitative hanno previsto una riduzione di Case della Comunità (-312), Centrali Operative Territoriali (-120), Ospedali di Comunità (-93) e interventi di antisismica (-25), oltre che dei posti letto di terapia intensiva (-808) e semiintensiva (-995). È stato aumentato il numero degli over 65 da prendere in carico in assistenza domiciliare (da almeno 800 mila a 842 mila) e dei pazienti assistiti in telemedicina (da almeno 200 mila a 300 mila). Per quanto riguarda le rimodulazioni delle scadenze, l’attivazione delle Centrali Operative Territoriali è slittata dal 30 giugno 2024 al 31 dicembre 2024; quella delle grandi apparecchiature dal 31 dicembre 2024 al 30 giugno 2026”.

Lo scenario,di per sé allarmante, peggiora nelle regioni del Sud – Sardegna compresa-  “in  termini di adempimenti LEA, modelli organizzativi dell’assistenza territoriale, dotazione di partenza di Case di Comunità e Ospedali di Comunità, percentuale di over 65 in assistenza domiciliare, status di attuazione del fascicolo sanitario elettronico; personale per il potenziamento dell’assistenza territoriale; modalità di coinvolgimento di medici di famiglia; grave carenza di personale infermieristico; ostacoli all’attuazione della telemedicina”.

Un capitolo del rapporto è dedicato agli effetti sulla autonomia differenziata contenuta e disciplinata dalla Legge 86/2024 ed è fortemente critico sui riflessi che la stessa comporterà nell’ambito della assistenza sanitaria con un radicale allargamento della forbice dei livelli LEA tra nord e sud. Nel decennio 2010-2019 nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud al contrario del Veneto e della Lombardia, le Regioni che spingono per una maggiore autonomia, sono tra le prime 5 della classifica.

Altri dati confermano una assistenza sanitaria ripartita tra cittadini di serie A e di serie B in barba all’art. 32 della Carta costituzionale. Nel 2023 a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 83,1 anni a livello nazionale, si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,6 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,4 anni della Campania, un divario di ben 3,2 anni. E in tutte le Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, effetto lampante della bassa qualità e differenza dei sistemi sanitari regionali.

La mobilità sanitaria conferma tale quadro nel decennio 2012-2021. 14 Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo complessivo di € 14,5 miliardi, mentre Lombardia, e Veneto sono ai primi posti per saldo attivo insieme all’Emilia-Romagna. Nel 2021 su € 4,25 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% di quella attiva si concentra in Lombardia e Veneto oltre che in Emilia-Romagna, mentre il 76,9% del saldo passivo grava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo e Sardegna.

Lo scenario, che riprenderemo in una seconda parte, assomiglia alla scena del film “la Signora di Shangai” dove i due coniugi si sparano ripetutamente in un labirinto di specchi, infrangendoli, fino al tragico epilogo.

Ecco, il Sistema Sanitario Nazionale sta per esaurire gli specchi.

Valter Canavese

20/10/2024 https://www.manifestosardo.org/

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