Sfruttamento e incidenti: questo non è un bel lavoro
“Lo sfruttamento e il caporalato sono presenti ovunque e questo non è degno di un Paese civile”. La sconfitta sta tutta in questa frase contenuta nella relazione pubblicata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati. Dopo un anno di analisi dei dati e missioni nei luoghi dello sfruttamento, al limite della schiavitù, la relazione offre una fotografia impietosa della reale condizione di migliaia di lavoratori, soprattutto donne, e guarda a fondo ciò che la gente sfiora quotidianamente: l’umiliazione dei facchini, la violenza sessuale sulle braccianti, le minacce agli autisti della logistica, l’esercito di lavoratori costretto a seguire ritmi massacranti. E come se non bastasse, denuncia l’escalation delle morti e degli incidenti gravi sui luoghi di lavoro, una tragedia che interessa l’intero Paese. Secondo i dati dell’Inail e dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel 2019 circa l’85 per cento delle imprese ispezionate hanno fatton registrare infortuni e gran parte degli episodi gravi o mortali si verificano in aziende con meno di 15 dipendenti o che hanno affidato in appalto l’esecuzione di importanti settori del ciclo produttivo.
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Schiavitù in campo
Il tema dello sfruttamento sul lavoro riguarda soprattutto il settore agricolo, dove emergono situazioni di irregolarità con ricorso a manodopera sottopagata, priva di condizioni dignitose, in larga parte extracomunitaria. Raramente le vittime denunciano, nonostante l’introduzione della legge n.199 del 2016, che ha collegato l’applicazione del reato previsto dall’articolo 603-bis del Codice penale (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) alla responsabilità amministrativa degli enti. Sul caporalato, non esistono dati ufficiali dettagliati sull’estensione del fenomeno, anche se diversi centri studi segnalano una presenza sempre più diffusa su tutto il territorio nazionale e non solo nelle regioni meridionali. Il lavoro irregolare in agricoltura raggiunge una valore del 18,4 per cento, superiore al tasso medio d’irregolarità, pari al 15,5 per cento, riferito al totale dei settori economici nazionali. In uno degli interventi per le audizioni in Commissione, il senatore del gruppo misto Sandro Ruotolo ha parlato di una delle situazioni più delicate, quella di Latina: “Siamo reduci da una missione dove abbiamo toccato con mano il fenomeno del caporalato, dello sfruttamento e addirittura della schiavitù. Abbiamo dei racconti di persone che dicono di guadagnare 4 euro l’ora anziché 12 e lavorare fino a 80 ore settimanali invece delle 36 previste dalla legge”.
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Il prezzo della velocità
C’è poi il tema sicurezza, che non è ritenuto prioritario e cede il passo a velocità e profitto, specie nella logistica, un settore “dove è attualmente presente un processo di estrazione del profitto dal lavoro che catalizza la precarietà dell’occupazione – recita la relazione – attraverso lo sviluppo del fenomeno dell’intermediazione illegale della forza lavoro e del meccanismo delle finte cooperative. La spasmodica ricerca di risparmio dei costi, a discapito della sicurezza sul lavoro, avviene per il tramite di società cooperative spurie, costituite ed estinte per la durata di un appalto o di un subappalto”. Secondo la Commissione d’inchiesta, in questo momento la logistica è particolarmente predisposta a significativi fenomeni di sfruttamento del lavoro “proprio in virtù del fatto che si manifestano in un settore che ha assunto una non trascurabile e crescente rilevanza nel sistema contemporaneo”.
Dagli anni Novanta in poi si è andata affermando una nuova concezione di logistica e numerose imprese hanno optato per l’esternalizzazione di processi quali trasporto e magazzino, servendosi di operatori economici specializzati. Sono nati così i corrieri, che operano in un mercato “letteralmente dominato da grandi multinazionali italiane (Dhl express Italy, Tnt Express Italy, Sda Express Courier, Brt corriere espresso, Ups) che in termini aggregati dirigono circa il 55 per cento del fatturato nazionale nel settore dei servizi logistici, mentre il resto del fatturato, riconducibile ad aziende e cooperative piccole o mediopiccole, ha determinato un generale abbassamento degli standard contrattuali e retributivi a danno dei lavoratori e ha reso più ambigua l’identificazione dell’obbligo solidale riconducibile ai committenti. In questo quadro prendono forma nel comparto fenomeni di sfruttamento del lavoro, in cui irregolarità contrattuali, contributive e salariali appaiono come normale prassi. Inoltre, si delinea una certa predisposizione a infiltrazioni di criminalità organizzata”.
