Solitudine e salute

La solitudine può contribuire ad una costellazione di disturbi psichici e/o fattori di rischio psicosociali, inclusa la sintomatologia depressiva: alcolismo, pensieri suicidi, impulsività e comportamenti aggressivi, ansia sociale. È anche un fattore di rischio per patologie cardiache e obesità  e sembra contribuire alla progressione della malattia di Alzheimer.

Sin dall’antichità, milioni di persone sono morte a causa di epidemie di peste, influenza, colera e altre infezioni (la recente da Covid-19) causate da batteri, virus o altri microrganismi. Grazie ai progressi della medicina, con i vaccini e gli antibiotici siamo riusciti a ridurre fortemente o addirittura eliminare questi assassini di massa.

Le società moderne stanno però affrontando un nuovo tipo di patologie contagiose e a rapida diffusione: le epidemie comportamentali. I tassi annuali di mortalità per suicidio e overdose da oppiacei sono aumentati negli ultimi due decenni e, ad oggi, sono responsabili del decesso di un americano ogni cinque minuti e mezzo. A contribuirvi non è un microbo patogeno, ma piuttosto una “tossina comportamentale”, difficile da rilevare e sempre più frequentemente letale: la solitudine (1). Più di un quinto degli adulti americani riferisce che spesso, o addirittura sempre, si sente solo o isolato dagli altri. La solitudine è una condizione soggettiva, in cui l’individuo si percepisce socialmente isolato anche quando si trova in mezzo ad altre persone (2): detta anche “isolamento sociale percepito”, essa è correlata, ma distinta dall’isolamento sociale, che è invece uno stato oggettivo, legato al numero di interazioni con gli altri individui.

Secondo la storica britannica Alberti (3), prima del XIX secolo la parola inglese loneliness (che, appunto, traduciamo come “solitudine”) non esisteva: le persone vivevano generalmente in piccole comunità, considerate come fonte di bene comune. Certo, esisteva la condizione di “essere soli” che, quando non scelta, poteva essere molto dannosa; ma il concetto di “solitudine” – termine intriso di uno stato emotivo di angoscia esistenziale – è comparso con l’industrializzazione in occidente e la creazione di sistemi filosofici e politici incentrati sull’individualismo: è fondamentalmente un prodotto dei modi moderni di pensare al sé e alla società. La Rivoluzione industriale è stata il primo passo verso una graduale riduzione della connessione sociale, principale motivo di solitudine. Nei decenni abbiamo assistito ad un progressivo incremento del problema, che è poi esploso negli ultimi 20 anni: da una prevalenza stimata intorno all’11-17% negli anni ’70 del secolo scorso (4), la solitudine è aumentata di oltre il 40% tra adulti di mezza età e anziani (5); secondo un sondaggio online del 2010 (6), nel Regno Unito i tassi di prevalenza hanno raggiunto il 45%. Infatti, sebbene tecnologia e globalizzazione possano aver migliorato la qualità di vita, hanno anche ribaltato i costumi sociali e interrotto il modo tradizionale di relazionarsi: il sovraccarico di informazioni, la connettività 24 ore su 24, le innumerevoli ma superficiali e talvolta dannose relazioni sui social media hanno “spalancato le porte” a questo stato emotivo.

Letizia Fattorini

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11/9/2023

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