Sistema-mondo. Questione ambientale e lavoro. Tre dimensioni fondamentali del nostro tempo.
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di Giorgio Riolo
In questa relazione inizio col fare alcune considerazioni, a grandi linee, su nozioni ritenute importanti, la cui conoscenza risulta utile riguardo al tema del nostro incontro. Come si dice, per “rifarci alcuni fondamentali”.
In seguito, nella parte centrale, propriamente dirò della stretta connessione tra economia ed ecologia, tra giustizia ecologico-climatica e giustizia sociale. A partire
da questo assunto, pertanto, si pone l’esigenza di un “soggetto sociale complessivo”, si avanza la proposta della auspicata fine della “divisione del lavoro” tra ambientalisti e “lavoristi”, tra cultura ambientale e cultura del lavoro, tra mondo del lavoro e mondo ecologista.
Infine, per concludere, alcune considerazioni finali per venire ai nostri compiti immediati.
I.
I fondamentali
- Sistema-mondo. È una nozione decisiva entro cui analizzare e studiare i fenomeni storico-sociali. Ma anche i fenomeni naturali, ambientali, climatici.
Dal grande storico francese Fernand Braudel a Immanuel Wallerstein, a Samir Amin e a tanti altri, questa nozione ci ricorda che il sistema capitalistico è sempre e comunque “su scala mondiale”. Il sistema è al contempo economia, società, politica, cultura, antropologia. Esso sovraordina, struttura, influenza l’economia nazionale, lo stato-nazione in generale.
Le ineguaglianze, le fratture, i rapporti di sfruttamento e di dominio entro una nazione hanno il corrispettivo decisivo nelle ineguaglianze, nelle fratture, nei rapporti
di sfruttamento e di dominio su scala mondiale. Centro-periferia, sviluppo-sottosviluppo, dominanti-dominati, Nord Globale-Sud Globale, sono le coppie
dialettiche senza le quali non riusciamo a comprendere come funziona il mondo.
Samir Amin definisce tutto ciò “capitalismo realmente esistente”, “sviluppo ineguale”, sistema polarizzante e asimmetrico. È l’era moderna capitalistica dal XVI secolo fino a oggi. La triade capitalismo – colonialismo/imperialismo – patriarcato caratterizza indelebilmente quest’era. - Malsviluppo. Noi terzomondisti, giovani e giovanissimi, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta del Novecento, usavamo allora una categoria importante, centrale ancora oggi. Usavamo la nozione di “malsviluppo” per designare ciò che non andava nel mondo. L’origine delle contraddizioni e delle ingiustizie. Il termine “malsviluppo” è ripreso oggi anche da alcuni settori dei giovani di Fridays For Future. Percepivamo ancora confusamente. In seguito la sistemazione teorica di “sviluppo ineguale” di Samir Amin ci ha fornito il quadro interpretativo fondamentale.
Malsviluppo non solo nella dimensione economica e sociale. Già allora avevamo chiaro che l’ecologia era importante, che la questione di genere, la questione dei diritti umani e dei diritti civili ecc. erano importanti, accanto alla decisiva “questione sociale”, alla centrale contraddizione capitale-lavoro salariato. Perché, come dicono i francesi, “nel capitalismo tutto si tiene”. O “#tuttoèconnesso”, come oggi usano alcuni settori avveduti del mondo cattolico, sulla scorta dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. In breve, cercavamo di sfuggire alla morsa, presente in molti marxismi, dell’economicismo e del determinismo.
Cominciavamo a percepire quello che in seguito verrà definito “teorema dell’impossibilità”. L’impossibilità di un sistema avente l’impulso irrefrenabile alla crescita illimitata, smisurata, entro un pianeta limitato. Avente l’impulso irrefrenabile alla accumulazione e alla massimizzazione dei profitti, “minando al contempo le due fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio” (Marx nel Libro I del Capitale).
Oggi quella germinale percezione è divenuta chiara consapevolezza. Anche e soprattutto per quello che è passato nel linguaggio convenzionale come problema del “soggetto della trasformazione” di cui dirò più avanti.
