Sicurezza sul lavoro senza vigilanza
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Il 2021 si chiude con un tragico bilancio per le morti sul lavoro. Sono 1221 le vittime. in questo drammatico bilancio restano fuori molti altri decessi, quelli che appartengono all’economia sommersa e tutti i lavoratori che non sono assicurati Inail.
Nel periodo compreso tra gennaio e marzo 2022 l’Inail ha ricevuto 194.106 denunce di infortunio, 65.435 in più rispetto allo stesso trimestre del 2021, di cui 189 con esito mortale. L’aumento del 50,9% è imputabile sia agli incidenti sul luogo di lavoro (+ 53,1%) che a quelli in itinere (+ 31,2%).
La inconfutabilità dei numeri non permette però di capirne le cause.
Perché gli incidenti sul lavoro siano molto simili agli stessi di 50 fa nonostante il progresso tecnologico e le conoscenze, perché non siano diminuiti alla introduzione di norme sempre più specialistiche e di settore, di qualità, in relazione alla analoga normativa europea.
La maggioranza di questi incidenti sarebbero evitabili con buone pratiche nella organizzazione del lavoro, nella valutazione dei rischi, con una formazione professionale mirata ai rischi specifici e concreti dell’impresa.
Tutti comportamenti eventualmente verificabili (e/o sanzionabili) secondo la legge, prima che accadano gli incidenti anche mortali.
Gli infortuni sul lavoro in un paese non possono essere letti se non in correlazione con le condizioni del lavoro nello stesso territorio.
La progressiva normativa specialistica in materia di sicurezza ha fatto da controcanto ad una legislazione che ha sempre più destrutturato la normativa lavoristica di tutela del lavoratore in nome della flessibilità, la quale ha disegnato un lavoratore che si avvicina sempre più al passato dell’ottocentesco “lavoro a giornata” più che a finti modelli di efficienza e modernità, con tempistiche informate alla velocità, ad orari di lavoro concentrati per il poco tempo di ingaggio del lavoratore, una catena di appalti e subappalti caratterizzati da rapporti sfumati e informali, che non consentono una maturità professionale sufficiente a conoscere con l’esperienza le buone pratiche prevenzionistiche e a pretenderle sul luogo di lavoro da parte del lavoratore.
Ma un’altra necessaria chiave di lettura è lo stato della vigilanza, cioè degli enti pubblici preposti al controllo e alla verifica della concreta applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza all’interno delle aziende, in quanto una norma rimane pur sempre un pezzo di carta se non vi sono deterrenti sanzionatori sufficienti a farla rispettare, così come a scoperchiare il mondo del lavoro nero e del sommerso.
La stessa legislazione di smantellamento progressivo delle tutele, ha contribuito a indebolire i modelli di vigilanza sul lavoro che lo Stato aveva maturato nel tempo in Italia.
Il Jobs Act introduceva la delega al Governo per la costituzione della “Agenzia unica per le ispezioni del lavoro”, che ha coinvolto migliaia di lavoratori e diversi soggetti (Min. Lav., Inps, Inail).
Gli intenti della riforma del 2015 erano di unificare gli enti preposti con lo scopo dichiarato di rafforzare i controlli e la loro efficacia, evitando le duplicazioni degli accessi da parte degli enti e aumentandone l’efficienza.
La motivazione può essere stata condivisibile e anche auspicabile, all’atto della riforma, ma le modalità della sua attuazione e il bilancio di più di un lustro dalla sua emanazione, rivelano quello che la realtà ci restituisce, un azione di paralisi delle piene funzionalità delle strutture di vigilanza.
Non basta mettere su carta l’unificazione e l’integrazione di pezzi della Pubblica Amministrazione se contemporaneamente non si rimuove il blocco del turn over, che ha ridotto gli organici delle funzioni ispettive in dieci anni del 50%. Siamo a livelli che non consentono il raggiungimento convenzionale in campo internazionale di quella soglia minima delle ispezioni nel territorio in base alla densità produttiva.
