Solitudini esistenziali e nuove truffe

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Problemi da risolvere

“Disease” è il termine inglese che traduce l’italiano “patologia”, in realtà rende più letteralmente il significato di “disagio”. Le sofferenze che provoca una situazione di disagio ricoprono uno spettro ben più vasto di quelle derivanti da una situazione di malattia, perché il disagio può essere provocato, oltre che da condizioni di emarginazione sociale ed economica, anche da particolari situazioni esistenziali. Di cui magari nessuno si accorge e a cui nessuno fa caso, finché ne non vengono fuori lo spessore e le conseguenze.

Per esempio, il disagio da solitudine, anche solo avvertito come insignificanza del sé. E spesso questo disagio viene almeno un po’ alleviato, realmente o illusoriamente, da una “piazza” di comunicazioni virtuali, attraverso i social.
Purtroppo, nella nostra società di arraffatori senza scrupoli, c’è subito chi ha subodorato l’affare: questa vasta platea di donne o anche di uomini soli, ormai di età più o meno avanzata e sul crinale del declino fisico nonché psicologico può costituire una ottima riserva di caccia. Anche perché si tratta in genere di gente o pensionata o con qualche risparmio o conto in banca anche ben rifornito. Che però non basta ad alleviare la solitudine per l’assenza di un o una partner affettivi (per i motivi i più disparati, s’intende!), per la lontananza o affettiva o anche geografica di eventuali figli e figlie che un mercato del lavoro sempre più “globalizzato” ha risospinto in altri Paesi, distanti anni luce, o anche semplicemente perché si è single.
E allora, perché non approfittarne? É nato da un po’ di anni lo squallido fenomeno delle cosiddette “truffe affettive”, reso ancora più attraente dalle possibilità di mascheramento della propria identità offerte dal cyberspazio e quindi da una, almeno supposta, impunità.

Devo ammettere che io stessa ho potuto direttamente sperimentare la dinamica di questi sporchi raggiri, essendo stata contattata da galantuomini di tale specie, senza tuttavia mai diventarne la vittima, non perché sia più brava a difendermi rispetto ad altre persone, ma semplicemente perché avevo gli “anticorpi” giusti che mi hanno aiutata a fronteggiarli e poi anche a “mandarli a stendere”.
Mi sono molto serviti però come “casi di studio” e, quando si è presentata l’occasione, ho condiviso la mia esperienza e le mie personali deduzioni con un gruppo di Torino che aveva come obiettivo proprio quello di mettere in guardia e di tutelare le persone (in maggioranza donne, ma anche uomini) dalle “truffe affettive”. Questo gruppo si chiama “Acta” (Azione Contro Truffe Affettive e Lotta contro Cybercrime), costituitosi poi in Associazione operante in Torino. E ben presto, del problema che sta avendo davvero una diffusione incredibile, si sono occupate anche trasmissioni televisive come “Chi l’ha visto”?

Il giochetto truffaldino è presto spiegato, anche per come io stessa l’ho sperimentato. Ti arriva una richiesta di amicizia da parte (se sei donna) di un uomo di età matura, ma belloccio e “piacione”, col sorriso a 32 denti, straniero ma di un Paese “di prestigio” (di solito USA, ma anche Regno Unito, Francia, Israele ecc.), il più delle volte con divisa militare e stellette (hai visto mai il fascino della divisa!), immancabilmente vedovo o almeno separato ma inequivocabilmente “single”, con bimbi o animaletti al seguito (fanno tanta tenerezza!), impegnato in una “missione” importante. Costui comincia a bombardarti di messaggi in inglese. Devo ammetterlo, ho risposto a due o tre di costoro, anche per mettere alla prova il mio inglese stentato, quindi so bene come procedono. Dopo essersi gentilmente informati sulla tua situazione familiare, ci tengono a farti sapere che tu sei “una donna molto interessante”, che potresti essere “la donna della loro vita”, che non hanno mai incontrato “una donna come te” e altre piacevolezze del genere. Poi tengono a notificarti che loro sono impegnati in una “difficile missione” il più delle volte in Siria, qualche volta in Afghanistan.
Veramente con me cascavano sempre male, perché venivano subito informati di due cose che gli spezzavano il giochino e li spiazzavano: intanto io ero “happily married” e poi senz’altro “pacifist”, quindi odiavo le divise e tutto ciò che sapeva di militare. Pertanto, non gli restava che girarla sull’umanitario: erano lì per difendere i civili!