- Progresso. Il capitalismo, e la classe soggetto “borghesia”, hanno avuto come supplemento culturale forte una visione ingenua del progresso. Assieme a una sorta di prometeismo della trasformabilità, della plasmabilità e della manipolabilità infinita della realtà, della realtà naturale e della realtà sociale, natura ed esseri umani. La natura come fondo da cui attingere illimitatamente e gli esseri umani sfruttabili all’infinito. Il colonialismo/imperialismo ha operato spietatamente in questa direzione.
La freccia della storia considerata sempre verso l’avanti e verso l’alto. L’ottimismo storico era l’esito naturale di tale visione. Tutto ciò si è trasferito nei settori dominanti delle classi subalterne, dei partiti, delle organizzazioni del movimento operaio, socialista e comunista, in molti marxismi, nel fallimentare socialismo realmente esistente.
Oggi la dialettica storica ci rende edotti della necessaria critica di questa concezione del mondo. Per una concezione più equilibrata, più misurata dello sviluppo storico e della trasformabilità della natura e della società.
- Lavoro. La nozione decisiva del processo di ominazione. Come direbbe il grande filosofo marxista György Lukács, è il “fenomeno originario”, il retroterra costitutivo dell’essere sociale.
Ma il lavoro è una astrazione. E come ogni astrazione unifica fenomeni concreti, fenomeni particolari, diversissimi. Le scissioni, le differenziazioni sono tantissime al suo interno. Lavoro intellettuale e lavoro manuale, lavoro dipendente privato e lavoro dipendente pubblico, lavoro nel mercato del lavoro formale e lavoro nel mercato del lavoro informale (termine tecnico per designare più prosaicamente lavoro precario, lavoro nero, lavoro senza diritti e senza protezione ecc.).
Con il neoliberismo, a partire dagli anni ottanta, ma soprattutto dopo la svolta del 1989 e del 1991, con la fine del socialismo reale a Est e dei movimenti di liberazione nazionale nelle periferie, nel Terzo Mondo, si è proceduto a un potente processo di “svalorizzazione” e a una vergognosa umiliazione del lavoro.
Parallelamente si è avuta la “solitudine” del lavoro. Molti settori sociali importanti, tra gli anni sessanta e settanta del Novecento, schierati in vario modo accanto ai lavoratori e ai sindacati, ai partiti della sinistra, hanno abbandonato il campo.
Studenti, insegnanti, medici, avvocati, magistrati, giornalisti, borghesia illuminata ecc. contribuivano a dare al mondo del lavoro quella legittimazione, quella rilevanza sociale, quella importanza storica indispensabili nel processo secolare di emancipazione e di conseguimento di sempre più ampie conquiste di civiltà. Questo avveniva anche riguardo ad alcuni settori dell’ambientalismo. Coinvolti dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali nelle loro lotte, nella loro azione.
Oggi, almeno per quanto attiene la questione ambientale, le cose occorre impostarle diversamente.
II.
Non è lecito separare l’economia dall’ecologia
Nel giugno 2019 i giovani e le giovani di Fridays ForFuture Italia hanno inviato una loro “Lettera aperta a tutte le lavoratrici, a tutti i lavoratori e a tutte le organizzazioni sindacali”. In essa si esprimevano due tesi principali, nette e semplici.
In primo luogo, i costi ambientali ricadono soprattutto sui soggetti più deboli della società. Si accrescono così le diseguaglianze sociali per lavoratori, disoccupati, studenti, migranti, donne. In secondo luogo, le due lotte, quella per un pianeta vivibile e quella per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, non solo sono connesse, sono “inscindibili”. Letteralmente.
Ben detto da parte di questi giovani che hanno avuto il merito di scuotere le coscienze e di incalzare le classi dominanti, le élite dirigenti, la politica e gli organismi nazionali e sovranazionali.
