Sicurezza sul lavoro, cambiamento climatico e rischio calore
Nonostante i negazionisti, (nonché i “riduzionisti” o gli “altrocausalisti” del suo impatto, perché negarlo è impossibile) il cambiamento climatico con la sua continua crescita delle temperature prosegue; mi limito a citare il progetto europeo Copernicus il quale ci dice che giugno 2024 è il 13° mese consecutivo più caldo di sempre a livello globale. Agli effetti globali (ondate di calore, rischio per la produzione agricola, scarsità di risorse idriche, intensità e frequenza inondazioni, innalzamento del livello dei mari, perdita di biodiversità, diffusione di organismi, compresi virus, in ambienti diversi da quelli originari ecc.) si aggiungono ovviamente effetti diretti sulle attività lavorative. Quelle svolte all’aperto, per le quali al calore si aggiunge l’effetto delle radiazioni solari; ma non solo, perché anche nelle attività produttive che si svolgono al chiuso mantenere temperature (e umidità) adeguate – il cosiddetto microclima – non è facile, anche dal punto di vista meramente tecnico. Ma dobbiamo essere consapevoli che sui luoghi di lavoro occorre attrezzarsi in maniera non episodica perché il rischio calore è ingravescente e tale sembra destinato a restare per un pezzo. Non ho trovato statistiche apposite per il lavoro, ma il fisico premio Nobel Giorgio Parisi, qualche giorno fa, in una intervista stimava un totale di 20.000 morti l’anno in più per il maggior calore.
Il rischio calore rientra nella categoria dei rischi fisici; esso può provocare malori, di cui si parla più avanti, ma anche riduzione della capacità di rispondere agli stimoli e ai pericoli imprevisti, aumento della disattenzione e della deconcentrazione, e quindi del rischio di infortuni. Secondo il progetto di ricerca europeo Adaptheat [1] tale aumento durante le ondate di calore è un più 17,4%. Settori più esposti sono Agricoltura, silvicoltura e pesca, Costruzioni, Elettricità, gas e acqua, Industrie all’aperto e Trasporti, tutte attività che si svolgono in assoluta prevalenza all’aperto o in ambienti più esposti a questo rischio (si pensi ad un camion, o in tutti gli ambienti in cui vi sono macchine che producono calore). E sono settori ove l’occupazione è prevalentemente maschile con alta percentuale di lavoratori stranieri, anche extracomunitari. Per l’agricoltura, il rischio è accresciuto dai tempi ristretti per la raccolta una volta che i prodotti sono giunti a maturazione; nella gestione delle reti elettriche e del gas, negli acquedotti, come nella manutenzione stradale e ferroviaria, analogamente occorre svolgere comunque manutenzioni e/o riparazioni urgenti quando necessario, quali che siano le temperature, e lavorando anche nelle ore più calde.
Alcuni studi risalenti al 2022, di cui si è debitori al progetto Worklimate fanno emergere un’associazione statisticamente significativa “tra esposizione ad elevate temperature e infortuni sul lavoro e identificazione di gruppi di esposizione più a rischio:
• età <25 anni: mansioni più difficili e con maggior sforzo fisico, training inadeguato sulle misure di sicurezza, minori competenze rispetto ai lavoratori più anziani, minor propensione a riconoscere il rischio da esposizione ad alte temperature e a utilizzare misure preventive
• uomini: possibili differenze di genere nei settori lavorativi (rispetto alle donne, gli uomini lavorano in settori ad alto rischio: agricoltura, miniere, estrazione di oli e gas, ecc.)
• agricoltura: esposizione a temperature estreme per lunghi periodi di tempo, indumenti da lavoro protettivi che spesso limitano la dispersione del calore”.
Dallo stesso lavoro (Marinaccio A et al. Environ Int 2019) mostra una variabilità dei rischi in relazione:
• all’età (maggiori nei lavoratori giovani per il caldo e per i lavoratori meno giovani per il freddo),
• al genere (le donne sono più suscettibili alle basse temperature, gli uomini alle alte),
• alla dimensione aziendale (maggiore l’effetto del caldo sugli occupati nelle piccole imprese, maggiore l’effetto del freddo per le grandi aziende)”.
Ma quali invece gli effetti diretti del rischio calore? Sintetizziamo le Linee di indirizzo per la protezione dei lavoratori dagli effetti del calore”, risalenti al 2023 e appena aggiornate e integrate circa la protezione degli effetti della radiazione solare, emanate dalla Regione Toscana; la stessa le raccomanda in tutte le lavorazioni all’aperto “e in quelle svolte in ambienti chiusi non climatizzati, ove le condizioni termiche siano influenzate dalle condizioni meteoclimatiche esterne”.
