Sfrutta Zero, la salsa anti-caporali
Un pomodoro a sfruttamento zero può fermare la caccia all’oro rosso in Puglia. Lo producono migranti, contadini, precari e disoccupati in filiere auto-prodotte dove si fa a meno di coltivazioni chimiche e delle scatole cinesi dell’agro-industria. Nata a Bari nel 2014, la rete Sfrutta Zero è un progetto di auto-produzione del pomodoro di tipo cooperativo e mutualistico promosso da Diritti a sud di Nardò, Netzanet-Solidariadi Bari e, sotto l’etichetta Funky Tomato, l’Osservatorio Migranti Basilicata/Fuori dal Ghetto di Palazzo San Gervasio a Venosa (Potenza).
«Il pomodoro in Puglia – afferma Gianni De Giglio , lavoratore precario e socio dell’associazione Solidaria che ha dato vita al progetto “Netzanent”, “Libertà” in tigrino – è una ricchezza di cui siamo responsabili. Vogliamo che l’oro rosso da simbolo di sopraffazione e caporalato diventi simbolo di emancipazione, riscatto e speranza di un futuro diverso».
DOPO LE LOTTE SUL DIRITTO all’accoglienza, alla casa e al lavoro dei migranti e dei braccianti agricoli, Diritti a A Sud, Solidaria e Fuori dal Ghetto hanno capito che l’integrazione passava per l’auto-organizzazione e la creazione di lavoro. La salsa «a sfruttamento zero» arriva oggi a Milano, Verona, Mantova, Padova, Roma, Salerno, Casoria, Napoli, Firenze. È il modello del mutualismo 2.0: una pratica politica che sta conoscendo una diffusione anche nel nostro paese, sull’esempio del movimento dei Sem Terra brasiliani e del Soc Sat andaluso, un sindacato che difende i braccianti nella regione del sud della Spagna.
L’IDEA È TANTO SEMPLICE quanto antica: unire le forze in chiave mutualistica, cambiare le relazioni tra datore di lavoro e dipendente e tra produttori e consumatori. Sulla base del mutuo aiuto si possono difendere i diritti sociali e individuali, riutilizzare gli immobili abbandonati e praticare l’agricoltura sociale creando i circuiti indipendenti delle auto-produzioni fuori dall’agro-industria. Come nell’Ottocento, anche oggi una parte dei proventi della salsa sono destinati a una cassa di mutuo soccorso per soddisfare l’esigenza dell’alloggio e del cibo. La cooperazione tra gli uguali è usata per creare le condizioni di una vita degna. «Noi lavoriamo senza padroni, fuori dal regime dei prezzi al ribasso imposto dalla grande distribuzione dei supermercati – continua De Giglio – Ci siamo alleati con i braccianti agricoli e i piccoli produttori. Questo è l’unico modo per contrastare il business sui migranti rivelato da Mafia Capitale. Le grandi aziende se ne approfittano e fanno enormi profitti, noi vorremmo essere l’anello che spezza la catena».
IN TRE ANNI LA SALSA anti-caporali è entrata nel circuito alternativo di auto-produzione e distribuzione creato da «Fuori Mercato», la rete nazionale che collega realtà solidali ed etiche in contesti urbani e rurali da Nord a Sud: si va dalla fabbrica recuperata RiMaflow di Trezzano sul Naviglio a Sos Rosarno, il coordinamento di artigiani, attivisti e piccoli produttori che produce e vende agrumi, ortaggi, formaggi e ‘nduja in tutto il paese. Nel 2015 la produzione di salsa è stata di 1.500 bottiglie di passata di pomodoro, nel 2016 è salita di circa 15 mila bottiglie, nel 2017 aumenterà.
«LA RETRIBUZIONE dipende anche dalla produzione, – racconta De Giglio – più produciamo più riusciamo a dotarci di mezzi di produzione in quantità tali da ammortizzare i costi e mantenere un prezzo di distribuzione e vendita più basso. In questo modo, contrasteremmo davvero la grande distribuzione, che impone il prezzo ai piccoli contadini i quali sono costretti a ridurre i costi soprattutto della manodopera, generando così la vera irregolarità».
I POMODORI SONO SEMINATI e coltivati in appezzamenti di terreno collettivo, messi a disposizione dalla realtà di Orto Circuito. Durante la crescita dell’oro rosso non vengono usati pesticidi o sostanze chimiche di alcun tipo. «Sappiamo che è un rischio – racconta Moro, del Ghana, arrivato in Italia dopo un periodo di lavoro e sfruttamento in Libia ed ora socio di Solidaria – non fare uso di sostanze chimiche sulla terra significa poter perdere il raccolto con più facilità. Ma non ci interessa. Ci interessa che la salute dei consumatori e della terra non venga inquinata o compromessa».
A LAVORARE NEI CAMPI sono gli stessi soci retribuiti otto euro all’ora che controllano e praticano le tre fasi della produzione della salsa: la fase agricola, ovvero di semina attraverso tecniche artigianali a basso impatto ambientale; la fase di trasformazione è effettuata nella Masseria Monelli, tra Turi e Conversano; poi viene la fase dell’autocertificazione partecipata per accertare che durante il processo di produzione non ci siano state sopraffazioni o subalternità. Infine la fase di distribuzione attraverso i gruppi di acquisto solidale in mercatini locali, negli spazi sociali, nella rete Fuori Mercato. «I ristoranti, i gruppi di acquisto solidale, le botteghe e le mense, i consumatori che acquistano le conserve di pomodoro sono co-produttori di Sfrutta Zero, parti della nostra comunità – spiega De Giglio – La partecipazione permette di avere costantemente il capitale necessario per coprire le spese di produzione, garantendo agli agricoltori e ai lavoratori stabilità e continuità nella produzione e ai co-produttori la possibilità di partecipare ai processi di costruzione della produzione futura». Le bottiglie della salsa sono ottenute da materiale da riciclo: barattoli, bottiglie di birra, vasetti lavati e sterilizzati.
SFRUTTA ZERO è una «etichetta narrante» che attesta l’esistenza di una co-produzione tra consumatori, produttori e attivisti. Persone diverse possono dare un contributo al processo politico, e non solo di produzione, che sta dietro la salsa. L’etichetta è la prova visibile che il prodotto è alternativo alla «commodificazione», ovvero alla riduzione del pomodoro a merce.
L’AGRICOLTURA SOCIALE funziona attraverso la disintermediazione delle fasi che gravano sul processo industriale composto da anelli disfunzionali e livelli non comunicanti. Mette in collegamento le fasi industriali, della commercializzazione e della socializzazione dei proventi dall’attività e permette di ottenere migliori condizioni contrattuali e il rispetto dei diritti. Elementi che si perdono quando i luoghi della raccolta, della lavorazione e della commercializzazione sono frammentati nella produzione «di mercato».
«L’ORO ROSSO è una nostra responsabilità, non è proprietà della grande distribuzione. L’immaginario si può e si deve invertire – afferma De Giglio – La libertà ha questo odore e questo sapore: quello della nostra salsa».
Martina Di Pirro
23/4/2017 https://ilmanifesto.it
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