Se il Ministro Poletti all’epoca intendeva perseguire l’illegalità sui posti di lavoro, il nero, il grigio, l’elusione, la mancanza di sicurezza e tutele, avrebbe dovuto provvedere da subito a nuove assunzioni di ispettori del lavoro, di vigilanza previdenziale e assicurativa, nonché di tecnici della prevenzione in un’ottica di vero coordinamento.
Anche l’intento di coordinare tutti i soggetti della vigilanza è rimasto sulla carta.
Ognuno è rimasto nella propria amministrazione con le vecchie e le nuove criticità organizzative.
E’ diminuita, invece che aumentata, la programmazione congiunta degli ispettori che (idealmente) avrebbero dovuto costituire nuove “pattuglie” con il meglio delle diverse competenze (lavoristica e di legislazione sociale, previdenziale, prevenzionistica) per svolgere controlli mirati, efficienti e di qualità.
Oggi gli effetti dei progressivi pensionamenti hanno aggravato la situazione di una organizzazione “sulla carta” e a “costo zero”, in quanto secondo il legislatore renziano questa nuova struttura avrebbe dovuto configurarsi nel tempo da sola, “senza oneri per la finanza pubblica”.
Le nuove assunzioni previste dal governo Draghi arrivano fuori tempo massimo con una situazione di carenza di organico delle strutture che si può definire drammatica (solo a titolo esemplificativo la situazione del Veneto, la locomotiva del Nord Est, che conta un numero di circa 400.000 imprese e qualche manciata di ispettori tra Ispettorato del lavoro, Inps e Asl).
La vera domanda da porre è la seguente: si voleva davvero combattere l’evasione contributiva e la non applicazione delle norme sul lavoro e sulla sicurezza?
Perché dalle modifiche che si sono introdotte da parte del Jobs act, nello Statuto dei Lavoratori, a partire da demansionamento senza regole, passando per la videosorveglianza fino ad arrivare all’abolizione dell’art.18, i dubbi si sono trasformati in certezze, e il parallelismo tra il peggioramento delle condizioni di lavoro e indebolimento delle funzioni di tutela e controllo delle condizioni di lavoro e della legalità in materia di sicurezza, diventa chiaro.
Il Governo Draghi, a fronte degli effetti nel tempo di questo disastroso combinato disposto, cerca di “salvare le apparenze” (ignorando innanzitutto le prime dichiarazioni del “migliore Brunetta” che affermava pubblicamente che i controlli in azienda dovessero essere prima concordati amichevolmente al telefono con gli imprenditori). Con il Decreto fiscale di dicembre 2021 si ampliano le competenze degli ispettori dell’Ispettorato Nazionale del lavoro (ex Ministero del lavoro) in materia di sicurezza.
In caso di sospensione per lavoro nero devono essere verificate da tutti gli ispettori le condizioni di sicurezza ai fini della regolarizzazione dei lavoratori e conseguente revoca del provvedimento. La dotazione ispettiva a dicembre 2021 è di circa 200 ispettori tecnici che operano nel settore dell’edilizia.
Il governo inasprisce le sanzioni per le violazioni in tema di lavoro nero e di sicurezza.
La competenza viene estesa (con un tratto di penna), sia al personale ordinario (con preparazione giuridica ed esperienza nel campo della regolarità dei rapporti di lavoro e dei contratti), sia allo scarso personale tecnico per tutti i settori produttivi; dall’oggi al domani. Le “pattuglie” sopra descritte vengono magicamente moltiplicate: aumentando le responsabilità, i compiti e i carichi di lavoro a tutti. Quello che si può fare in tre si può fare in uno.
Indicazioni che aprono a pericolose improvvisazioni da parte di ispettori privi della necessaria preparazione sollevando questioni contrattuali di notevole portata, tenuto conto che il superamento dei profili professionali non può certo realizzarsi unilateralmente e senza la preventiva ricognizione delle professionalità possedute dal personale ispettivo dell’INL (compreso quello INPS e INAIL).