Abbiamo:
- Colpo di calore, “condizione clinica più grave associata all’esposizione al calore. Si verifica quando il centro di termoregolazione dell’organismo è gravemente compromesso dall’esposizione al caldo e la temperatura corporea sale a livelli critici (superiori a 40°C). Si tratta di un’emergenza medica che può provocare danni agli organi interni e nei casi più gravi la morte”. Segni e i sintomi del colpo di calore: alterazione dello stato mentale (es. delirio), iperventilazione, tachicardia, aritmie cardiache, rabdomiolisi (scomposizione del tessuto muscolare con rilascio dei componenti nel sangue), malfunzionamento organi interni (es. insufficienza renale ed epatica, edema polmonare), perdita di coscienza, shock e anche convulsioni. Durante un colpo di calore la temperatura corporea è molto alta e può cessare la sudorazione. Se chi lavora mostra i segni di un possibile colpo di calore, “è necessario chiamare immediatamente il 118. Fino all’arrivo dei soccorsi è importante spostare il lavoratore in un’area fresca e ombreggiata e rimuovere quanti più indumenti possibile, bagnare il lavoratore con acqua fredda, ad esempio passando asciugamani bagnati con acqua fredda su testa, collo e viso arti e far circolare l’aria per accelerare il raffreddamento”
- Esaurimento da calore: “è il secondo problema di salute più grave correlato al caldo [2] caratterizzato da un esaurimento della capacità di adattamento (del cuore e dei sistemi termoregolatori), specie in soggetti non acclimatati sottoposti a sforzi fisici intensi”. I segni e sintomi di esaurimento da calore “sono: mal di testa, nausea, vertigini, debolezza, irritabilità, confusione, sete, forte sudorazione e una temperatura corporea superiore a 38° C”.
- Crampi da calore sono “dolori muscolari causati dalla perdita di sali e liquidi corporei durante la sudorazione”;
- Dermatite da sudore è “il problema più comune negli ambienti di lavoro caldi. È causata dalla sudorazione e si presenta come piccoli brufoli o vescicole. L’eruzione cutanea può comparire sul collo, sulla parte superiore del torace, sull’inguine, sotto il seno e sulle pieghe del gomito
Fattori predisponenti:
- Alta temperatura e umidità anche in assenza di esposizione al sole (compresi gli ambienti indoor non climatizzati e non ventilati);
- Basso consumo di liquidi;
- Esposizione diretta al sole (senza ombra) o a temperature elevate/ Movimento d’aria limitato (assenza di aree ventilate);
- Attività fisica intensa;
- Alimentazione non adeguata;
- Insufficiente periodo di acclimatamento;
- Uso di indumenti pesanti e dispositivi di protezione;
- Condizioni individuali di suscettibilità al caldo
- Mancanza di una formazione specifica in materia di salute e sicurezza sullo stress da calore, nonché di consapevolezza e quindi attivazione da parte dei soggetti interessati, dai datori di lavoro a RSPP e preposti fino a lavoratrici e lavoratori
Come si combatte il rischio calore? Fin troppo facile dire di non lavorare quando è troppo caldo, come tipo attività, luoghi, orari (quando possibile); ed evitare tutti i fattori predisponenti elencati sopra, sia come comportamenti individuali, sia come interventi ambientali (quindi procedere ad idratazione, ventilazione, raffrescamento, uso di abbigliamento/indumenti/DPI, condizionamento) e/o organizzativi (riorganizzazione orari, pause, fasi dei cicli produttivi, vigilanza e controllo compresa accresciuta sorveglianza sanitaria, monitoraggio preventivo delle condizioni meteorologiche). Ma, sensibilità individuali ed altre condizioni mitiganti poste in essere (vedi sopra) o aggravanti (es. umidità) quando fa “troppo” caldo?
Pur nella difficoltà di definire una soglia valida per tutte le situazioni, normalmente la temperatura limite è fissata (cfr. infra da chi) a 35 gradi, con cessazione immediata dell’attività se vi si arriva (e non può non colpire che si tratta di una soglia assai elevata). Peraltro, come per tutti i rischi, il datore di lavoro è tenuto a adottare le opportune misure per quantomeno ridurre il rischio se non è eliminabile, misure che variano a seconda delle situazioni. Quindi, ogni datore di lavoro per sé? Uno specifico protocollo in realtà fu elaborato lo scorso anno dal Ministero del Lavoro e riproposto lo scorso mese di giugno; ma non fu sottoscritto dalle associazioni datoriali ed è ritenuto oggi insufficiente anche da quelle sindacali; è consultabile a QUESTO INDIRIZZO.