A quell’elenco, fatto nella suddetta lettera, dei subalterni e dei senzapotere, aggiungiamo i popoli, i settori sociali delle periferie del mondo più colpite dalla crisi ecologico-climatica. Non solo lavoro salariato formale e informale (nel mondo il 60% della manodopera è nel settore informale, senza diritti e senza protezioni, e più della metà degli occupati ricade nei cosiddetti working poors, lavoratori il cui salario non è adeguato, sono sociologicamente “poveri”).
Nelle periferie i più esposti a causa del cambiamento climatico sono i contadini (braccianti e piccola agricoltura famigliare di sussistenza), i pastori, i pescatori ecc.
Lavoratori poveri anche se non rubricati sotto la categoria di “lavoro salariato”. Nel Sud Globale l’ambientalismo è pertanto riassunto nella nozione di “giustizia climatica”, adoperata dalla Teologia della Liberazione e dal movimento altermondialista dei Forum Sociali Mondiali.
III.
Bhopal, Taranto, Accra
Nella storia contemporanea Bhopal e Taranto assurgono a simbolo sinistro del malsviluppo. Oltre a Chernobyl, Icmesa di Seveso, Eternit di Casale Monferrato ecc.
La tragedia di Bhopal in India del dicembre 1984 e la lunga storia dell’Ilva di Taranto mostrano la perfetta, malvagia connessione di lavoro e ambiente. Così come l’ambiente più immediato per il lavoro salariato è lo stesso luogo di lavoro e l’evento così frequente delle morti per incidente e per le malattie contratte a causa del lavoro.
La Ilo (Organizzazione Internazionale del lavoro) riferisce che ogni anno nel mondo ci sono 2,8 milioni di morti, 400 mila morti immediate per incidente e 2,4 milioni a causa di malattie eufemisticamente chiamate “professionali”. In Italia i morti “diretti” sono circa 1.300 all’anno. L’attenzione nostra, va da sé, è rivolta alle nostre morti.
Quelle cifre tuttavia ci ricordano quale sia la condizione nelle fabbriche, nei cantieri, nei laboratori, nei campi, nelle miniere ecc. nel pianeta intero.
Non dimenticando, come solo esempio, i disperati, uomini, donne, bambini e bambine, che non rientrerebbero formalmente nella condizione del lavoro salariato, ma che nella “catena delle merci” si trovano all’ultimo stadio di questa catena, quella dei rifiuti. Come esempio. Alla periferia di Accra, Ghana, in una enorme discarica a cielo aperto, circa 200 mila esseri umani lavorano nelle condizioni più terribili di inquinamento diretto sui loro corpi. Per trarre dagli apparecchi elettronici (computer, telefonini, elettrodomestici ecc), la gran parte provenienti come rifiuti dal Nord Globale, metalli rari e semplice rame da cui ricavano il loro magro sostentamento.
IV.
“No jobs on a dead planet”
Nessun posto di lavoro in un pianeta morto.
A misura della gravità della crisi ecologico-climatica contemporanea, la questione ambientale e la questione climatica hanno acquisito ormai una rilevanza culturale e politica innegabile. Anche se i “negazionisti” hanno agito a lungo e ancora oggi agiscono, non solo tra i dominanti nel mondo, in primo luogo le oligarchie finanziarie e le grandi multinazionali. Produttivismo, industrialismo, visione ingenua, quantitativa, del progresso hanno contribuito a formare anche i negazionisti nel campo dei dominati, nel campo subalterno.
Il lavoro enorme svolto da organismi internazionali di studiosi e di attivisti come lo Ipcc (Gruppo di lavoro Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, promosso dall’Onu) e il Global Footprint Network (Rete Globale sull’Impronta Ecologica) ha ormai ricevuto ascolto e i rapporti periodici di tali organizzazioni rappresentano i punti di riferimento da cui partire per ogni serio discorso sullo stato del mondo.