La beffa vuole che poco tempo dopo questa attribuzione di nuovi compiti (senza adeguata formazione e a costo zero) il personale dell’INL veda svanire la possibilità di un adeguamento della propria retribuzione, attribuito a tutti i lavoratori ministeriali che sono stati destinatari di un atteso adeguamento della indennità di amministrazione: tutti, fuori che il personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Cioè quelli che devono lavorare per due (anzi per tre) devono essere retribuiti meno degli altri.
Questo sempre per confermare l’assunto di cui sopra: ad ogni riforma in materia di vigilanza deve corrispondere un peggioramento delle condizioni lavorative. Questo passaggio è ironico, ma non troppo.
La situazione ha prodotto uno stato di agitazione, mobilitazione e sciopero della categoria che imbarazza il Ministro del lavoro Orlando, (87,64% il dato ufficiale sull’adesione allo sciopero del 18 marzo).
Dopo mesi di trattative il Governo sembra orientato verso la soluzione con uno stanziamento ad hoc, che ha momentaneamente interrotto lo stato di agitazione con rallentamento delle attività ispettive.
Sul fronte delle assunzioni prossime venture (insufficienti a coprire i pensionamenti mai integrati) si sarebbe dovuto fare un “acquisto” di competenze, necessarie ad affrontare le nuove norme in materia di sicurezza.”
Aumentano le competenze, aumentano le forze preparate ad affrontarle.
Niente di tutto ciò: i concorsi vengono effettuati con procedura d’urgenza e i profili richiesti non selezionano una formazione specialistica. Possono partecipare candidati con una qualsiasi laurea anche triennale.
Sempre per non smentire che ogni riforma in materia di vigilanza viene anche accompagnata da una inefficienza strutturale che non consente il funzionamento dell’ente preposto.
I vecchi ispettori ordinari, che pur conoscono almeno parzialmente la parte normativa del testo unico della sicurezza se non per esperienza personale, verranno affiancati non da personale preparato che possa sopperire alle inadeguatezze, ma da personale da formare “dalla A alla Z” sul campo.
La verità è che bisogna fare i conti con l’ampliamento, per Decreto, delle attribuzioni e dei poteri di vigilanza dell’Ispettorato, considerando che in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la preparazione professionale degli operatori acquisita sul campo e quella culturale acquisita dal corso di studi (medicina, ingegneria, chimica, biologia) nei più svariati settori d’intervento, costituiscono condizioni imprescindibili per garantire la prevenzione degli infortuni e la protezione della salute dei lavoratori.
L’ampliamento non è una cosa negativa per chi scrive, solo se accompagnato dai mezzi per farvi fronte, prima di tutto in tema di personale addetto preparato.
Su questo ci si affianca ad una cronica carenza di personale di tutta la pubblica amministrazione in generale, che significa, in termini politici, abbattere le funzioni fondamentali dello Stato in tema di sanità, scuola, servizi per parlare di funzioni di rango costituzionale alla pari con quella della tutela del lavoro, che informa nell’art. 1 la fondazione della nostra Repubblica.
La perdita di valore aggiunto per tutta la pubblica amministrazione è confermata dalla questione concorsi pubblici recentemente evidenziata dalla cronaca: gli stipendi sono troppo bassi per sostenere uno spostamento nel luogo di lavoro assegnato in molte città italiane con affitti troppo alti.
Per l’Ispettorato si aggiunga che le nuove assunzioni sono “al ribasso” rispetto al livello di fascia salariale raggiunto delle lontane assunzioni avvenute nel 2004. I nuovi ispettori (ma anche i nuovi funzionari amministrativi), sono inquadrati in un livello stipendiale inferiore (F1 al posto di F3).
In questo momento la assunzione dei funzionari amministrativi, che precede la prossima ventura di nuovi ispettori (ordinari e tecnici per INL), è stato un flop (a titolo esemplificativo a Venezia su 7 assegnazioni se ne è presentato 1), con il rischio di vanificare anche gli effetti di questi ultimi provvedimenti del Governo.
