Social media e la guerra alla narrazione palestinese

I palestinesi meritano una voce e nessuna piattaforma dovrebbe mettere a tacere la loro lotta.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 18 dicembre 2024

Immagine di copertina: Un uomo palestinese siede sulle macerie di un edificio distrutto nel campo profughi di Nuseirat nella Striscia di Gaza centrale. (Credito fotografico: AFP)

La censura dei social media è un fenomeno globale, ma la guerra alle opinioni filo-palestinesi sui social media rappresenta un diverso tipo di censura, con conseguenze che possono essere descritte solo come terribili.

Molto prima dell’attuale devastante guerra a Gaza e dell’intensificazione della violenza e della repressione israeliana nella Cisgiordania Occupata, le voci palestinesi e filo-palestinesi sono state censurate.

Alcuni fanno risalire la censura a un accordo del 2016 che, secondo il governo israeliano, cercava di “costringere le piattaforme social a rimuovere i contenuti che Israele considera incitamento”.

Ciò si è tradotto, quasi immediatamente, nella chiusura di migliaia di profili e nell’esclusione di molti influencer dei social media, con la speranza di rallentare le crescenti tendenze pro-palestinesi in tutte le piattaforme collegate a Meta.

Censura dei contenuti

La guerra a Gaza, tuttavia, ha intensificato la censura. In un rapporto presentato al Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di opinione ed espressione, Human Rights Watch ha osservato che le restrizioni documentate alla libertà di parola “minano i diritti umani fondamentali alla libertà di espressione e di riunione”.

La censura è diventata così sofisticata e ha sempre più coinvolto un ruolo diretto di Israele. Per garantire che i “trasgressori” della sensibilità israeliana fossero eliminati in gran numero, Meta ha iniziato a censurare i contenuti.

Ma Meta non era l’unica piattaforma social coinvolta in questa pratica. Il 17 novembre 2023, la piattaforma X (precedentemente nota come Twitter) ha dichiarato che gli utenti che scrivono termini come “decolonizzazione” o espressioni simili sarebbero stati sospesi.

Un anno dopo, la piattaforma di social media Twitch ha seguito l’esempio rivedendo la sua “Politica sui Contenuti d’Odio” per includere “Sionista” come potenziale insulto.

Queste decisioni, e molte altre, compromettono direttamente la libertà di parola e di stampa. La parola “Genocidio”, ad esempio, non è una parolaccia, ma un termine comune, adottato da numerosi Paesi in tutto il mondo, che accusa Israele di aver compiuto Atti di Genocidio, ovvero la “distruzione sistematica di un gruppo di persone a causa della loro etnia, nazionalità, religione o razza”.

Sotto la pressione di molti Paesi, e dopo aver presentato un caso importante all’Aja, il Sudafrica è riuscito a costringere la Corte Internazionale di Giustizia a indagare sugli Atti di Genocidio di Israele nella Striscia di Gaza in violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948.

In altre parole, questa non è una questione che spetta a Mark Zuckerberg o a qualsiasi altra piattaforma di social media decidere, sulla base di consultazioni dirette con coloro che hanno compiuto le Uccisioni di Massa a Gaza.

Lo stesso vale per il Sionismo, un movimento politico ideologicamente schierato, che fa risalire la sua storia all’Europa del diciannovesimo secolo, quindi, né a una razza specifica né a un testo religioso.

Mentre molti sono, giustamente, indignati dal fatto che questo tipo di censura diffusa e crescente sfidi direttamente i principi fondamentali della democrazia, il danno effettivo per i palestinesi è molto più grande.

Secondo un rapporto del novembre 2024 del Centro Sociale per i Diritti Digitali Sada, l’ondata di violazioni digitali che prendono di mira i contenuti palestinesi non potrebbe arrivare in un momento peggiore.

Social media strettamente controllati

Secondo l’organizzazione, “le piattaforme Meta hanno rappresentato la quota maggiore di violazioni con il 57%, seguite da TikTok al 23%”. YouTube e X seguono rispettivamente al 13 e al 7%.

Questa censura, secondo Sada, include la chiusura dei profili di messaggistica su WhatsApp, un’altra piattaforma di proprietà di Meta che è anche strettamente controllata.

A differenza della maggior parte di noi, i palestinesi di Gaza usano queste piattaforme per comunicare tra loro, per sapere chi è morto e chi è vivo e per sensibilizzare su alcuni Massacri, che spesso avvengono in luoghi isolati, soprattutto nella Striscia di Gaza settentrionale.

Per quanto riguarda la Striscia di Gaza settentrionale, Sada ha parlato di un “oscuramento digitale”, che ha aggravato l’orrore di quella regione: Carestia, Uccisioni di Massa, distruzione di tutti gli ospedali, ecc.

Nel caso specifico della censura dei social media a Gaza, le vite vengono letteralmente perse a causa di decisioni motivate politicamente.

Human Wights Watch (HRW) è stato uno dei tanti gruppi per i diritti umani che hanno parlato regolarmente della “censura sistematica” di Meta. Un rapporto di HRW del dicembre 2023 ha identificato i seguenti modelli ricorrenti di censura: rimozione di contenuti, sospensione di profili pro-palestinesi, riduzione della visibilità, nota come “shadow-banning”, restrizioni all’impegno e deliberato uso improprio di politiche su incitamento all’odio e contenuti grafici.

Il pericolo di questo tipo di censura è multiforme. È una minaccia diretta a una delle libertà più basilari garantite dalla legge in qualsiasi società democratica. Nel caso di Gaza, la censura prende una piega oscura e mortale poiché potrebbe fare la differenza tra la vita è la morte.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto- Invictapalestina.org

20/12/2024 https://www.invictapalestina.org/

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