Successivamente arrivava il “clou” della conversazione: facendo leva sui miei sentimenti “religiosi” (are you christian?) o almeno “umanitari”, inventavano il caso pietoso (la figlia malata di leucemia o loro stessi in una pesante situazione di salute), per cui cominciavano a chiedere soldi. A quel punto con me il discorso era chiuso. Successivamente ho avuto altre richieste di amicizia da tipi simili ma non ho più dato risposta: ormai ne sapevo abbastanza. Solo, ho notato che i perfidi avevano cambiato look, pur usando sempre lo stesso cliché di autopresentazione: non apparivano più come “militari”, ma come “chirurghi in Paesi di guerra”.

Per me il discorso sarebbe finito qui se non fosse che, come poi ho saputo da un’amica, molte donne e anche uomini erano rimasti vittime di questo gioco sporco e molte e molti ci avevano anche perso dei bei quattrini.
Per questo ho partecipato a una riunione dell’Associazione ACTA, che nel frattempo era nata proprio per contrastare questo squallido fenomeno, e lì mi sono resa conto che la questione era seria! E lo era non solo per i soldi persi ma anche perché per alcune (e alcuni) si era creata una situazione di “dipendenza” psicologica né più né meno che se si fosse trattato di una droga. Una donna del gruppo ha ammesso

“sì, capisco che è una truffa, ma io senza di lui non riesco a vivere. Mi riempie le giornate!”.
Abbiamo capito che, per contribuire a contrastare il fenomeno, bisogna lavorare su diversi fronti.

  • Intanto, la prevenzione. Fare conoscere il fenomeno e le sue dinamiche attraverso più canali possibili. Pertanto, io ho messo a disposizione dell’Associazione un mio documento in cui – con riferimento alla mia esperienza personale – ho ricostruito l’identikit del “personaggio”, analizzato tutte le sue procedure di “comunicazione seduttiva” e infine suggerito dei comportamenti per comprenderne le finalità truffaldine. Poca cosa, ma è quanto ho potuto fare.
  • Naturalmente, la denuncia. Ma anche qui nascono una serie di problemi che dimostrano come si tratta di un fenomeno rispetto al quale la giurisprudenza stessa ha dei “vuoti” normativi cui fare riferimento per una adeguata sanzione penale nei confronti dei responsabili. Intanto, definirne l’identità. Non è così facile perché, se per esempio la truffa avviene attraverso Face Book, si tratta di profili rubati, che appartengono a persone del tutto ignare. Inoltre, di solito il messaggio viene inviato da “intermediari” (perlopiù africani) utilizzati da “mandanti” criminali ai quali poi sono devoluti i profitti. E non è escluso che il tutto sia manovrato da organizzazioni mafiose. Ma poi si pone un altro problema.

Nel caso in cui (attraverso raccolte documentarie, testimonianze, intercettazioni telefoniche ecc.) si arrivi a definire l’identità del colpevole e si istruisca regolare processo che giunge a sentenza, come dovrebbe essere configurato il reato ascritto? Perché qui nasce il problema se considerare la vittima una persona in grado di attuare la necessaria difesa razionale contro tali tipi di raggiri oppure considerarla come una persona “incapace di intendere e di volere”. Finora la Magistratura (come, ad esempio, è accaduto per un processo che si è svolto a Catania su un caso di truffa affettiva) può fare riferimento a un concetto di “fragilità” psicologica che però non descrive con precisione l’entità del danno ricevuto. In breve, se la persona fosse in grado di difendersi razionalmente, è chiaro che il reato ascritto e quindi anche la pena sarebbe di più lieve entità. Se invece si configurasse come “circonvenzione d’incapace”, la sanzione per il colpevole sarebbe ben più pesante, però ne verrebbe anche screditata la capacità della vittima stessa di usare in modo soddisfacente le sue facoltà mentali. Il tribunale di Catania ha irrogato il massimo della pena, cioè cinque anni di reclusione per il responsabile della truffa, ma ricorrendo alla fattispecie di reato contro vittima che non è stata in grado di riconoscere l’inganno perpetrato contro di lei.