Quali le ragioni della mancata adesione? Da quanto emerge da vari organi di stampa, le associazioni datoriali contestano l’impostazione stessa del protocollo, che aggiungerebbe nuove regole alle indicazioni operative esistenti (di INAIL, INPS, INL, Asl, decreti ministeri del Lavoro e della Salute e ordinanze regionali), con nuovi aggravi per le imprese, invece di un decalogo con alcune chiare priorità per poter essere in regola, sul modello dei protocolli anti Covid. Le organizzazioni sindacali, invece, riassume il segretario confederale della UIL Veronese, richiedono un protocollo con:
- automatico ricorso alla cassa integrazione se il caldo percepito supera determinati gradi, se l’organizzazione del lavoro non sposta nelle ore meno calde l’orario lavorativo:
- messa a disposizione di dispositivi di protezione individuale, come le creme solari, e l’offerta di acqua quando si lavora all’aperto;
- registrazione dei morti per il caldo e non genericamente inquadrati come malori (NB: informazioni oggi mancanti);
- individuazione dei lavoratori fragili da proteggere in determinate condizioni climatiche, come si è fatto durante il Covid con lo smart working (interessante osservare come tali protocolli siano tirati da parti opposte ….
Purtroppo, siamo a luglio e non ci sono passi avanti; speriamo che sulla questione non si debba tornare non già per un opportuno ripensamento ma solo per qualche evento grave.
Concludiamo, infine, con un accenno al rischio da esposizione alle radiazioni solari, accresciuto ormai da decenni causa il progressivo degrado dell’atmosfera (assottigliamento della fascia di ozono, inquinamento ecc.).
Sintetizziamo qui le Linee guida della regione Toscana che distinguono effetti a breve e a lungo termine, e non solo in estate, con insorgenza a carico di cute ed occhi. Per la cute a breve termine troviamo :
- Eritema solare: “indotto essenzialmente dalla componente UVB. Nelle forme gravi (ustioni solari) un eritema marcato può accompagnarsi a edema e flittene (ustioni gravi) nelle zone foto-esposte”;
- Fotodermatosi: “induzione o esacerbazione di quadri clinici nei soggetti affetti da fotosensibilità̀, con reazioni in genere eritematose o maculo-papulari”;
- Fotodermatiti da agenti fototossici: “sono determinate dalla azione combinata della radiazione solare e di molecole con particolari caratteristiche chimiche (agenti fototossici)”;
- Dermatiti foto allergiche da contatto: “l’eczema o dermatite fotoallergica da contatto è determinato dall’azione combinata dell’esposizione a sostanze chimiche (‘fotoapteni’) e alla radiazione solare”;
- Immunosoppressione: “soppressione a livello locale dell’immunità acquisita. L’effetto immunosoppressivo UV-indotto può riattivare infezioni virali latenti, ad esempio herpes simplex”.
Come effetti a lungo termine a carico della cute:
- Cancerogenicità: “la radiazione solare è un cancerogeno certo per l’uomo (gruppo 1 IARC). Può infatti causare sia carcinomi (ovvero epiteliomi) baso-cellulari (BCC) e squamo-cellulari (SCC) sia il melanoma maligno (MM);
- Fotoinvecchiamento: “è legato soprattutto all’esposizione cumulativa alla radiazione UVA solare, con un ruolo importante anche per l’UVB”.
Gli effetti a carico dell’occhio sono tipici per le attività all’aperto in alta montagna, su neve o ghiacciai, in navigazione, pesca, nelle cave di marmo e nell’ edilizia. Possono essere Acuti (fotocongiuntivite, “per interessamento della membrana congiuntivale esposta, o fotocheratite per il coinvolgimento della cornea”, oppure maculopatia fototossica: “interessa la macula, area centrale della retina deputata alla visione distinta”; oppure più spesso Cronici:
- Pinguecola: “si tratta di una formazione degenerativa di natura non tumorale che si forma a livello della congiuntiva. Di rado richiede un trattamento”;
- Pterigio: “alterazione degenerativa del margine corneo sclerale più spesso localizzata al lato nasale. Trattamento chirurgico”;
- Cataratta: “soprattutto corticale, e, meno frequentemente, nucleare”;
- Tumori oculari: “comprendono i rarissimi carcinomi squamo-cellulari della cornea e della congiuntiva ed il melanoma oculare della congiuntiva”.
I rimedi sono forse banali, cioè proteggere con indumenti e occhiali pelle ed occhi e limitare l’esposizione diretta. Ma soprattutto occorrono comportamenti coerenti e sistematici per prevenirlo e ridurlo quanto più possibile; e i comportamenti non possono essere sono solo quelli individuali delle vittime, ma organizzativi, sia delle aziende, sia del sistema istituzionale di controllo, vigilanza ecc. Purtroppo, il D.L. cd. Agricoltura appena approvato, a parte confermare l’assunzione di qualche centinaio di ispettori e fare vaghi riferimenti a costi/prezzi medi, si limita ad elargire qua e là qualche spicciolo alle aziende agricole e non fa di fatto nulla per incentivare la qualificazione delle aziende stesse secondo i sistemi già presenti. Mah…
NOTE
Maurizio Mazzetti
14/7/2024 https://www.ilmanifestoinrete.it/
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