Società, giovani, politica e social network

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Nella politica la comunicazione ha sempre rappresentato un elemento imprescindibile. Lo stesso Aristotele nella democrazia ateniese ne affermava la stretta relazione, identificando coloro che si occupavano di politica come animali dotati della facoltà di linguaggio e che quest’ultimo serviva proprio ad individuare cosa è utile e cosa è dannoso (e quindi il giusto dall’ingiusto, il bene dal male).

Nel nostro Paese, fino a qualche decennio fa, “la partita” si giocava interamente a colpi di interviste/dichiarazioni a mezzo stampa o tramite talk show televisivi. Ancora si parlava di partiti come strutture organizzate e strumento al servizio dei cittadini, anche se “l’uomo solo al comando” si stava facendo strada attraverso la figura di Silvio Berlusconi. Da lì a pochi anni, la concezione di politica e di partito viene ribaltata e messa in discussione. Tutto si trasforma e ciò coinvolge direttamente anche la comunicazione politica e quindi il linguaggio stesso.
Il nuovo che avanza si dichiara apertamente contro la classe politica attuale (che oggi chiameremo casta) che non fa gli interessi dei cittadini, che parla il politichese (un linguaggio non comprensibile a tutti e quindi impopolare) e che va “a braccetto” coi potenti del mondo (che non hanno a cuore il bene della nazione). Questa visione fa da “nave a scuola” a gran parte del panorama politico italiano attuale e che oggi prende il nome di populismo. Ma cosa cambia realmente in termini di comunicazione politica?

Con l’avvento dei social network, i media mainstream subiscono un forte arretramento e vengono relegati a meri diffusori di notizie dal web: si passa così da “l’ha detto la tv” a “l’ha scritto su Facebook”. Gli stessi leader politici iniziano a comprendere il grande potere di internet e della condivisione sui social. Il dibattito politico si sposta così dalle piazze reali alle piazze virtuali, luoghi decisamente più grandi dove i cittadini stessi possono scambiarsi messaggi/commenti col politico di turno. Mentre tv, giornali e mezzi classici permettevano quella che viene

definita la one-way communication, ovvero la comunicazione unidirezionale, il web 2.0 ha cambiato le cose e ha permesso la comunicazione bidirezionale, aperta, diretta, paritaria, partecipativa. Così, se prima la notizia passava attraverso quotidiani e tg, facendo da filtro tra politici ed elettorato, ora sono gli stessi profili social dei politici “la notizia”.

Cambiano di conseguenza anche le forme di linguaggio, adattandosi ad una comunicazione più veloce e fatta principalmente da immagini o slogan (che racchiundo in pochi caratteri un intero programma elettorale). Quest’ultimi spesso vengono declinati con un’accezione negativa, ritenuti privi di contenuti e senza senso. Nella comunicazione politica però nulla è lasciato al caso. Anche la ripetizione di uno stesso vocabolo o di una frase, adattata poi a seconda del contesto, assume grande rilevanza tanto da entrare nella testa delle persone come un tormentone estivo. Parole chiave, dirette e ripetitive a seconda della tematiche. Si inziano a creare dei veri e propri “glossari social” da utilizzare quotidianamente e in maniera standardizzata attraverso l’ascolto dell’opinione pubblica. Quest’utlima infatti, nell’era dei social media, risulta fondamentale sia per la creazione della strategia comunicativa sia per i feedback in tempo reale sulle varie tematiche. Essere in grado di ascoltare e monitorare quotidianamente il sentiment dell’opinione pubblica, rispetto ad un preciso tema, aiuta anche nella scelta dei passi successivi o delle dichiarazioni politiche future.

Facebook e Twitter, i più utilizzati, permettono di parlare direttamente agli elettori più volte al giorno in modo immediato e semplice. Inoltre, chi è in grado di comunicare bene, spesso con l’aiuto di professionisti del settore, riesce ad ottenere “pubblicità gratuita”,

la cosiddetta “viralità”, facilitata da funzioni come il “condividi” di Facebook o il “retweet” di Twitter. La condivisione è sicuramente l’arma segreta della comunicazione online e per ottenerla bisogna saper creare consensi che si moltiplicano e che siano quindi necessariamente “in connessione” con il sentiment degli elettori.

Ascoltare. Dialogare. Coinvolgere. Narrare. Chiunque oggi voglia fare politica e arrivare al più vasto numero di persone non può non compiere questi quattro passi. Qualcuno potrebbe obiettare che i social media sono pericolosi, che è meglio non utilizzarli e che il “popolo del web” (che poi saremo noi elettori) sa sempre come strumentalizzare i contenuti e rivoltarli contro. D’altronde, non avere oggi una presenza attiva sui social significherebbe rinunciare ad interagire con milioni di persone in tempo reale e per lo più ad un basso costo; sarebbe stupido, controproducente e se ne pagherebbero le conseguenze.

Citando Umberto Eco, ci potremo definire “né apocalittici né integrati”, poichè i nuovi media rappresentano in politica sicuramente degli alleati ma bisogna saperli utilizzare nel modo corretto, attraverso una strategia comunicativa ben studiata e soprattutto seguendo le loro regole: un post non è di certo un comizio né si può pretendere di utilizzare i social come fossero microfoni.

Clarissa Castaldi
responsabile Comunicazione Giovani Comunisti/e del PRC

Pubblicato sul numero di gennaio del mensile Lavoro e Salute

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