La crisi economica, la crisi climatica e la crisi epidemiologica sono fortemente intrecciate, costituiscono un tutto organico correlato. Il contesto è inedito. Le vecchie crisi capitalistiche assumevano il carattere di “crisi nell’accezione greca, medica”, come salutare riorganizzazione del corpo capitalistico per superare la crisi stessa e per apprestare le condizioni per uno sviluppo ulteriore del sistema, per avviare un nuovo ciclo di accumulazione e di organizzazione complessiva nei vari paradigmi, proprietario, produttivo, tecnologico, energetico ecc.
Oggi senza una riorganizzazione complessiva che includa il paradigma energetico (fine delle fonti fossili e quindi delle emissioni dei gas serra) e il paradigma della transizione ecologica complessiva non è possibile pensare di riavviare un nuovo ciclo di sviluppo capitalistico.
In alcuni settori radicalizzati del sindacalismo statunitense si usa la parola d’ordine “no jobs on a dead planet”, “nessun posto di lavoro in una pianeta morto”. Come invito a fare delle lavoratrici e dei lavoratori soggetti-protagonisti diretti della politica
ecologica “operaia”, “sindacale”, e non delegata. Nella visione della vecchia divisione del lavoro. Ai sindacalisti e ai lavoratori le questioni del lavoro. Agli ambientalisti la delega, il compito di occuparsi delle questioni dell’ambiente e del clima.
IV.
La modesta proposta di alcune alternative
Una sola osservazione preliminare. Su tutta questa retorica e su questa ipocrisia a proposito di “transizione ecologica”, sul “Green Deal” europeo, sui finanziamenti come il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ecc. Più della metà dei gas serra oggi presenti nella stratosfera è stata stati emessa dopo il 1990. Vale a dire in una fase, ormai trentennale, nella quale, a livello nazionale e a livello internazionale, gruppi dirigenti, politici e non, e istituzioni nazionali e sovranazionali si erano detti impegnati per risolvere i gravi problemi del clima e dell’ambiente.
En passant, quest’ampio strato di gas serra è costituito soprattutto a causa dell’accumulazione delle emissioni nel Nord Globale, dalla rivoluzione industriale, dalla seconda metà del Settecento, in avanti. Il Sud Globale pertanto oltre al debito coloniale, rivendica il debito ecologico. Altro discorso importante su cui occorre ritornare, su cui argomentare molto.
Oggi nel mondo ha acquisito forza e consistenza il cosiddetto ecosocialismo, anche se entro il minoritarismo tipico di queste correnti alternative al sistema, a causa del brutale cambiamento dei rapporti di forza di cui si diceva prima, dai primi anni novanta del Novecento in avanti. Il compianto studioso tedesco Elmar Altvater usava a suo tempo anche la nozione di “socialismo solare”. L’ecosocialismo o socialismo ecologico analizza il capitalismo realmente esistente e indica alternative radicali per la soluzione delle suddette crisi.
Tuttavia entro il sistema capitalistico vengono indicate anche alcune soluzioni, un tempo dette “riformistiche”, ma che oggi, proprio perché concepite in questo contesto, assumono un carattere rivoluzionario. Qui si ricordano solo alcune. Solo come esempio. Molte altre si potrebbero elencare.
- La primissima in Italia, indicata dalla “Settimana di studi cattolici”, svolta proprio a Taranto nel settembre 2021. Alla faccia della transizione ecologica, nel bilancio italiano si prevedono ancora i cosiddetti Sad (“Sussidi Ambientalmente Dannosi”, così definiti nel documento cattolico). Si tratta di ben 19 miliardi di euro, di cui 17 miliardi destinati a sostenere le fonti fossili. La proposta è che questi soldi siano impiegati invece a ridurre la tassazione sul lavoro, a beneficio diretto dei lavoratori e delle imprese. Nello stesso budget si prevede una somma per ricollocare e per recuperare così i posti di lavoro eventualmente persi nei settori attualmente beneficiati da questi sussidi.
- Negli Usa i democratici di sinistra Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders hanno avanzato la proposta del Green New Deal. Avente come modello e riferimento il New Deal di Roosvelt.