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Un nuovo caporalato
Il lavoro di analisi ha anche acceso i riflettori sui camionisti e sui conducenti dei mezzi di consegna delle merci. È un mondo “caratterizzato da una concorrenza incessante e crescente tra imprese” che “ha in qualche modo stimolato l’adozione di pratiche illegali, portando soprattutto al dumping salariale e fiscale e anche alla violazione delle norme vigenti nell’ambito del cabotaggio stradale”. Le aziende produttrici scelgono sempre di più l’outsourcing. “Ciò ha generato una complessa catena di appalti e subforniture, la cui conseguenza principale è scaricare i costi sugli attori più vulnerabili della filiera, ovvero le piccole cooperative e imprese di facchinaggio. Negli ultimi anni i facchini (costituiti maggiormente da forza lavoro migrante), si sono resi partecipi a cicli di lotte localizzate, principalmente nei distretti logistici e magazzini del Nord-est, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia. Queste lotte sono riuscite a fare emergere l’opacità della catena degli appalti dovuta alla presenza di cooperative spurie, oltre a irregolarità e abusi subiti dai lavoratori. Il nuovo caporalato nei magazzini non è ancora documentato in modo rigoroso, ma appare simile a quello riscontrato in agricoltura. Nel comparto esistono quindi fenomeni di severo sfruttamento lavorativo, con controlli e ritmi serrati che ricalcano le condizioni nelle catene di montaggio degli anni Sessanta”. Si tratta di uno dei passaggi più importanti della relazione, perché sottolinea una regressione del livello dei diritti di un’ampia platea di lavoratori. Oggi la manodopera della logistica è fornita quasi esclusivamente da consorzi di cooperative, cui è affidata la gestione dei magazzini mediante gare d’appalto che vincono puntando al ribasso sul costo della forza lavoro. Nel settore della logistica circa il 16 per cento dei lavoratori sono immigrati, una percentuale che al Nord aumenta in modo sensibile.
Nel corso dell’indagine è stato realizzato un focus sul circondario di Firenze e, più nel dettaglio, sulle condizioni di lavoro di camionisti, corrieri e magazzinieri. L’analisi mostra come nel settore emerga un modello riconducibile a elementi di sfruttamento lavorativo. Il motivo è chiaro: nel caso della cooperativa in appalto, questa si impegna con la ditta appaltatrice a prendere in carico e smaltire tutta la merce in arrivo, scaricando sui lavoratori la responsabilità delle consegne, al di là dell’effettiva quantità. Per rispettare il numero delle consegne il tempo di lavoro si dilata, fino sforare le dodici ore giornaliere. La fretta può portare l’addetto alla consegne a infrangere il codice della strada, con tanto di multe a carico del lavoratore.
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Tra minacce e ricatti
Il capitolo più doloroso dell’analisi riguarda le vessazioni che molti lavoratori subiscono ogni giorno. Scrive la Commissione parlamentare: “L’imposizione di ritmi e condizioni di lavoro non sostenibili avviene in molti casi attraverso l’uso di intimidazioni, minacce, ricatti e in alcune circostanze di violenza psicologica. La minaccia e il ricatto sono da considerare in senso lato: non solo minaccia di sanzioni penali, ma anche di perdita di diritti o privilegi, come una promozione, o di un peggioramento della condizione lavorativa (spostamento in un’altra sede, turni peggiori). L’uso di un linguaggio offensivo rivolto ai lavoratori costituisce, inoltre, una forma di coercizione psicologica, che aumenta il senso di vulnerabilità. Nei magazzini alcune lavoratrici hanno raccontato di caporeparto usate dall’azienda per creare un clima di terrore e imporre ritmi di lavoro poco sostenibili. In una delle interviste è stata anche segnalata un’organizzazione del lavoro che prevede turni basati sulla nazionalità”. Sono poi emerse le maggiori leve dello sfruttamento. “Svolgere straordinari non pagati e ore di lavoro superiori a quelle previste dal contratto; essere costretti ad accettare straordinari in orario festivo; non poter/riuscire a fare pausa pranzo; non avere diritto al riposo settimanale, avere giorni di ferie cancellati quando se ne ha diritto”.
Infine, per quanto concerne i lavoratori immigrati, emerge come siano discriminati su diversi fronti. A loro sono assegnate le mansioni più faticose, rischiose e meno pagate, che necessitano di minori qualifiche. Nel 2020 sono state controllate 869 cooperative e accertati illeciti in 781 aziende, con un tasso di irregolarità pari al 78 per cento (+12 per cento rispetto al 2019). Inoltre, su 441 cooperative ispezionate, 30 non applicavano il Ccnl firmato dalle organizzazioni più rappresentative.
Graziella Di Mambro
5/5/2022 https://lavialibera.it
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