Social, analfabetismo funzionale e disuguaglianze
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In Italia, secondo le rilevazioni PIACC-OCSE del 2019 quasi il 28% ( campione di circa 16.000 persone) della popolazione tra i 16 ed i 65 anni è analfabeta funzionale. In Europa rappresentiamo la situazione peggiore. Lo studio PIACC si compone di test volti a misurare le competenze di base degli adulti ( comprensione dei testi scritti, capacità di calcolo aritmetico, soluzione di problemi).
La definizione di analfabeta funzionale formulata dall’UNESCO nel 1984 è ”persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente sulla società per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Si tratta quindi di un problema più complesso dell’analfabetismo strumentale. Aver imparato a scrivere, leggere e far di conto, e quindi essere formalmente alfabetizzati, può non essere sufficiente per comprendere la complessità nella quale siamo immersi. Al tema dell’analfabetismo, Tullio De Mauro, linguista, saggista, per breve periodo anche ministro dell’istruzione, ha dedicato ampi e notevoli studi.
Già nel 2008, sottolineava le preoccupanti dimensioni del fenomeno (33 % ) e soprattutto le conseguenze dell’incapacità di andare oltre la semplice decodifica della lingua scritta. De Mauro metteva in luce come l’analfabetismo funzionale rafforzi le diseguaglianze sociali, dal momento che riduce la lettura e l’analisi di ciò che accade alle singole realtà individuali, per l’incapacità di individuare e/ o dedurre cause e conseguenze indirette, lontane nel tempo e nello spazio. La lingua e la conoscenza sono sempre state strumenti di progresso culturale e civile. di emancipazione individuale e collettiva, di riscatto dall’oppressione delle classi dominanti.
L’analfabetismo funzionale si traduce in analfabetismo politico e rende il gioco facile ad imbonitori di ogni tipo, abili nel confezionare interpretazioni di comodo che vengono accolte senza alcuno spirito critico. I risultati si vedono nelle consultazioni elettorali e ancora prima nella scomparsa della coscienza di classe.La possibilità di comprendere le cause delle storture, enormi, del mondo in cui viviamo e le conseguenze disastrose che già stiamo assaporando perfino nella parte più fortunata del pianeta, risulta seriamente compromessa, e con essa la spinta ad un cambiamento.
Un tale disastro, freno alla crescita culturale di una collettività è il risultato di diversi fattori, tra cui la qualità dei sistemi di istruzione, gli orientamenti pedagogici, il progresso tecnologico, che oggi è essenzialmente il trionfo della digitalizzazione, gli stili di vita e di consumo. Fattori fortemente interdipendenti. In Italia la scuola è stata progressivamente trasformata, a partire almeno dalla legge sull’autonomia scolastica introdotta da Ruberti (1990) aggravata dalla riforma Berlinguer ( 1997) e via via da sempre nuovi colpi d’ascia ( Moratti, Gelmini, Renzi) nelle sua fisionomia costituzionale, cambiando le finalità stesse del sistema d’istruzione. la scuola è sempre più al servizio del sistema produttivo, svuotata di contenuti , dei saperi non direttamente collegati alle attività lavorativa, sbilanciata verso le famigerate competenze. Evidentemente, se poi si registrano alti tassi di analfabetismo funzionale, la scuola delle competenze non è sufficientemente efficace.
Gli ultimi colpi alla distruzione della scuola come istituzione che dovrebbe preparare, prima che ad una professione, ad una cittadinanza consapevole e democratica, allo sviluppo di personalità libere e alla scoperta ed espressione dell’umanità di ogni persona li sta sferrando, sottotraccia, il super governo liberista europeo. Il PNRR ispira ed informa finanziamenti, innovazioni silenziosamente ed anche minacciosamente introdotte nella scuola.
Gli istituti d’istruzione di ogni ordine e grado hanno ricevuto, a partire dal 2022, un’offerta che non potevano rifiutare (pena il commissariamento) per trasformare fisicamente aule, per adottare tecnologie di ultima generazione, per digitalizzare la didattica, estendere l’uso delle piattaforme, creare ambienti virtuali, dai laboratori tecnici alle aule gioco dei bambini della scuola dell’infanzia. Il ministero dell’Istruzione e del merito punta a compilare classifiche e graduatorie di allievi e docenti, in base a quanto questi si mostreranno entusiastici ed efficaci promotori della nuova scuola.