In in articolo pubblicato il 12 – 2 – ’21 su “Altalex” a firma dell’avvocato Dario Primo Triolo, si legge a proposito della sentenza del Tribunale catanese:
Chiaramente al giudice non è sfuggita l’ingenuità della vittima, ed infatti richiama, a sostegno della sua sentenza, quella nutrita giurisprudenza della Suprema Corte che precisa come sia irrilevante ai fini del reato di truffa e quindi della idoneità degli artifici o raggiri, la mancanza di diligenza della vittima nel verificare quanto gli viene raccontato o esposto. Ed infatti, secondo la giurisprudenza l’artificio o raggiro è tale se è idoneo a trarre in errore, anche se la vittima “vuole” cadere in errore, nel senso che preferisce non “farsi” domande e credere a quella situazione.

E prosegue: Ne consegue quindi che in astratto atti inidonei potrebbero costituire delitto consumato se la vittima cede alla condotta, mentre se resiste a questa potrebbero risultare semplicemente inidonei. La medesima condotta, quindi, potrebbe avere risvolti totalmente differenti (reato si/reato no) esclusivamente in base all’attenzione e alla diligenza della vittima.
Ne trae quindi le sue considerazioni: Poi però, al momento di dover estendere il termine “deficienza psichica” a casi di mera debolezza o fragilità, ha difficoltà, probabilmente per l’evidente connotazione negativa dello stesso…Così si è creato un vuoto di tutela proprio per quei soggetti maggiormente bisognosi di tutela ma che non possono essere considerati “malati”, “infermi” o con “problemi psichici”. Del resto, ormai, anche la scienza medica conosce meglio gli innumerevoli risvolti della mente umana e sa bene quanto fragile possa risultare
.

L’avvocato, autore dell’articolo, così conclude: La tutela di tali soggetti, sempre più avvertita e sentita dovrebbe però rinvenirsi, nel rispetto del principio di legalità, in una legge ad hoc, e non tramite interpretazioni forzate o abrogans da parte della giurisprudenza. La “palla”, quindi, dovrebbe passare nuovamente al legislatore che in alcuni casi ha mostrato particolare attenzione a tali situazioni, ma ad oggi non avverte tale necessità forse proprio perché non percepisce il vuoto di tutela così tranquillamente colmato dalla giurisprudenza.
D’altronde, anche la stessa legale dell’Associazione Acta mi ha confermato in una mia idea e cioè che la giurisprudenza non abbia ancora acquisito sufficienti strumenti per contrastare, in modo efficace, la specificità dei reati che avvengono attraverso il cyberspazio. E non si tratta solo di truffe affettive.

Pensiamo a quante malversazioni, a quanti imbrogli truffaldini vengono tentati con l’invio di messaggi per posta elettronica, SMS oppure chiamate dirette al cellulare, con l’intenzione di carpire dati personali o d’indurre il destinatario ad anticipare somme più o meno rilevanti con la promessa di facili e lauti guadagni! Ma sia che si tratti di phishing (richiesta di dati riservati attraverso mail), vishing (attraverso il telefono) o smishing (tramite SMS), tali comportamenti fanno leva sulla possibile credulità delle persone coinvolte, sui loro bisogni economici o sui loro desideri di più facili guadagni. Con buona pace, tra l’altro, delle norme sul rispetto della privacy: chi li autorizza a utilizzare abusivamente indirizzi di posta elettronica o numeri privati di cellulare? E tutto questo è legale? Se lo fosse, a mio avviso ciò costituirebbe una grave violazione dei diritti del cittadino. Se non lo fosse, anche qui si apre un vuoto sia nella normativa, sia nell’azione procedurale della giurisprudenza per ostacolare o sanzionare tali abusi.

Del resto, come si evince dal testo: “COMUNICAZIONE CONGIUNTA AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO. La strategia dell’UE in materia di cibersicurezza per il decennio digitale” circa i due quinti
degli utenti UE avrebbero sperimentato problemi riguardanti la sicurezza, mentre negli ultimi tre anni un terzo degli utenti avrebbe ricevuto e-mail o telefonate fraudolente in cui si richiedevano dati personali
. Quindi, siamo su un terreno in cui sia la legislazione nazionale, sia quella europea, per quanto si siano occupate del problema, non ne hanno ancora trovato una soluzione convincente ed efficace. C’è da chiedersi perché.