Nelle intenzioni è un piano governato dal centro, orrore per il neoliberismo, per creare nuovi posti di lavoro e per avviare nuovi settori ambientalmente virtuosi, con
investimenti cospicui tratti dall’aumento della tassazione dei redditi più alti. Oggi, a partire dai tempi di Roland Reagan, questa tassazione è al 28% di contro al 82%, adottata a suo tempo da Roosvelt. In tal modo si poté finanziare il cosiddetto “keinesismo militare” della seconda guerra mondiale. Il quale, assieme al fatto che le infrastrutture e l’enorme apparato industriale non subirono le distruzioni come avvenne in Europa e in Giappone, assicurò agli Usa l’uscita definitiva dalla crisi del ‘29 e l’egemonia su scala mondiale a partire dal 1945.
Il Green New Deal in un sondaggio negli Usa ha ottenuto il 76% del favore popolare.
Il problema è che non solo i repubblicani, ma anche la gran parte del partito democratico avversano questa proposta. Il neoliberismo è trasversale, destra, centro, sinistra moderata.
- Qui si ricorda una misura della gloriosa storia del movimento operaio, socialista e comunista, del sindacato e dei partiti della sinistra. La riduzione per legge dell’orario di lavoro a parità di salario.
La parola d’ordine “lavorare meno, lavorare tutti, vivere meglio” riassume ad un tempo il forte carattere economico, ambientale e in generale di civiltà di tale rivendicazione. Non solo come una delle alternative per l’uscita dalla crisi. Non c’è spazio per molte argomentazioni da farsi a tal proposito, anche in relazione alla potente tendenza all’innovazione tecnologica e dei processi di produzione, della vertiginosa accelerazione della tradizionale, storica tendenza labour saving (a risparmio di lavoro e di manodopera) del capitalismo, dagli albori a oggi. - La vecchia analisi dei prodotti del lavoro umano tra “valore d’uso” e “valore di scambio” è da recuperare e costituisce altra dimensione delle alternative. La mercificazione universale di beni e di servizi, il consumismo sfrenato, lo spreco, l’obsolescenza programmata dei prodotti ecc. sono aspetti nefasti per la società e per l’ambiente, per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale.
- Gael Giraud, economista gesuita, a suo tempo, nella primavera del 2020, in piena pandemia-sindemia, in un suo celebre articolo, ricordava la questione dei beni comuni (terra, acqua, semi, istruzione, salute, sapere ecc.). Non mercificabili ovviamente. Come questione fondamentale per uscire dalla crisi complessiva, non solo dalla crisi epidemiologica. Temi questi molto presenti nei Forum Sociali Mondiali e nel movimento altermondialista.
- Infine la riduzione della spesa militare. Il cosiddetto complesso militare-industriale è in discussione. È il potente divoratore di risorse e di denaro pubblico, fortemente energivoro, grande inquinatore. La questione della riconversione dell’industria bellica e della moratoria mondiale sulle armi, in primo luogo nucleari, procede di pari passo con il pacifismo e con l’ambientalismo.
Nella visione di una pace che scongiuri la tendenza delle classi dominanti, in ogni dove nel pianeta, alle prese con la crisi e con le tensioni sociali, a “dirottare le coscienze”, ad arruolare e ad allineare e a creare guerre, tensioni, richiami al nazionalismo, allo sciovinismo. Al fine, in ultima analisi, di non mettere in discussione il proprio modello di sviluppo e di consumo. Gli Usa, con le loro circa 800 basi militari sparse in tutto il mondo, costituiscono il modello perfetto di questo complesso problematico.
V.
La grande alleanza
Il capitalismo e la nostra società sono alle prese con la crisi complessiva, sociale, ecologico-climatica, epidemiologica. L’auspicio è pertanto che le forze sociali, politiche, culturali alternative operino nella direzione di un “soggetto sociale complessivo”, come tendenza, come fine a cui tendere, consci della grande difficoltà del compito.
