Si grida contro i migranti e intanto si finanziano le armi: 800 scienziati si ribellano
Litigiosi sull’immigrazione, d’accordo sugli investimenti militari: i Paesi Ue approvano una pioggia di denaro al comparto bellico. 13 miliardi in 9 anni. Ma oltre 800 scienziati si oppongono.
Soldi pubblici dei contribuenti europei? Per la ricerca e sviluppo sulle armi ci sono. E tanti: mezzo miliardo di euro subito, approvato ieri dal voto del Parlamento di Strasburgo in seduta plenaria. Denaro destinato all’EDIDP (European Defence Industrial Development Programme) per il biennio 2019-2020 che finirà in gran parte all’industria bellica (tra cui l’italiana Leonardo, ex Finmeccanica). E che si sommerà entro il 2027 ai 13 miliardi (!) del Fondo europeo per la difesa (EDF), 8,9 dei quali per lo sviluppo di capacità e 4,1 per la ricerca.
E allora 800 ricercatori e scienziati hanno deciso di ribellarsi a queste politiche, e hanno sottoscritto la petizione Reaserchers For Peace. Una campagna internazionale lanciata proprio alla vigilia dei colloqui del Consiglio europeo di pochi giorni fa. Quando il baccano mediatico contro i migranti nascondeva, provvidenzialmente, un comune accordo sull’aumento degli investimenti per la guerra.
Partiti in 700 all’alba della sottoscrizione, i “Ricercatori per la pace” sono già più di 800. Sono gli stessi che da anni denunciano lo squilibrio tra gli investimenti virtuosi (per la tutela ambientale e contro i cambiamenti climatici, per ridurre le disuguaglianze) e quelli militari. E che oggi aderiscono alla petizione promossa in Italia da organizzazioni come Rete Disarmo e, a livello internazionale, dalla rete ENAAT (European Network Against Arms Trade).
300 milioni “rubati” allo sviluppo civile
ENAAT denuncia innanzitutto la gravità dell’orientamento “bellicista” del Vecchio Continente. «A seconda del livello di cofinanziamento degli Stati membri, l’industria degli armamenti beneficerà di fondi straordinari. Tra i 23 e i 60 miliardi di euro di nuove sovvenzioni per la ricerca e lo sviluppo militare nel decennio 2017-2027. Il trattamento più favorevole mai concesso in base a Regimi di finanziamento dell’Ue (art.11)» ricordano gli attivisti dell’organizzazione.
Ma non solo. Perché «nonostante il Parlamento richieda che il 100% del bilancio EDIDP debba essere costituito da denaro fresco – scrive ENAAT -, il 60% (300 milioni di euro) di esso sarà deviato da programmi civili esistenti».
In particolare:
- 116,1 milioni di euro verranno sottratti all’assistenza agli investimenti infrastrutturali (telecomunicazioni, trasporti…) chiamata Meccanismo per collegare l’Europa.
- 104,1 milioni saranno portati via dal progetto i geolocalizzazione Galileo.
- 63,9 milioni da ITER,
- 12 da Copernico,
- 3,9 da Egnos.
Addirittura 200 milioni di euro verranno da fondi non assegnati. Denaro che quindi avrebbe potuto essere utilizzato per altri progetti utili, di natura civile e sociale.
Scelte meramente politiche guidano insomma l’allocazione di questi soldi. E l’ulteriore preoccupazione riguarda allora il futuro del bilancio totale dell’Unione europea. Stante questo travaso verso la Difesa, e considerati l’impatto della Brexit e le pretese crescenti di molti Stati per avere più contributi, si manterrà sui livelli precedenti?
Armi autonome. Siamo sicuri?
C’è poi un’altro tema delicato che riguarda quali tecnologie militari la Ue stia sovvenzionando. Il programma EDIDP finanzia infatti anche lo sviluppo di sistemi d’arma senza equipaggio o completamente autonomi. «Ciò – specifica Rete Disarmo – aprirà la strada ai droni armati europei e probabilmente ai cosiddetti killer robots, che potrebbero poi essere utilizzati e venduti al di fuori dell’Europa in base agli interessi nazionali dei singoli Stati membri».
Uno sviluppo tecnologico, quello dell’automazione a fini militari, che evolverà presto e rapidamente verso l’intelligenza artificiale. Il che pone diversi interrogativi. In primis quello sulla reale possibilità di controllare la diffusione di certi sistemi al di fuori dell’ambito strettamente militare (si pensi solo alla criminalità organizzata o al terrorismo).
Si tratta inoltre di armi che pongono pesanti incertezze sulle responsabilità del loro utilizzo. Per attacchi effettuati da velivoli senza pilota americani tra il 2009 e il 2016, le organizzazioni indipendenti hanno stimato un minimo di quasi 400 vittime civili in Pakistan, Somalia e Yemen (il governo ne ha ammesse meno di 120). Questi numeri, contenuti in un rapporto (Out of the shadows) pubblicato nel 2017 dalla Columbia Law School Human Rights Clinic e Sana’a Center for Strategic Studies, mettono drammaticamente al centro i temi della trasparenza e delle regole.
Lo squilibrio globale tra spese militari e sviluppo
Infine, tipo di armi a parte, le decisioni europee aggravano il quadro globale. Solo l’anno scorso, infatti, il mondo ha speso 130 miliardi di euro in aiuti allo sviluppo. Nello stesso arco temporale, nel settore armamenti è finita una cifra 13 volte superiore. 1739 miliardi di dollari, pari al 2,2% del prodotto interno lordo del Pianeta. Circa 230 dollari per ogni persona, neonati inclusi.
Le cifre assolute degli investimenti finanziari in armi – pubblicate con il rapporto 2017 dell’Istituto di ricerca internazionale sulla pace di Stoccolma (SIPRI) – sono elevatissime. E per di più, la spesa militare globale è aumentata dell’1,1% sul 2016. Mentre gli aiuti allo sviluppo (Aps) scendevano complessivamente da 131 a 130 miliardi.
Un calo giudicato severamente dal senior advisor di Oxfam Italia Francesco Petrelli: «Lo 0,6% in meno può sembrare marginale, ma in realtà priva i Paesi in via di sviluppo delle risorse necessarie a garantire cure mediche gratuite universali a 10 milioni di persone».
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