Già dalla scuola dell’infanzia si invita ad orientare al lavoro i piccoli ed i giovani, in modo da cominciare subito a formare le professionalità richieste dal mondo produttivo. Non c’è motivo di perdersi nella poesia e nella letteratura, nell’arte e nella filosofia , nella storia e nella geografia, a meno che sia strettamente necessario forse per chi dovesse insegnarle. Ma anche questo è poco importante, i docenti non devono perder tempo nelle vetuste lezioni frontali, è meglio che si specializzino nella creazione di slides , è su quello che saranno valutati. Il compito di indirizzare gli allievi al loro destino professionale spetterà alle nuove figure di docenti orientatori e tutor, precursori dei “ cacciatori di teste “ delle aziende, In quest’ottica,le competenze da promuovere sono lo spirito imprenditoriale, la capacità di adattamento, la flessibilità, l’uso delle tecnologie, certo, ma soprattutto si mira a formare personalità organiche, ancora più di quanto sia già, al migliore dei mondi possibile.
Lo sviluppo delle tecnologie ( peraltro controllate dalle grandi multinazionali che, non dimentichiamolo, non hanno tra le priorità il rispetto del pianeta ed il progresso dell’umanità intera ma molto più prosaicamente profitti ed utili ) che ormai invade ogni settore della nostra vita se monopolizza sempre più la scuola, si esercita molto anche nel tempo libero, occupato spesso in modo abnorme dai social network, che riducono, di fatto, le capacità di analisi degli individui. Il modo in cui i social inquinano e indeboliscono l’uso e la comprensione della lingua scritta è legato alle caratteristiche degli stessi : l’impoverimento lessicale ad esempio , perché il linguaggio dei social privilegia forme gergali, abbreviazioni, messaggi estremamente sintetici. E come è noto le parole che si utilizzano sono strettamente interdipendenti dal pensiero.
Conoscere pochi vocaboli, non riflettere sul loro significato ed utilizzo rende anche più vulnerabili e facilita l’adesione acritica a stereotipi, fake news e teorie infondate di ogni tipo. La semplice osservazione delle dinamiche comunicative che si sviluppano intorno ad una notizia, vera o falsa ( non è più necessario verificarla) dimostra come si possano scatenare violente discussioni che prescindono da qualunque logica che non sia quella degli opposti schieramenti.
Approfondire notizie, verificare fatti diventa meno gratificante della rissa virtuale, e molto meno faticoso: l’informazione veloce, abbondante ma vuota, mescolata ad “ esche” pubblicitarie innesca nei poveri cervelli meccanismi automatici conosciuti come bias cognitivi: strategie e scorciatoie di sopravvivenza che il cervello mette in atto per gestire informazioni eccessive o mancanti per prendere decisioni o interpretare la realtà.
Senza consapevolezza e senso critico, siamo in balia di questi meccanismi che conducono a distorte interpretazioni della realtà, e sono sapientemente sfruttati dalle strategie di marketing. Nei suoi studi de Mauro individuava come causa dell’analfabetismo funzionale e anche dell’analfabetismo di ritorno, cioè la condizione di coloro che perdono le competenze prima possedute, la scarsa attività culturale, una specie di mancanza di esercizio e di allenamento della mente.
Leggere libri e giornali, avere una vita culturale vivace, hobby ed interessi, viaggiare e magari evitare di trascorrere troppo tempo su smartphone e social in genere fa sicuramente bene al cervello a qualsiasi età. Le dimensioni del fenomeno dovrebbero allarmare, lo diceva già De Mauro indicando proprio nella promozione della lettura un argine necessario ma non sufficiente ormai. Invece, nessun allarme serio, oltre la retorica stigmatizzazione dell’ignoranza sempre più diffusa, del dilagare del complottismo. C’è da domandarsi chi si avvantaggi di una quota di popolazione supinamente dedita al ” consuma, produci, crepa” e mentalmente orientata all’accettazione acritica delle narrazioni e dell’operato dei governi.
Loretta Deluca
Insegnante. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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