In embrione era quella cosa che animava quegli esigui settori di cui dicevo della nostra giovinezza. Pensavamo, anche ingenuamente, ma molto generosamente, che il “sistema” occorreva affrontarlo appunto come sistema. Nelle sue molteplici dimensioni, sociale, ambientale, geopolitico (eravamo appunto “terzomondisti”), culturale, antropologico ecc. E che pertanto occorresse, sempre come esigenza embrionale, quella che il marxista statunitense Paul M. Sweezy in seguito, nei primi anni ottanta del Novecento, indicò come “la grande alleanza delle vittime del capitalismo”.
Nella sua visione era in particolare l’esigenza del dialogo tra marxismo e cristianesimo, dopo una visita fatta nell’America Latina e dopo aver assistito alla presenza e alla forza assunta in quel continente dalla Teologia della Liberazione.
Ricordiamo non solo i vari teorici-teologici Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Clodoveo Boff, Jon Sobrino, Ernesto Cardenal. Nel solo Brasile esistevano allora, ispirate dalla Teologia della Liberazione, circa 100.000 Comunità Ecclesiali di Base coinvolgenti milioni di credenti, di persone povere soprattutto.
Con la repressione operata da papa Wojtyla e dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel corso del tempo il vuoto lasciato da queste comunità di base è stato occupato dalle chiese evengeliche di ispirazione, e di finanziamento, Usa. Queste chiese, com’è noto, costituiscono la base di massa del fascista Bolsonaro. Uno dei principali fautori della deforestazione dell’Amazzonia in combutta con gli agrari latifondisti e con le multinazionali della soia, del legname, dell’agrobusiness ecc.
Oggi Leonardo Boff, non più frate francescano, è una delle coscienze più lucide e più attive del movimento altermondialista, uno dei più attenti e più efficaci critici del malsviluppo. La dimensione sociale e la dimensione ambientale sempre presenti nella sua critica e nelle sue proposte alternative al corso dominante capitalistico su scala mondiale.
Negli anni che furono, entro la sinistra non solo italiana, si assistette a una sorta di concorrenza a proposito della primogenitura dei soggetti sociali e politici. La gerarchia si creava a misura se venisse prima la contraddizione capitale-lavoro salariato, oppure la contraddizione uomo-natura e produzione-ambiente, oppure la contraddizione di genere uomo-donna, oppure la contraddizione sui diritti umani e i diritti civili ecc. Oggi tutto ciò fa parte del passato, è da superare, conformemente a quello che si è argomentato nel presente intervento.
VI.
Conclusione
A conclusione di questa relazione, cito la parte finale di un mio articolo, dal titolo “L’ipocrisia e la retorica al potere. Debito ecologico, debito coloniale e malsviluppo, i grandi assenti nei vertici mondiali sul clima”, comparso sulla rivista online “Sinistra Sindacale”, promossa da Lavoro e Società Cgil, del 21 novembre 2021 e in seguito anche sulla rivista bimestrale “Su la testa” del gennaio 2022.
È solo una indicazione minima, modesta, molto semplice da realizzare. Ecco.
“Che fare?
Esiste una prospettiva. Un’esigenza. Occorre agire come soggetto sociale complessivo. Non separare ciò che non è separabile. L’auspicio è che alle mobilitazioni dei lavoratori partecipino gli ambientalisti (o loro delegazioni) e così che alle mobilitazioni sui cambiamenti climatici e sull’ambiente partecipino sindacati e lavoratrici e lavoratori.
Così si è sperimentato nei Forum Sociali Mondiali e nel movimento altermondialista.
Questo è risultato più agevole nel Sud Globale, a misura delle gravi condizioni in cui si trovano quelle aree del mondo. Con una presenza enorme delle donne, nei movimenti contadini, nei movimenti sindacali e nei movimenti sociali in generale.
Meno facile nei centri capitalistici. Ma è la sfida con cui le classi subalterne, i movimenti antisistemici e i partiti della sinistra alternativa del centro debbono
misurarsi”.
Giorgio Riolo
Testo della relazione svolta al seminario nazionale della Filcams Cgil dal titolo “La memoria, la teoria, l’agire”, tenutosi il 23, 24 e 25 febbraio 2022 a Perugia.
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