Un altro campo in cui dover intervenire, sempre riguardo alle truffe affettive, è proprio quello del “disagio esistenziale”, cui si faceva cenno. Se i truffatori trovano campo così facile e fertile per i loro imbrogli, non è perché le donne (o gli uomini) di una certa età, anche acculturati, abbiano d’improvviso dismesso la capacità di ragionare oppure uno strano virus serpeggia tra gli ultracinquantenni e ne insidia le facoltà mentali. Anzi, molti di loro sanno molto bene maneggiare le nuove tecnologie. I social di per sé non sono diabolici e, a saperli usare con criterio, possono offrire molte buone occasioni di nuove conoscenze anche stimolanti, che condividono o allargano gli orizzonti culturali di persone che hanno magari davanti a sé molto tempo libero.

Purtroppo però possono esservi altre insidie nella vita di ciascuno: come già detto, solitudini affettive, fallimenti relazionali, regressione di capacità fisiche, situazioni insomma che provocano uno stato emotivo di vuoto e di scontento. Peraltro, i mascalzoni truffatori sono ben manovrati da chi la sa lunga. I profili vengono studiati con attenzione per cogliere le debolezze e le propensioni di ciascuno. Ho addirittura sentito dire che gli “intermediari” seguono dei veri e propri “corsi di formazione” su come abbindolare le loro vittime e renderle “fedeli”.

Non è che le persone “che stanno al gioco” diventino ad un tratto stupide. Se io non ci sono cascata non è perché sono più furba di altre donne, ma semplicementeperché non vivo, per mia fortuna, la stessa situazione di vuoto e di insoddisfazione. Ma non per tutte/tutti è così: nel grigiore di una giornata tutta uguale e senza prospettive ecco che si apre uno spiraglio di luce: una voce affettuosa che, seppure in un inglese approssimativo (altro segnale che i “manovratori” sono cooptati essi stessi dai filibustieri), ti fa sentire importante, desiderabile, unica. Questo riempie un vuoto e dà un senso diverso alle ore vuote che passano. L’attesa di “quella” voce, di “quel” messaggio si fa stringente, pressante. E vi sono canaglie che sanno bene (perché ben istruite) come manipolare questo bisogno. Spesso, quando arriva la consapevolezza della truffa e quindi la delusione, è troppo tardi! In quanto consapevoli del raggiro, molte vittime denunciano, ma nello stesso tempo perdono una ragione d’essere e ricadono nella precedente, mortificante routine.

Ma c’è un risvolto ancora più drammatico. Alcune di queste persone, vittime dei raggiri, una volta che si sono rese conto della truffa si sono sentite anche terribilmente ferite nella loro autostima perché hanno avuto di sé la percezione di essere stupidamente ingenue e credulone. Non solo, ma a volte hanno dovuto subire le critiche, se non addirittura il sarcasmo, dei loro amici, parenti o conoscenti che in qualche modo ne sono venuti a conoscenza. E c’è stato anche qualche caso di suicidio.

Pertanto, le vittime hanno bisogno di un sostegno psicologico, che faccia loro recuperare la fiducia in se stesse. Anche di questo si occupa Acta Cibercryme, oltre che di fornire loro assistenza legale. E’ stata fatta anche richiesta che le ASL prendano in carico il problema come un problema di salute e che forniscano esse, stabilmente, il sostegno psicologico di cui queste persone necessitano.
Però è anche molto importante la rete di relazioni amicali che si riesce a creare, una volta che queste persone abbiano in qualche modo superato la fase della frustrazione, del senso di colpa, dello scoraggiamento. E organizzare, possibilmente, luoghi e occasioni per nuove esperienze relazionali ed attività, fondate sulla valorizzazione delle competenze, in qualsiasi campo: manuale, culinario, artistico, di scrittura. Per fare recuperare a queste “vittime” il senso del loro valore, della loro dignità e della loro autostima. Perché anche questo è ritrovare la salute e il senso del vivere.

Rita Clemente

Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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