Meno competenze e meno salario abbassano il livello di tutte le prestazioni. E questo risultato sembra voluto, per lasciare spazio al dubbio remoto che sia solo un errore di valutazione.
Ma le condizioni degli ispettori ex ministeriali sono affiancate da analoghi problemi di carenza di personale anche negli altri enti, con l’aggravante che, per i funzionari di vigilanza INPS, il ruolo è “ad esaurimento” e la legge non permette nuove assunzioni per la vigilanza previdenziale, settore specialistico mai realmente condiviso (né con mezzi, cioè con la condivisione delle banche dati, né con formazione adeguata) con il restante personale di vigilanza, pur essendo tutti i lavoratori formalmente inglobati nella stessa Agenzia unica e con il rischio della perdita del notevole “know how” dal patrimonio della pubblica amministrazione.
Il personale Inail condivide la cronica carenza di personale al limite del collasso.
Se gli ispettori delle funzioni centrali dello Stato piangono, i tecnici della prevenzione non gioiscono, o meglio non sono tutelati i lavoratori del paese, in quanto si distribuiscono a macchia di leopardo le criticità sopra evidenziate a seconda che il servizio sia allocato in una piuttosto che in un’altra delle 20 regioni italiane, e con applicazione di linee guida (se esistenti) differenti da zona a zona. In alcune zone d’ Italia il servizio sembra non sia nemmeno predisposto.
In realtà il governo Draghi dovrebbe assumersi la responsabilità di non aver fatto nulla – come i governi precedenti – per attuare la Legge 124/2004 e coordinare i servizi ispettivi esistenti, a partire dalla condivisione delle banche dati, azione questa indispensabile per evitare la duplicazione degli interventi e per indirizzare scientificamente l’attività ispettiva.
In realtà qualcosa ottiene in tema di condizioni di lavoro, in senso peggiorativo (sempre per il rispetto dell’assunto di cui sopra), una reintroduzione della totale liberalizzazione dei limiti apposti al contratto a tempo determinato, annullando la timida inversione del governo precedente verso la stabilità dei rapporti di lavoro.
In tutto questo si aggiunga una programmazione e una valutazione dell’attività ispettiva che si commisura ai numeri degli accessi ispettivi senza la valutazione della qualità degli accertamenti come ad esempio in settori a rischio caporalato, negli ambienti degli appalti della logistica e delle cooperative fantasma, insomma quei fenomeni che richiedono una istruttoria più curata dei fenomeni di evasione contributiva e delle norme contro lo sfruttamento lavorativo e quindi lunga.
Gli ispettori lamentano sia la svalutazione della funzione ispettiva, ridotta a gabellaggio contro le micro imprese, sia lo svilimento professionale di ufficiali di polizia giudiziaria senza tutele economiche e normative.
Solo per citarne una, l’ispettore del lavoro è l’unico U.P.G. in Italia a non vedersi ancora riconosciuta una vera e propria indennità di funzione.
I reati in materia di salute e sicurezza in materia di lavoro richiedono capacità specialistiche e conoscenze settoriali, che spesso non appartengono all’ esperienza dei magistrati che, per istruire correttamente una accusa richiedono tempo e spesso questo tempo viene falciato dalla prescrizione.
Responsabili impuniti per motivi organizzativi nel settore della giustizia non sono fuori dalla realtà, purtroppo.
Occorrerebbe anche a livello giurisdizionale una formazione e preparazione giuridica specialistica con una Procura nazionale di supporto.
Questo quadro (necessariamente incompleto) denota che la risposta istituzionale, e alla fine politica, dello Stato nei confronti dei numerosi infortuni e morti sul lavoro (che è solo la punta dell’iceberg di un sistema votato allo sfruttamento lavorativo), può essere efficace solo manifestandosi nella forma della retorica e del pianto facile (non si può morire di lavoro!), utile strumento per divergere dalle vere azioni per rendere effettiva la valenza dell’articolo 1 della nostra Costituzione.
Dott.ssa Monica Coin
FP CGIL Coordinatrice regionale INL Veneto
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