Sicurezza sul lavoro: ripartire dal rispetto delle regole elementari

La sanità è entrata in un circolo vizioso di infortuni, invalidità, malattie professionali e morti sul lavoro. Serve una cultura della sicurezza, formazione adeguata e una nuova dialettica fra gli attori della prevenzione

La prima reazione, quasi istintiva, di fronte all’ennesimo infortunio del lavoro così grave da “bucare” i media è la convinzione che quell’evento si è verificato per la violazione di una prescrizione normativa da parte di uno o più “soggetti o attori della prevenzione”. 

Da questa elementare osservazione, di per sé corretta e verificabile da chiunque sia “del mestiere”, discenderebbe che sia sufficiente il rispetto della normativa per eliminare o ridurre gli infortuni (e le malattie professionali). In altri termini, il tutto sarebbe prevenibile con azioni oggettive (“la prevenzione si fa con l’impiantistica” si affermava negli anni ’70 e oltre). 

E’ innegabile che il lato tecnico/normativo costituisce lo strumento “basico” su cui qualunque politica di prevenzione deve fondarsi: se non vi è il rispetto delle “regole elementari” non vi è alcuna possibilità di uscire dal circuito vizioso delle invalidità, delle morti e delle malattie da lavoro. 

Eppure, come in tutti gli “affari umani”, vi è di più e al lato tecnico si affianca e interagisce un lato umano, soggettivo, ineludibile. 

Questa evidenza è riconosciuta dal Dlgs 81/2008 e norme correlate ove si individuano numerose figure, a seconda del tema, che concorrono (o viceversa latitano) nella individuazione e attuazione degli interventi di prevenzione e protezione nei singoli luoghi di lavoro: datori di lavoro, impiantisti, medici competenti, fabbricanti di macchine, lavoratori, dirigenti, preposti, coordinatori per la sicurezza (cantieri), responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, committenti….. 

La “dialettica” e il confronto tra queste figure e le loro impersonificazioni concrete è chiamata a dirimere, a partire dalla valutazione di tutti i rischi, l’elemento soggettivo (rapporto tra persone incaricate di funzioni di sicurezza) che si confronta col dato oggettivo (tecnico-normativo), e ne determina poi il risultato. 

L’elemento soggettivo per i lavoratori oggi significa principalmente la difficoltà di essere riconosciuti come tali: precarietà contrattuale, condizioni lavorative che non favoriscono legami con il lavoro e la collettività lavorativa, assenza di democrazia nei luoghi di lavoro. In una parola, la difficoltà di sentirsi ed essere un soggetto in cui la propria individualità, assieme a quella degli altri colleghi (negli anni ’70 si parlava di “gruppo omogeneo” caratterizzato dalla esposizione agli stessi rischi), diveniva collettiva e si confrontava, con le proprie ragioni, obiettivi e, in alcuni casi, con la propria “scienza” alternativa al modo di produzione capitalistico determinando conquiste nei diritti come nella autotutela in fabbrica. 

L’elemento soggettivo viene invece “giocato” dall’altra parte (per semplificare, dai datori di lavoro) come una formula per attribuzione le colpe all’infortunato e l’assenza o limitata responsabilità da parte propria. Il lavoratore è disattento, rimuove le protezioni o, ove inidonee/assenti, mette comunque le mani dove palesemente non dovrebbe, il datore non era cosciente né ha mai volutamente inteso a mettere a rischio i lavoratori (da cui la responsabilità, quando viene riconosciuta, colposa e non dolosa) e comunque ha diritto a uno “scudo penale”, come richiesto anche recentemente, o a non essere considerato potenziale “responsabile” (indagato) a priori. 

Quando si segnala la necessità di una “cultura della sicurezza” e di formazione e informazione, i datori di lavoro, e non solo loro, fanno riferimento a una platea di lavoratori che considerano come soggetti inerti cui inculcare dei precetti di attenzione e autotutela, considerandosi non responsabili se poi il lavoratore, nelle condizioni concrete e nel contesto – insicuro – della sua attività, si infortuna comunque. Per non dire della situazione di marasma dei soggetti formativi in cui si mischiano “pirati” e soggetti corretti comunque non regolamentati come previsto dagli Accordi Stato-Regioni. 

Come uscirne?

Sicuramente riattivando la dialettica (il confronto e anche lo scontro) tra gli attori della prevenzione a partire dal rafforzamento della posizione dei lavoratori, singoli e come gruppo omogeneo, garantendo la democrazia nei luoghi di lavoro, superando l’assenza di tutele connesse con i tanti regimi contrattuali comunque precari. Rivedere il ruolo dell’INAIL e delle funzioni nazionali del sistema dei controlli rafforzando, in operatori e attività, quelli territoriali (Aziende Sanitarie Locali) ricostruendo il rapporto tra lavoratori e organi pubblici di vigilanza ovvero di prevenzione. Riconoscimento della gravità sociale degli infortuni sul lavoro in ambito giudiziario (aiuterebbe modificare le fattispecie esistenti introducendo quella nuova di “omicidio sul lavoro” e rafforzando gli strumenti di indagine presso le Procure): in parole povere, garantendo la “certezza della pena” come pure, pienamente, i diritti delle parti offese.

Marco Caldiroli

Presidente di Medicina Democratica

16/4/2024 https://onehealthfocus.it/

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